La Vecchiato Arte è lieta di presentare la mostra Personaggi senza tempo, importante antologica dell’artista Angelo Bordiga, nella prestigiosa sede espositiva di Via Alberto da Padova 2 a Padova.

“Avanzi di moquette, vecchie lenzuola, tappeti da pochi soldi e scampoli di tessuto, di quelli che si trovano nei retrobottega delle mercerie fuori moda. Qualsiasi supporto è buono per le aggressioni pittoriche di Angelo Bordiga. Naturalmente anche le tele tradizionali, ma in questo caso, prima di abbozzare la composizione, vengono sommerse da uno strato di colore denso e materico. Olio solitamente, ma qualsiasi pigmento si trovi a portata di mano può essere utile. A Bordiga interessa solo l’atto del dipingere ed è disposto a farlo – prendendo in prestito lo slogan coniato dal leader afroamericano Malcolm X – “con ogni mezzo necessario”. Attaccando qualsiasi superficie con qualsivoglia strumento gli consenta di fare pittura. …Bordiga mette in scena una pittura silente, nel senso che è del tutto priva di narrazione: non c’è racconto, non c’è azione, nulla accade e non si incontrano storie da ascoltare o da interpretare. È il colore a squarciare il silenzio come un urlo nella notte. Gli impasti di pigmento sono gli accordi che permettono di individuare la tonalità della sinfonia pittorica, il basso continuo che conferisce il carattere al pezzo. Ora tetro e cupo, ora violento come solo il rosso sangue sa esserlo, ora candido e puro….” Michele Tavola.

Questa esposizione sancisce così un lungo rapporto tra Vecchiato Arte e l’ artista, riconosciuto dal pubblico più esigente che ricerca e distingue i grandi protagonisti dell’arte.

Le ricette pittoriche di Angelo Bordiga di Michele Tavola

Avanzi di moquette, vecchie lenzuola, tappeti da pochi soldi e scampoli di tessuto, di quelli che si trovano nei retrobottega delle mercerie fuori moda. Qualsiasi supporto è buono per le aggressioni pittoriche di Angelo Bordiga. Naturalmente anche le tele tradizionali, ma in questo caso, prima di abbozzare la composizione, vengono sommerse da uno strato di colore denso e materico. Olio solitamente, ma qualsiasi pigmento si trovi a portata di mano può essere utile. A Bordiga interessa solo l’atto del dipingere ed è disposto a farlo – prendendo in prestito lo slogan coniato dal leader afroamericano Malcolm X – “con ogni mezzo necessario”. Attaccando qualsiasi superficie con qualsivoglia strumento gli consenta di fare pittura.

I supporti non convenzionali diventano parte integrante dell’opera stessa, l’artista ne sfrutta la trama e le valenze cromatiche costruendo di conseguenza gli impianti compositivi. L’arancione acido e francamente nauseante di un lenzuolo che non concilia il sonno e non invoglia nemmeno ad altre attività che un letto consentirebbe, diventa lo sfondo sul quale appare una dama nerovestita dall’aria spaesata. Altre figure spettrali posano sul rosso eccessivo di un pezzo di moquette che avrebbe potuto tappezzare solo le pareti di un bordello negli anni della Belle Époque. Le stoffe fortunatamente mai divenute abiti e i tappetini di cattivo gusto, dopo che Bordiga vi ha dipinto i suoi personaggi inquietanti e intimamente inquieti, assumono la dignità di arazzi moderni dall’impatto visivo impressionante. Ciò che sembrava inevitabilmente destinato alla raccolta differenziata, non solo viene abilmente recuperato ma diventa elemento determinante negli equilibri formali delle opere del pittore bresciano.

Il modus operandi non cambia quando Bordiga affronta una normale tela, ma in questo caso è lui stesso a creare l’ambiente nel quale collocare le immagini, scegliendo la tonalità destinata a condizionare il clima e lo spirito del quadro. Si dirà tra poco degli uomini e delle donne che popolano la sua strana umanità pittorica, ma si deve aggiungere ancora qualche riflessione sui fondali astratti e quasi monocromi che giocano un ruolo fondamentale. Bordiga mette in scena una pittura silente, nel senso che è del tutto priva di narrazione: non c’è racconto, non c’è azione, nulla accade e non si incontrano storie da ascoltare o da interpretare. È il colore a squarciare il silenzio come un urlo nella notte. Gli impasti di pigmento sono gli accordi che permettono di individuare la tonalità della sinfonia pittorica, il basso continuo che conferisce il carattere al pezzo. Ora tetro e cupo, ora violento come solo il rosso sangue sa esserlo, ora candido e puro. Non a caso Bordiga sogna di progettare, in futuro, “colonne sonore” e accostamenti timbrici per i suoi dipinti.

