Dalle bianche e piatte coste della Sicilia Sud-orientale, fino alle scoscese pareti del vulcano Etna, trovano espressione svariati esempi di un’enologia antica che per lungo tempo ha attraversato un periodo di oblio. Un’enologia che, su terreni che variano dall’argilloso al minerale fino al più grossolano della pietra lavica, produceva vino da taglio con gli storici vitigni del Nero d’Avola e del Nerello Mascalese. Dalla Sicilia costiera a quella montanara, le cantine Ramaddini, Gambino e Patria sono tre meravigliosi esempi di una viticultura in evoluzione.

In provincia di Siracusa, sulla costa sud-orientale dell’isola, vicino al mare di Marzamemi, l’azienda Feudo Ramaddini, costituita nel 2003 ma situata in quello che nel 1897 venne chiamato “Palmento dei pazzi” dato il livello tecnologico superiore a qualsiasi altro palmento della zona. Questa azienda si dedica alla produzione di vini da vitigni Chardonnay, Moscato e Nero D’Avola, cercando di valorizzare i suoi vini cresciuti in una zona vitivinicola abbandonata. Siamo infatti vicini alla località di Pachino, famosa ormai per i pomodorini. In questo luogo dagli anni Venti, le vigne sono state infatti abbandonate a favore della coltivazione dei pomodori, nonostante l’enorme potenziale di una terra baciata dalla brezza marina e allo stesso tempo ricca di materiale vulcanico proveniente da un’ormai spenta bocca secondaria del vulcano Etna. Una terra ricca di minerali e povera di calcare. Queste due caratteristiche favoriscono la crescita di alcuni ben noti vitigni al contrario di altri più deboli e sensibili al vento tipico della zona.

Un luogo in cui la viticoltura si è persa nonostante sia stata l’elemento di sostegno della comunità agricola e contadina di quest’area. Tale dato ci pone un grandissimo punto di riflessione sul perché un luogo votato alla viticoltura ne ha invece quasi del tutto perso le tradizioni, tornando solo oggi alla riscoperta di tale nobile pratica. La vite è stata a lungo abbandonata in favore del pomodoro, in cerca di un prodotto facile da coltivare, votato alle massime rese possibili, prova ne sono le serre sparse per la regione. Il vino invece è stato antecedentemente protagonista di questi luoghi dove veniva coltivato, al contrario di oggi, un “succo d’uva” dedicato alla tavola contadina nel migliore dei casi, anche se la sua destinazione naturale era il taglio di altri vini.

Il rosso siciliano dava infatti, grazie alla grande assolazione, un vino dal colore intenso e dal forte tenore alcolico, adatto quindi a rinforzare altri vini come quelli francesi e spagnoli. Il vino della aziende, tutte vicine al mare, veniva convogliato grazie ai cosiddetti “enodotti”, delle lunghe tubazioni che, passando per tutte le aziende del luogo, convogliavano per caduta tutto il vino in delle enormi cisterne fino al vicino porto per essere poi trasportate. Questa peculiarità di trasferimento del vino ci dà una perfetta idea del valore che questo aveva da un punto di vista sia commerciale che qualitativo. Le produzioni si calcolavano in milioni di litri, prova ne sono le antiche cisterne, conservate dalla cantina Ramaddini, per una capienza di ben sei milioni di litri (tutto un altro mondo rispetto alle tanto blasonate barrique da “soli” duecentoventicinque litri!).

Questo luogo è tuttavia un fertile terreno per una necessaria rivalutazione di un territorio antico e caratterizzato da un’altrettanto antica cultura del cibo e del vino. La zona di Pakus-òinos (Pachino) significa infatti “terra del vino buono” e il dovere di riscoprire gli antichi sapori, dai mandorleti sino al cioccolato di Modica, è un viaggio che si addentra profondamente nelle radici di questa terra.

