“Dall’oscurità alla leggenda”, così ha sintetizzato il Washington Post la vita professionale e artistica di un fotografo, Saul Leiter, riconosciuto in tarda età come uno dei pionieri del colore.

La Photographers’ Gallery di Londra dedica, fino al prossimo 3 Aprile, una retrospettiva, Early Color, alla sua ampia produzione. La carriera di Leite, infatti, era cominciata presto, quando, a 23 anni, si era trasferito da Pittsburgh, dove era nato nel 1923, a New York. Voleva diventare un pittore: lo aveva folgorato l’Espressionismo astratto, in particolare quello di Richard Pousette-Dart . Fu proprio quest’ultimo, a sua volta appassionato di fotografia, a incoraggiarlo a sperimentare questa strada. Così Leiter inizia ad abbandonare gli atelier per preferire le strade di Manhattan, dove non va alla ricerca di eventi o situazioni eclatanti ma di sensazioni fugaci e apparentemente insignificanti, tra marciapiedi e taxi in corsa, uscite della metro e ombrelli aperti, insegne luminose e cartelloni pubblicitari.

I suoi occhi si soffermano su particolari trascurabili, quelli che gli altri non vedono. I suoi scatti sono veloci, come le inquadrature. Catturano brani di vita, ci restituiscono persone e gesti che affiorano dietro gli aloni di vetrine o finestrini appannati o nei fumi umidi di piogge e nebbie. I colori ad attutire il rumore di fondo, incessante e stridente, della metropoli. A illuminare tutto e a dare senso e sostanza ai frammenti di realtà, assumendo la stessa iconica importanza che hanno nella color field painting di Mark Rothko, che Leiter ama tanto.

Per il mondo della moda è un genio: lo vogliono Harper’s Bazaar, Elle, Esquire* e Vogue UK. Ma la critica lo condanna: la fotografia è arte, a quei tempi, solo se è in bianco e nero. Leiter continua per la sua strada. Con le foto per le riviste si guadagna da vivere. Ma è nel traffico e tra la folla anonima di New York che scatta le “sue” foto, facendo della pellicola Kodachrome un mezzo per comporre poesie attraverso le immagini. Non gli interessa la notorietà e non vuole lanciare messaggi. “Non ho una filosofia, ho una macchina fotografica” risponde alle accuse. Solo nel 1997, 16 anni prima della sua morte, la Howard Greenberg Gallery di Manhattan espone per la prima volta i suoi scatti a colori. Le sue fotografie di moda erano già state accolte, nel 1991, nella mostra curata da Martin Harrison al Victoria and Albert Museum di Londra. Le sue opere oggi si trovano in importanti collezioni, tra l’Albertina di Vienna e l’Art Institute di Chicago, il Museum of Fine Arts di Boston e la National Gallery of Art , a Washington DC. E la retrospettiva di Londra gli rende omaggio non solo come fotografo, ma anche come pittore.