La qualità emotiva del colore è di importanza capitale, ma l’ambito della figurazione, per quanto eterea e impalpabile possa essere, non viene mai abbandonato. Chi siano le ombre che vagano per le tele, non è dato sapere. Tra le ampie campiture cromatiche si stagliano personaggi stanchi di esistenze che somigliano più a un fardello da portare che a un dono divino, ectoplasmi dall’identità indefinibile, emblemi di esistenze che hanno attraversato la storia dell’umanità senza lasciare traccia, alla ricerca di un senso che è difficile spiegare e ancora più difficile comprendere. Rispetto alle opere degli esordi di Bordiga e a quelle dello scorso decennio sembra che, nei dipinti più recenti, le forme si siano sfaldate, liquefatte, destrutturate, progressivamente decomposte attraverso un processo lento ma inesorabile che deve essere letto in chiave fisica, etica e morale. Si ha la sensazione che l’artista, a furia di lavorare attorno agli stessi soggetti e agli stessi temi, li abbia via via scarnificati per far emergere la loro essenza, il loro aspetto interiore. Aveva ragione Renzo Margonari quando, in occasione della personale da lui curata al Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano di Gazoldo degli Ippoliti, scriveva che il lavoro di Angelo Bordiga sarebbe piaciuto a Giovanni Testori per via di quella “linfa proveniente da radici profonde, risalendo almeno a un pittore detto Pitocchetto che dipingeva straccioni, vagabondi, povera gente, bambini dai vestiti laceri [...], era un pittore del silenzio, della solitudine e della meditazione, artista controcorrente, diverso, estraneo alle convenzioni e alle convenienze dell’epoca”.

Il paragone è calzante e indica la strada lungo la quale proseguire per leggere l’opera di Bordiga, che non dipinge dal vero, non si ispira alla realtà e non utilizza tracce fotografiche. Al contrario la sua arte è profondamente antinaturalistica e trova riscontri e ispirazione all’interno della storia della pittura. Per comprendere il suo lavoro sarebbe poco utile avventurarsi alla ricerca di riferimenti iconografici o stilistici, per altro facilmente individuabili. L’ombra di Bacon aleggia come una presenza ineluttabile e la linea di discendenza diretta dai maestri del realismo esistenziale, da Ferroni a Vaglieri, è evidente. Invece, quando si dice che il percorso di Bordiga è interno alla storia della pittura, si intende richiamare la sua continua e ossessiva ricerca di procedimenti sperimentali, di modi di impastare e stendere il colore, di “gesti creativi”. Di fronte alle figure o agli sfondi neri possiamo capire quanto l’occhio di Bordiga ha nuotato attraverso le pieghe e gli impercettibili passaggi tonali dei panneggi di Frans Hals e di Édouard Manet. È facile immaginare che, come un novello Faust, avrebbe stretto volentieri un patto con Mefistofele pur di poter spiare Goya mentre realizzava le Pitture nere. E il bianco degli abiti da sposa non può non far pensare a un attento studio dei tocchi veloci e sicuri di Boldini. La pittura tarda di Rembrandt, quella più sfaldata e tecnicamente ardita, è stata sicuramente un campo di battaglia per la conquista di formule alchemiche. O “ricette pittoriche”, come le chiama Bordiga, con le quali si confronta quotidianamente e che sono la ragione vera del dipingere. Questo modo di lavorare e di intendere la pittura, come lui stesso racconta, nasce dall’imprescindibile insegnamento appreso nelle aule dell’Accademia di Brera da Beppe Devalle, il suo primo maestro: artista colto e grande pittore, scomparso nel 2013, era convinto e ha insegnato che la pittura nasce dalla pittura. L’indagine, la vivisezione e la revisione personale attraverso la propria sensibilità delle “ricette pittoriche” elaborate nel corso dei secoli sono il viatico per un’arte nuova e di qualità. Gli stili del maestro e quello dell’allievo, come è giusto che sia, non hanno nulla a che spartire l’uno con l’altro, ma Bordiga ha indubbiamente raccolto da Devalle un testimone pesante e impegnativo, che ha tutto il sapore di una missione e di una scelta di vita radicale, che va ben oltre i confini di una tela ma che nei confini di una tela trova tutte le sue ragioni di essere.

Angelo Bordiga nasce a Bagolino (BS) il 24.1.1963, attualmente vive e lavora a Brescia. Diplomato all’Istituto d’Arte di Cantù, sessione decorazione pittorica (maturità d’arte). Diplomato all’Accademia di Brera di Milano. Dal 1989 collabora come scenografo e pittore realizzatore nella compagnia teatrale “Uscita di sicurezza” di Milano. Dal 1994 al 1996 lavora come decoratore per l’Istituto Grafico Italiano di Milano. Apprendistato come restauratore di opere architettoniche con la “Cooperativa per il Restauro” di Milano. Dal 1998 al 2000 collaborazione per lavori di decorazione “Trompe-l’oeil” con la ditta “Gilmajo” di Brescia. Un’opera è in esposizione permanente dal 2006 presso il Civico Museo Parisi-Valle di Maccagno (VA).