…a mio parere è necessario che ogni medico sia un esperto della natura, e si sforzi di capire, se vuole fare il proprio dovere, che rapporto c’è tra l’uomo e i cibi e le bevande che consuma, e le sue attività, e quali sono gli effetti di ognuna di queste cose su ognuno di noi.
(Ippocrate)
Che un quadratino di cioccolato possa influenzare l’umore è qualcosa che tutti abbiamo sperimentato. Ci si sente più gioiosi, e perché no, anche meno depressi. Siamo abituati ad attribuire questo effetto alle sostanze contenute nel cioccolato. In parte è vero: il cioccolato stimola la produzione di endorfine e contiene teobromina.
Le endorfine sono sostanze prodotte dal cervello che servono a contrastare il dolore e attivano i centri del piacere. La teobromina, invece, aiuta a migliorare la concentrazione. Il cioccolato ha anche una notevole capacità di stimolare la produzione di serotonina, l’ormone della felicità, che infonde calma e contribuisce a regolare i bioritmi, innalzando l’umore.
Ma non è solo una questione chimica: l’assunzione di cibo genera emozioni già a partire dal contatto con i nostri sensi — dal gusto, all’odore, al colore. I mutamenti di umore e le sensazioni provocate dal cibo li sperimentiamo quotidianamente. Quando abbiamo fame, è facile sentirsi irritabili, mentre dopo aver mangiato ci sentiamo più sereni.
Prima di approfondire la relazione tra cibo ed emozioni, è utile chiederci: cosa sono le emozioni? Tutti sappiamo cosa sono, perché le viviamo ogni giorno — gioia, tristezza, rabbia, disgusto, piacere — ma definirle non è affatto semplice.
A livello biochimico, la prima componente delle emozioni è costituita dai recettori degli oppiacei, molecole presenti nelle membrane cellulari del cervello e del corpo. A questi recettori si legano sostanze naturali o sintetiche — steroidi, peptidi e neurotrasmettitori — che, una volta legate al recettore specifico, trasmettono uno stimolo alla cellula, modificandone lo stato interno.
Si innesca così una serie di reazioni biochimiche che, tramite proteine G e AMP ciclico, portano alla produzione di nuove proteine trasportabili al cervello, generando una catena di eventi che percepiamo come emozioni e sensazioni.
Ma cosa c'entra tutto questo con il cibo? C'entra eccome. Come detto, il cibo influisce sul nostro umore e, di conseguenza, sulle emozioni, che a loro volta condizionano il nostro stato di salute psicofisico.
Il cibo, infatti, ha un ruolo centrale nella nostra esistenza. Per questo, l’aspetto emozionale è strettamente connesso anche al dimagrimento. Quante volte ci è capitato di mangiare qualcosa e di essere immediatamente trasportati dalla mente a un momento del passato? A quando eravamo bambini, adolescenti, e assaggiavamo lo stesso alimento, associandolo a emozioni vissute in quel momento?
Se la mente inconscia ha associato quell’alimento a un’esperienza di gioia, sarà naturale che, anche in futuro, quel cibo risvegli emozioni positive. Lo stesso vale per un’associazione negativa.
Le neuroscienze, l’immunologia e l’endocrinologia — discipline apparentemente separate — sono in realtà collegate da una vasta rete di comunicazione interna. Consideriamo, ad esempio, l’intestino: il suo rivestimento è composto da cellule nervose contenenti neuropeptidi e recettori.
È per questo che percepiamo le emozioni anche "a livello viscerale". Espressioni come "lo sento nella pancia" o "è viscerale" non sono solo metafore. Studi non più recenti e recenti mostrano che, ad esempio, la rabbia aumenta la motilità intestinale e infiamma la mucosa gastrica, mentre l’euforia ha un effetto calmante. Le emozioni influenzano lo stato di salute, e il cibo può agire direttamente sia sull’organismo sia sulle emozioni, generando un circolo virtuoso o vizioso.
Per fare una pagnotta servono farina, acqua e lievito: elementi diversi che uniti formano qualcosa di nuovo. Tuttavia, anche se mangiamo la stessa fetta di pane, ognuno di noi reagisce in modo diverso, perché ogni corpo è unico: cambiano la flora intestinale, la risposta ormonale e anche il grado di piacere.