Il terreno tendenzialmente calcareo e la grande assoluzione permettono la coltivazione di varietà che in queste condizioni si esprimono al meglio permettendo alle quattro etichette proposte dalla cantina di lasciare a bocca aperta chi assapora i vini di questa splendida realtà. Leggendo le etichette di questi vini come, ad esempio, il vino Patrono che si mostra imponente nel nome come nel sapore, e il Nassa, così chiamato in onore di questo antico e importante strumento della pesca isolana, si rimane incuriositi di come storia, passione e cultura si intreccino perfettamente in questa cantina che dall’altopiano di Noto fino alle coste accarezzate dal mare è un vero tesoro dal quale non si può non rimanere incuriositi.

Una strada suggestiva, che dalla costa, mi ha portato alle pendici del vulcano attivo più alto d’Europa accompagnandomi attraverso zone aride e secche che si alternavano con luoghi umidi e lussureggianti, ricolmi di agrumi e fichi d’India che costellano il paesaggio. Sul versante nord-orientale, nella zona di Linguaglossa, le piccole e dimenticate borgate si susseguono, separate da lunghi tratti in cui si trovano alcuni vecchi casolari. Zone ventose e fredde si alternano ad altre in cui la conformazione del territorio porta una leggera e calda brezza.

A poche decine di chilometri di distanza l’una dall’altra si trovano le aziende Gambino e Patria e interessanti sono le differenze di due cantine così vicine e così lontane allo stesso tempo. La prima, con i suoi soli trentadue anni, è un’azienda giovane per il mondo della viticoltura. Qui tre fratelli con una forte passione per il vino gestiscono una realtà, se non unica, sicuramente dal grandissimo valore sociale oltre che qualitativo. Un luogo in cui si parla di vino e ad esso si accompagnano unicamente i prodotti tipici del luogo. Una ricerca attenta di accostamenti e una cura maniacale della sala degustazione.

Affacciandosi dalle ampie vetrate della sala, si assapora il territorio delle valli vulcaniche, il tutto accompagnato da musica e dalla scelta dei più prelibati accostamenti: formaggi erborinati con i vini più forti, i pomodori secchi sott’olio con i più leggeri e ancora olive, ceci e salsicce del famoso maiale nero dei Nebrodi per accompagnarne altri. La cura dei dettagli, la passione nel volere scoprire sempre qualcosa di nuovo e del volere valorizzare il proprio territorio, enfatizzandone le qualità globali nel connubio di sapori proposti sono secondo me elementi fondamentali. Non una semplice degustazione di vino siciliano ma una degustazione della Sicilia dei cui sapori il vino di questa azienda si fa portavoce. Questa è un’azienda “che vuole andare piano” come ci ha detto il proprietario Francesco Raciti. Un’azienda composta da tre fratelli innamorati del loro mestiere e che vogliono valorizzare le loro sette preziose etichette. Non hanno fretta di crearne di nuove e pongono vino e consumatore al centro delle loro attenzioni.

La cantina possiede due sale degustazione che ospitano ogni anno circa ventimila turisti del buon bere, un luogo in cui “Non si viene se si vuole mangiare e nel quale non si accettano prenotazioni come ristorante” queste le parole del proprietario che come ci ha spiegato vuole tenere ben separati i concetti di ristorazione e degustazione. “Non si viene per mangiare, si viene per capire questo vino, anche se ovviamente non vi faccio andare via affamati”, afferma Francesco, mentre sul tavolo si mescolano i sapori e gli aromi dei vini più minerali e di quelli più fruttati, fino a incontrare i tannini decisi della riserva.

Entrare in questa cantina è come intraprendere un percorso , un “tour del gusto” che mi ha portato a definire quest’azienda una stupenda realtà nella quale perdersi per poi ritrovarsi. Un’azienda che nella sua voglia di stupire è riuscita a colpirmi attraverso le etichette delle sue bottiglie. Come non essere curiosi del Petto Dragone o del Tifeo e ancora del Feu D’O che subito fa riemergere un riferimento a L’histoire D’O di Dominique Aury e alla profonda connessione fra vino ed Eros. Entrambi conquistano l’uomo e lo confondono, trascinandolo in un vortice passionale di emozioni rivelate e celate. La storia e la letteratura ci vengono incontro con molti riferimenti e connessioni tra il mondo dell’eros e quello del vino. I greci e i latini hanno fatto del vino un Dio: Bacco e Dioniso, entrambi connessi alle festività. Il vino era e resta ancora un piacere, nonché simbolo dei numerosi banchetti che spesso si tramutavano in orge collettive.

