“L’allegria è una desaparecida? Credo di no, ma constato uno strano e diffuso pudore nel manifestare questo stato d’animo; è più frequente passare da esaltazioni più o meno fasulle a cadute depressive. E invece l’allegria è importante ancora di più nei periodi difficili e dolorosi perché una luce è utile quando fa buio”.

“Nei campi di sterminio non c’erano solo gli ebrei… Nei campi di sterminio c’erano gli omosessuali, i Sinti, i Rom, i testimoni di Geova e anche i prigionieri politici che non fanno più parte della memoria collettiva… ”.

“Certo la bellezza è un’idea soggettiva e non tutti la troviamo nelle stesse cose, ma ognuno di noi può andare alla ricerca di quella particolare armonia o disarmonia che inchioda la sua attenzione… La bellezza salverà il mondo come pensava Dostoevskij? Non lo so, ma senza la bellezza non riesco ad immaginarne un senso”.

“Il fanatismo è una malattia psichica ed esiste da sempre, ma ci sono tempi, situazioni e paesi che sembrano favorirlo, offrendogli spazio e incoraggiamento; allora il fanatismo, che sia religioso, politico o sportivo, può diventare una malattia sociale che porta con sé angoscia, terrore e perversione”.

“Alcuni pensano che la malinconia sia un disagio, un problema, comunque una molestia. A me invece sembra un sentimento collegato alla coscienza della condizione umana. Ci sono momenti così, come se calasse una leggera nebbiolina e piovesse piano per un po’. Niente temporale, niente alluvione, nessuna tragedia, solo un momento che ha il suo motivo di essere, come la pioggia, e lava la nostra anima aiutandoci a trovare l’energia per andare avanti”.

Poesia e determinazione, passione per il bello e per il sociale, queste le parole di Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e psicoanalista, presidente della Scuola di specialità in Psicoterapia LI.S.T.A di Milano, docente di Psicologia clinica e Psicologia degli aggregati sociali. La dottoressa Valcarenghi, che è anche presidente dell’Associazione Viola per lo studio e la psicoterapia della violenza, reputa infatti il lavoro psicoanalitico indissolubilmente intrecciato al sociale, tanto che dal 1994 ha introdotto in carcere l’opportunità di avvalersi della terapia psicoanalitica ai detenuti in reparto di isolamento, costruendo, cammin facendo, un suo metodo di lavoro che ha azzerato la recidiva tra i suoi pazienti sia all’interno che fuori dal carcere. Crede fermamente e appassionatamente di portare la psicoanalisi anche fuori dagli studi professionali e il suo raggio di cura si estende in un abbraccio all’umano per lenirne il dolore del vivere. Ecco il nostro scambio di pensieri.

Per lei il piacere è …

Tenere il timone e sentire il silenzio e la barca che fila sulle onde, ricevere gli amici e cucinare per loro, parlare con mio figlio e i miei nipotini, vedere un mio paziente che ritrova la sua strada, fare progetti, scrivere, ricamare, ascoltare della buona musica, rileggere certe pagine di Calvino e tanto tanto altro.

La donna oggi: liberazione o integrazione?

Tutte e due le cose: a che cosa serve essere libere se non partecipiamo? E come possiamo partecipare, in quanto donne, alla costruzione del mondo, se non siamo libere di essere noi stesse? Quella a cui assistiamo nella gran maggioranza dei casi è una banale cooptazione. Ma siamo in molte ormai che ci stiamo provando.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

Intrecciarli è un’arte che si apprende, un’arte difficile qualche volta, ma ne vale la pena.

Psicoanalisi e immaginario collettivo: come lei ha recentemente scritto, la psicoanalisi, ora, come nel passato, è stata oggetto di travisamenti, falsificazioni, banalizzazioni. Qual è allora la sua verità?

Si cerca di immergere anche gli psicoanalisti in questa brodo di curanderos più o meno improvvisati, più o meno modaioli. Operazione intellettualmente disonesta. Non siamo curanderos, ma non siamo nemmeno psicologi, con i quali spesso veniamo confusi. Per fare il nostro mestiere non basta la laurea in psicologia: dopo i 5 anni di università e il tirocinio, ci sono 4 anni di specialità, un altro periodo di tirocinio e anni di supervisione e soprattutto di analisi personale. Si impara, fra le altre cose, a indagare l’inconscio personale e collettivo e anche a contenere le nostre proiezioni sui pazienti. A partire da lì inizia la “cura”. Un analista non giudica, non consiglia, non insegna, non guida, in definitiva non lavora sul sintomo, non è un maestro o un guru, è un ricercatore e, insieme al suo paziente e osservando il suo inconscio, la sua coscienza e l’ambiente in cui è immerso, va cercando la strada della liberazione dalla sofferenza psicologica. E’ un lavoro molto difficile, ma se lo si sa fare, offre straordinarie soddisfazioni e tanto lavoro.

Il titolo di un suo libro è L'insicurezza. La paura di vivere nel nostro tempo: quali sono, oggi, i principali fattori negativi che influiscono sul nostro bisogno di sicurezza?

