“L’importante era che fosse una zebra, com’era fatta non importava purché costasse meno”. E così un tulipano, un ramo di corallo, una giraffa, un unicorno. Bastava l’apparenza, a pochi soldi. “Tutto subito, tutto per tutti. Apparire e nient’altro. Per anni e anni il mercato cinese aveva fatto strage della qualità. Questo è superato. Lo dico con prudenza, ma lo dico” spiega Franco Carrai.

E lo “ripetono” gli oltre cento pappagalli appesi, non al trespolo, ma alle pareti della Richard Ginori a Firenze. Pappagalli volati da Santo Spirito e arrivati in via de’ Rondinelli (beh, questo articolo rischia di diventare un bestiario!) dove, secondo Carrai, fondatore dello Studio Puck, l’atelier di stampe e cornici che è nato nel 1979, ma potrebbe avere molti secoli tanto è pervaso di sapienza stratificata, c’è la prova della riscoperta della qualità da parte dei grandi gruppi. Adesso la zebra pitturata deve essere una zebra magnifica per rendere giustizia a quei “cavalli “ dal manto unico e senza criniera che si incontrano nelle steppe dell’Africa.

“La Ginori è l’esempio lampante di quello che dico perché un gruppo grosso, Gucci, posseduto da Arnault che è una potenza mondiale del lusso, ha creduto nella storica manifattura di Doccia, ha riassunto duecento persone e riaperto il negozio di Firenze - spiega Carrai -. È una vicenda che conosciamo perché per la rediviva Ginori abbiamo disegnato il marchio, le scatole, le buste, i biglietti, oltre alle stampe con i pappagalli che decorano il negozio, collaborando prima con Frida Giannini che ha fermamente voluto salvare una delle fabbriche di porcellane più prestigiose del mondo, una donna con una cultura spessa che ha davvero il timore che tutto vada perduto, poi con il suo successore creativo da Gucci, Alessandro Michele. Questo ritorno della distinzione fra la cosa ben fatta e il ciarpame è determinante, è una ripresa generale della cultura”.

Lo Studio Puck crea una bellezza che non c’era, quindi è originale, assemblando armoniosamente quel che fu ed era smarrito: frammenti, ritagli, oggetti inattesi. “Una cartolina ottocentesca con una tenera violetta acquerellata va ad accostarsi a un foglio fittamente manoscritto, chissà da chi e quando, a una busta con uno stemmino di ceralacca, a un ritaglio di giornale, a un fiore, il tutto incorniciato, a racchiudere, a fermare un’atmosfera dove il passato diventa straordinaria attualità” scrive Maria Cristina de Montemayor in un saggio dedicato allo Studio Puck e sul suo personalissimo rilancio dell’antica tecnica francese del decoupage, in massima voga in Inghilterra in età vittoriana, ma risalente addirittura al XIII secolo quando i monaci la adoperavano negli scriptorium dei conventi.

In Oltrarno, terra dell’arte e dell’artigianato fiorentini, nelle ex scuderie di Palazzo Guicciardini, intorno a un cortile fiorente di vegetazione, si dividono il lavoro, “tutti sappiamo fare tutto”, Franco Carrai, Cinzia Nastasi, fiorentini, Franca Marucelli, Alberto Giacomelli, toscani misti, e, per dirlo nella sua lingua, last but non least (ultima ma non meno importante), Ann Antonini, nata negli Stati Uniti, con eredità genetiche italiane, ungheresi, francesi, russe e messicane miscelate nei lineamenti di raro nitore e negli occhi celesti che possono avere uno sguardo distante, ma anche carezzevole quando l’interlocutore se lo merita. Ann è grafica. Probabilmente si è disegnata da sola. Il suo sguardo diventa severo quando dice che la crisi “ha portato molte persone a dimenticare gli scrupoli. Anche le fiere sono cambiate, prima alle fiere si raccoglievano ordini. Ora si raccolgono ordini che non vengono confermati”. Per due anni i Puck non sono andati nemmeno all’appuntamento fisso della Fiera di Parigi: “Era meglio non esserci”.

Per questo salutano il ritorno della qualità con particolare gioia, loro la qualità non hanno voluto metterla mai a rischio, piuttosto, nei periodi più duri hanno tagliato le linee telefoniche, ridotto il personale, organizzato iniziative per le strade: “Ci siamo ancora per intuito”. L’intuito di saper resistere, ad arte. Hanno continuato a fare tutto dipinto a mano, i loro vasi, le loro teche, le loro stampe con i torchi antichi, il decoupage, i collage e anche una tecnica inventata in prigione da Marie Antoinette che non rinunciò a decorarsi la vita nemmeno in prospettiva della ghigliottina.

Un cane grigio amato e amoroso si aggira per l’atelier. Ce n’è stato un altro, amato e amoroso: era solito stare in vetrina adescando i passanti con la sua perfezione, come una Circe buona.