I concetti di Patrimonio Distante e Degeometria, utilizzati in questo testo, provengono da una ricerca teorica in corso e non ancora pubblicata. Si tratta di nozioni sviluppate dall’autore per descrivere, rispettivamente, le forme di patrimonio che vivono fuori dai circuiti istituzionali della conservazione e un modo critico di leggere lo spazio e le pratiche che sottrae le realtà territoriali a categorie rigide, uniformanti o funzionali. Sono quindi concetti inediti, qui impiegati come strumenti interpretativi per illuminare le tensioni tra valore, mercato e forme di abitare.

Il mercato come ombra del patrimonio

Ogni cultura che amministra un patrimonio convoca, anche senza volerlo, la presenza del mercato. Non compare nelle leggi né nei discorsi istituzionali, ma opera nei finanziamenti, nella visibilità dei territori, nelle forme di circolazione che lo Stato legittima.

“Valorizzare” un monumento implica sempre un duplice movimento: simbolico ed economico. Anche se la retorica ufficiale insiste sulla neutralità culturale, dietro ogni restauro agisce una rete di scambi: risorse pubbliche, investimenti privati, lavoro locale, sistemi turistici, politiche urbane.

Il mercato è come un mare di fondo: invisibile, ma determinante. Il problema non è la sua presenza, bensì la sua invisibilità concettuale. Ignorarlo significa rinunciare a comprendere uno dei vettori più potenti che agiscono sul patrimonio contemporaneo.

Il valore come finzione stabilizzatrice

Il patrimonio ufficiale funziona come un dispositivo che stabilizza il valore attraverso categorie: monumento, zona tipica, autenticità, che definiscono un modo di guardare e, così facendo, incidono sul valore economico dei luoghi. La dichiarazione di un monumento può far aumentare o diminuire il valore immobiliare; un restauro modifica la plusvalenza del suolo; l’inclusione di una chiesa in un circuito turistico ridefinisce ruoli comunitari.

Il discorso patrimoniale mantiene la finzione di un valore culturale autonomo dal mercato. Una separazione necessaria per evitare la mercificazione totale, ma al tempo stesso incompleta: il valore patrimoniale resta una superficie apparentemente neutra che copre un’economia di interessi, decisioni e aspettative.

L’economia del riconoscimento

Il mercato non si attiva solo con il turismo: si attiva con il riconoscimento. Quando un bene diventa patrimoniale, diventa scarso; la sua singolarità diventa capitale. Questo capitale si distribuisce in modo diseguale: talvolta rafforza istituzioni o governi locali; altre volte viene catturato da attori privati; più raramente resta nelle comunità, trasformandosi in forme di vita più dignitose.

Il Patrimonio Distante non cerca di entrare in questa economia del riconoscimento. La sua forza sta proprio nella sua autonomia, ma questa stessa autonomia lo rende vulnerabile: ciò che non entra nei circuiti dominanti rischia di essere considerato irrilevante o improduttivo. Il mercato tende a espellere ciò che non può valorizzare.

Valorizzare secondo la distanza

Nel linguaggio istituzionale, valorizzare significa intervenire tecnicamente su un oggetto. Per il Patrimonio Distante, invece, il valore è già presente: abita nella continuità delle pratiche, nella memoria viva, nei gesti quotidiani che tengono insieme un territorio. Il valore distante non è oggettuale: non dipende dal numero di visitatori né dal restauro materiale, ma dalla relazione che una comunità mantiene con il proprio luogo. La domanda non è se il Patrimonio Distante possa generare economia, ma se il sistema economico sappia riconoscere un valore che non si esprime nelle sue categorie.

La Degeometria come critica del valore

La degeometria, apparentemente legata alla forma, agisce anche sul valore: destabilizza sistemi che fissano identità e funzioni. Non si oppone al mercato, ma alla linearità del valore. Propone un’economia del vincolo, del gesto, dell’abitare più che dell’oggetto.

Si può immaginare un “mercato della degeometria”: non la circolazione di oggetti patrimoniali stabilizzati, ma di pratiche vive, saperi situati, orizzonti comunitari. Un mercato in cui il valore non coincide con il prezzo, ma con un’energia condivisa.

Quando il mercato distrugge la distanza

La distanza è essenziale al Patrimonio Distante: distanza dalle istituzioni, dall’estetizzazione, dal consumo del passato. Ma il mercato tende a ridurre questa distanza. Dove compare un potenziale valore economico, emergono turistificazione, museificazione, stereotipi, monumentalizzazione della vita quotidiana. Proteggere la distanza non significa chiudere il mercato, ma definire confini etici:

  • nessuna valorizzazione può distruggere la relazione tra comunità e territorio;

  • ogni operazione economica deve essere valutata dagli abitanti;

  • il valore dell’abitare non può essere subordinato al valore del consumo.

L’economia lenta

Il patrimonio ufficiale accelera i flussi; il Patrimonio Distante si lega a tempi lenti e scambi minimi: artigianie locali, ospitalità domestica, feste, cooperazione comunitaria. Non compete con il mercato globale, semplicemente non si muove al suo ritmo.

Nell’economia lenta, il valore è un avvenimento, non una merce. La degeometria offre un linguaggio per legittimare questa lentezza come spazio critico da cui pensare l’economia contemporanea: dove il mercato vuole accelerare e mostrare, il Patrimonio Distante propone irregolarità, trama e densità.

Il rischio dell’estetizzazione economica

Il pericolo maggiore non è solo che il mercato assorba il Patrimonio Distante, ma che lo estetizzi: trasformi la distanza in immagine, la precarietà in esotismo, la memoria in merce. È ciò che accade spesso in territori rurali, comunità indigene o periferie urbane, dove la vita quotidiana diventa spettacolo per un pubblico in cerca di autenticità.

La degeometria si oppone a questa estetizzazione perché invita a vedere le forme come manifestazioni irripetibili, non replicabili né commerciabili. Esige attenzione e relazione, non consumo.

Pensare un mercato compatibile

La questione non è espellere il mercato, ma immaginare un mercato capace di convivere con la distanza: un mercato della cura. Non un’entità astratta, ma una rete di pratiche che rafforzano legami e non mercificano l’abitare. Un tale mercato può includere:

  • economie familiari che non si snaturano col turismo;

  • laboratori comunitari non stereotipati;

  • attività produttive collegate al territorio;

  • reti di scambio che proteggono la vita quotidiana.

Un mercato che non massimizza, ma sostiene.

Il mercato come frontiera etica

Il mercato è parte del patrimonio come l’ombra della figura. La questione è leggere quell’ombra senza esserne colonizzati. Il Patrimonio Distante, insieme alla degeometria, indica una frontiera etica: una valorizzazione che non sfrutta, un’economia che non cancella la memoria.

La distanza non è una rinuncia: è un modo di rimanere.