La figura di Democede di Crotone, medico vissuto tra le seconda metà del VI secolo a.C. e la prima metà del V, rappresenta il connubio perfetto tra medicina religiosa praticata nei santuari di Asclepio e medicina laica praticata da medici itineranti, che dall’osservazione del malato traevano diagnosi e terapie. Nel lessico bizantino della Suda (X secolo d.C.) si legge infatti che il padre di Democede, un certo Callifonte, prima di trasferirsi a Crotone, era stato sacerdote di Asclepio a Cnido. Conosceva dunque l’arte della medicina che, come era consuetudine nel mondo antico almeno fino a Ippocrate (V-IV secolo a.C.), era tramandata da padre in figlio.

Le informazioni più dettagliate su Democede provengono dallo storico Erodoto di Alicarnasso (V secolo a.C.) che, in un lungo passaggio delle sue Storie (libro III, capitoli 129-134), racconta che Democede, entrato in dissidio col padre, decise di trasferirsi in Grecia. Pur essendo privo degli attrezzi di mestiere, Democede riuscì a sbaragliare gli altri concorrenti nella pratica della medicina e a diventare medico pubblico degli abitanti di Egina. Questi gli corrisposero come stipendio la cifra piuttosto elevata di 1 talento (circa 26 kg. di argento puro). Dopo 1 anno Democede passò al servizio degli Ateniesi, che gli offrirono uno stipendio di 100 mine (circa un talento e mezzo), per poi, divenuto evidentemente celebre oltre confine, diventare medico personale del potentissimo tiranno Policrate di Samo che gli offrì lo stipendio di 2 talenti. Nel 522 a.C. Policrate venne ucciso dal satrapo persiano Orete, che si impossessò di tutti i beni del tiranno di Samo.

Tra essi rientrava anche Democede, che venne condotto in prigione. Poco tempo dopo Orete cadde in disgrazia presso il re persiano Dario che, mandato a morte il suo satrapo, ne fece condurre a Susa tutte le ricchezze compresi gli schiavi. La fortuna incontrò Democede proprio nella città persiana. Durante una battuta di caccia, infatti, Dario cadde da cavallo e si procurò una microfrattura all’altezza del tallone. Nonostante potesse contare su uno staff di medici egiziani, i più validi a quel tempo, tuttavia per sette notti e sette giorni non riuscì a prendere sonno straziato da dolori lancinanti. Venne a sapere allora che tra gli schiavi di Orete si trovava Democede un valente medico greco. Fattolo portare davanti a sé, gli chiese se avesse competenze in medicina. Democede dapprima negò temendo di restare per sempre in Persia nel caso in cui avesse guarito il sovrano, poi confessò temendo la tortura.

Usando medicamenti blandi (forse cataplasmi) insieme a interventi più robusti (manipolazioni), Democede fece ritrovare a Dario sonno e salute. Il re lo ricompensò dandogli non solo ricchezza, ma elevandolo al ruolo di medico di corte al posto di quei medici egiziani che si erano mostrati piuttosto incompetenti. Qualche tempo dopo – continua Erodoto – anche la regina Atossa, moglie di Dario, patì un problema di salute. Le nacque infatti un rigonfiamento sul seno –una mastite con tutta probabilità piuttosto che un carcinoma – che, gonfiandosi suppurò e si aprì dando luogo a una piaga. Fino a quando il male fu piccolo, la regina, per pudore, lo tenne nascosto. Quando invece si allargò fu costretta a chiamare Democede che, non richiedendole in cambio nulla di sconveniente ma soltanto l’aiuto a fare ritorno a Crotone, la guarì. Proprio con l’aiuto della regina Democede poté fare rientro in patria dove sposò la figlia del noto atleta Milone ed entrò a far parte dei circoli pitagorici.

La storia di Democede, narrata in forma romanzesca da Erodoto, attesta come medicina religiosa e medicina laica fossero complementari e rappresentassero due facce della stesso settore. La vicenda aiuta meglio a definire le caratteristiche del medico che, già nel VI secolo a.C., acquisiva le proprie competenze dal padre, che a sua volta le aveva apprese dal proprio padre secondo una trasmissione in linea familiare; era medico itinerante spostandosi laddove c’era bisogno delle sue prestazioni; poteva lavorare come medico pubblico al servizio di comunità, o come medico privato al servizio di ricche famiglie, tiranni e re; riceveva uno stipendio adeguato al ruolo che ricopriva e a chi ne chiedeva e otteneva i suoi servigi; arrivava a ricoprire tale ruolo dopo apposito "concorso pubblico", nel quale, servendosi anche di attrezzi di mestiere, era chiamato a mostrare le proprie competenze.

Una professione, quella di medico, che con Democede trova la prima chiara attestazione, per poi affermarsi pienamente un secolo dopo con Ippocrate di Cos e la sua scuola.

Per maggiori informazioni sul tema trattato con fonti e bibliografia relativa:
G. Squillace, I mali di Dario e Atossa, Modalità di intervento, tecniche terapeutiche, modelli di riferimento di Democede di Crotone (nota ad Hdt. III 129-134,1)
G. De Sensi Sestito (a cura di), L'arte di Asclepio. Medici e malattie in età antica, Atti della giornata di studio, Unical 26 Ottobre 2005, Soveria Mannelli, Rubbettino 2008, pp. 29-62
G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015