Esistono tre forme di insicurezza – come scrivo anche nel mio libro – l’insicurezza esistenziale, connaturata alla nostra umanità e che deriva dalla consapevolezza che abbiamo ben poco potere sulla nostra vita e sulla nostra morte e questa insicurezza dovrebbe essere accolta come parte della condizione umana. Esiste poi un’insicurezza personale a tonalità nevrotica che deriva dalla scarsa fiducia nelle proprie possibilità o da ambizioni esagerate e infine un’insicurezza collettiva – caratteristica del nostro tempo – dipendente dalla crisi del patriarcato per l’incrinarsi dei tre pilastri sui quali si reggeva: lo sfruttamento delle classi sociali deboli, lo sfruttamento dei popoli colonizzati o schiavizzati e delle loro materie prime, l’oppressione del genere femminile. Le cause dell’insicurezza collettiva – alla quale credo che si riferisca la domanda – sono riconoscibili quindi nella crisi del sistema occidente.

C'è un collegamento con quella “capacità negativa” che secondo Bion riguarda il saper tollerare il dubbio e l'incertezza senza essere afflitti dall'ansia persecutoria?

La capacità negativa di Bion è un obiettivo fondamentale in un’analisi, ma dobbiamo tenere conto che lui scriveva in un altro tempo e che il nostro tempo è segnato da paure, insicurezze, crisi - e anche opportunità, certo - impensabili in passato. Per la prima volta nella storia possiamo distruggere in poche ore il pianeta, per la prima volta nella storia una gran parte delle donne può essere padrona di se stessa e del proprio destino: basterebbero questi due dati, ma altri ce ne sono. Non si tratta più solo di contenere l’ansia persecutoria dei tempi di Bion. Oggi lo scenario è molto più complicato e l’ansia non riguarda solo il dubbio e l’incertezza, ma la sopravvivenza stessa della Terra, l’assenza di codici culturali e morali condivisi, la crisi del sistema occidentale e la difficoltà nella ricerca di nuovi equilibri socioculturali e personali possibili.

Il contorto panorama politico italiano e il rapporto tra elettori ed eletti si è prestato ultimamente anche ad alcune interpretazioni psicoanalitiche: si sente di darne una anche lei?

Per carità no! Solo la frase di un collega degli anni Trenta: “In tempi normali siamo noi che ci occupiamo di loro, ahimé in questi tempi sono loro che si occupano di noi”.

Lei ha scritto: “Vedo coppie senza amore e pochi coraggiosi che ne accettano i rischi”, quali sono i “rischi” che bisogna aver coraggio di affrontare?

Per esempio: il tradimento, l’abbandono, un diverso modo di cambiare negli anni, l’indifferenza, la resa di fronte all’usura del tempo, la solitudine... Spesso le coppie – dopo una prima fiammata amorosa – su quelle ceneri costruiscono l’abitudine a stare insieme per eliminare il rischio della solitudine.

E cosa vuol dire essere un buono psicoanalista?

Per essere un bravo analista servono questi requisiti fondamentali: talento, passione, cultura clinica, cultura generale, curiosità per le trasformazioni sociali, consapevolezza che l’analisi cambia come cambiano i tempi, e come cambiamo noi e dunque le mentalità, i problemi, i sogni e il modo di stare al mondo. E’ anche molto importante non essere noiosi e rinunciare a “dare buoni consigli”.

Freud, Jung, Adler, ecc. le scuole psicoanalitiche, oggi, rivendicano ancora l'ortodossia ai loro padri?

Spero proprio di no: l’ortodossia è la peggior nemica della ricerca scientifica. Oggi non si fa matematica seguendo la scuola pitagorica, né fisica seguendo la teoria sul fuoco di Eraclito, né psicoanalisi fondandosi sull’invidia del pene. Del resto Freud e Jung sono stati formidabili trasgressori rispetto all’ortodossia del loro tempo.

Lo psicoterapeuta, attualmente, quali nuove patologie si trova a dover affrontare? E con le nuove ondate migratorie e l'incrociarsi di culture diverse, cambia anche il panorama della mente?

La società multi etnica che andiamo costruendo darà il colpo di grazia a tutti i vecchi equilibri socio culturali ed economici che sono già in crisi. Cambierà tutto, dalla cucina, al colore della pelle, dalla musica, all’arte visiva, dai consumi alle forme di apprendimento... come pensare che non cambi la psiche e che quindi non si manifestino altre e diverse forme di sofferenza? Oltre alle particolari inevitabili sofferenze della prima e della seconda generazione di immigrati nel processo di integrazione.

Quale funzione contenitiva e protettiva ha per lei Milano?

Non mi sento né contenuta né protetta; amo questa città in cui sono nata, da cui sono partita e a cui sono infine tornata. E’ un vero amore e come con un vero amore ci litigo spesso: per la volgarità spocchiosa di corso Como, perché a suo tempo ha accettato di essere berlusconiana, perché ospita ripugnanti residui razzisti e nasconde intrallazzi mafiosi e altro ancora. Ma ci vive anche gente stupenda, serpeggia un senso dell’umorismo che rende leggero anche lo smog, ci sono i centri sociali, si fa della meravigliosa musica, si traffica, si lavora, si produce, si inventa, si protesta, e si diffida del vittimismo: Milano è viva. E Milano è bella. E poi, da sempre, quando arriva il momento, è capace di radicali ribellioni.