Il cibo è uguale per tutti, ma l'approccio emotivo è personale. Ogni cosa che "mettiamo dentro" porta con sé un condimento aggiuntivo: il nostro vissuto psico-emozionale.
Il nostro rapporto sensoriale con il cibo inizia fin dalla nascita — e forse ancora prima, durante la gestazione. Molte donne in gravidanza cambiano gusti alimentari, iniziando a desiderare cibi mai consumati prima. Il latte materno, ad esempio, può evocare emozioni legate al contatto fisico e alle coccole, oppure, se mal tollerato, può richiamare il disgusto. Per un neonato, il cibo è il primo mezzo di comunicazione non verbale con la madre e, attraverso lei, con il mondo.
Se il cibo è un mezzo per comunicare affetto, sicurezza, amore, è naturale che diventi, col tempo, un surrogato dell’affetto stesso. Se il bambino associa il cibo all’amore materno, crescendo potrà inconsciamente ricercarlo per colmare un vuoto emotivo.
Pensate a quanti messaggi subliminali riceviamo durante l’infanzia: “Sei stato bravo? Ecco una caramella!”
Da adulti, quella caramella può trasformarsi in un’intera cena come premio per qualcosa. Oppure: “Mangia tanto, così diventi grande e forte.”
E quante volte, da adulti, ci assale un desiderio irrefrenabile di pizza, biscotti, cioccolato? Soprattutto durante una dieta. E spesso cediamo a questo richiamo. Ma a cosa è dovuto? A un reale bisogno fisiologico o a emozioni inconsce che usiamo per sabotarci?
Forse dovremmo smettere di riempirci di cibo, e iniziare a svuotarci delle emozioni che ci portano a riempire quel vuoto interiore. Riconoscere, comunicare, dare voce a ciò che sentiamo può essere l’inizio del cambiamento.
Se vogliamo davvero dimagrire, dobbiamo chiederci: quali emozioni ci portano davanti al cibo per essere soffocate? Solo così potremo ritrovare l’equilibrio con noi stessi.
Quando siamo in buona compagnia, o siamo innamorati, quando il “cervello del cuore” produce ossitocina, adrenalina e serotonina, anche una fetta enorme di torta può non farci ingrassare, perché non serve a colmare un vuoto, ma accompagna uno stato di benessere. In quel momento, le nostre emozioni e il metabolismo sono in armonia.
Il cervello della testa, il cervello del cuore e il cervello addominale lavorano all’unisono. Ed è lì che nasce quella magia: un’energia sottile, che attraversa lo sguardo e si percepisce solo col cuore. Il cibo diventa così balsamo per il corpo e per la mente.
A quel punto, sarà il metabolismo a decidere di non alterarsi, oppure sarà l’approccio emozionale a determinare l’effetto che quel cibo avrà su di noi. E in questo senso, si realizza la massima di Ippocrate:
Fa’ che il cibo sia la tua medicina, e la medicina sia il tuo cibo.
Il cibo, in quanto legato alle emozioni, diventa un mezzo per comunicare con il nostro corpo, che troppo spesso grida nel silenzio per attirare la nostra attenzione e guidarci verso la via del benessere. Iniziare a conoscere meglio noi stessi e tutto ciò che introduciamo nel corpo ci conduce a un cambiamento che tocca ogni aspetto: fisico, mentale, emozionale.
Provate a immaginarvi magri, se non lo siete, e decidete di usare tutte le vostre risorse emotive e razionali. Ricreate un nuovo modello mentale: vi accorgerete che anche le scelte alimentari inizieranno a cambiare. Provate a scovare i modelli auto-boicottanti, i traumi che creano vuoti che si riempiono con il cibo. A comprendere cosa rappresenta il cibo nell’inconscio. La kinesiologia, in tal senso può essere uno strumento utile.
Ricordate: la parola immaginare deriva dal latino In Me Mago Agere, cioè "il mago che agisce in me".
Ed è lì che inizia la magia.