Andando pochi chilometri a nord verso Solicchiata ho visitato l’azienda Patria. Qui mi sono trovato di fronte a una realtà molto diversa. Dalle circa centomila bottiglie dell’azienda Gambino alle ottocentomila/un milione di Patria, dalle sette etichette della prima alle quaranta della seconda. Una vera raccolta di decine di varietà di vino (persino uno spumante analcolico) che vanno da un prodotto base di largo consumo a etichette pluripremiate di rossi e bianchi.

Un’azienda che può vantarsi di una delle bottaie più grandi e antiche del luogo, un anfiteatro romano dove persino tra le sedute crescono alcune viti e un’immensa cantina sotterranea che tra le moderne mura lascia ancora spazio alla pietra lavica che si impone con forza sullo sfondo. Un luogo in cui si mescolano passato e futuro, dove vini importanti nascono dalla tecnica e dalla passione per un prodotto antico. Qui le vigne crescono tra le sedute e attraversare questo pezzo di storia immerso tra le viti si dimostra veramente suggestivo.

La prima azienda che ho visitato mi ha colpito per l’aspetto umano che questi tre fratelli propongono ai fortunati avventori, un luogo in cui si accetta la meccanizzazione, tenendo conto però del carattere vivo del vino, ritrovato nella lavorazione manuale. Poche raffinate etichette, al contrario di quelle vistose della seconda cantina. Una continua riflessione sul vino e ciò che lo circonda con degli ambienti curati sin nei minimi particolari. Nella seconda azienda la forse troppo fredda sala degustazione era parte di un casolare di uffici che strideva con gli altri ambienti così curati. Le bottiglie poi, poste in visibili teche di vetro agghindate da premi e decori facevano da sfondo assoluto, distraendo forse dall’essenza stessa del vino della cui qualità non si può dubitare. Nell’azienda Gambino l’uomo e il vino ci sono sembrati vicini: “Qui diamo a ciascuno il suo, non vogliamo andare troppo di fretta e ognuno deve avere la possibilità di fare il proprio lavoro”, ci ha detto Francesco Raciti e i tanti giovani sommelier che si affaccendavano, competenti e pieni di sorrisi, innamorati del vino e di questa stupenda famiglia, ne erano una forte testimonianza. Alla cantina Patria si notava il contrasto fra i laboratori costellati di volti attenti ai monitor e gli altri luoghi in cui si aveva la sensazione di toccare con mano la ricerca e la passione per il vino di questa meravigliosa cantina.

Queste due realtà si presentano entrambe ricche di possibilità e di produzioni uniche. Penso tuttavia che si debba riflettere su come l’aspetto umano e il calore familiare siano due aspetti essenziali per assaporare il vino. Non una bevanda come tante altre ma un elemento in divenire, quasi un “figlio da volere crescere e allo stesso tempo un elemento sociale” e non esagero volendo citare quel maestro che era Euripide quando scrisse:
In dono al misero
offre non meno che al beato, il gaudio
del vino ove ogni dolore annegasi
.

Ho parlato di aziende uniche che hanno la fortuna di estendersi su di un terreno vulcanico ancora vivo e ricco di terreni dalla fertilità vergine grazie alle continue attività del vulcano e delle numerose bocche laterali che lo compongono, formando un fondo sabbioso vulcanico unico in Italia. La Sicilia è da sempre il crocevia del Mediterraneo e viene influenzata in ogni sua sfaccettatura dalle civiltà e dai popoli che si sono susseguiti. Dopo avere goduto dell’onore di visitare queste splendide realtà marittime e montane, mi sono reso conto ancor di più di quante possibilità la Sicilia abbia ancora da giocare nella sfera gastronomica. Un'isola che sempre più si allontana dalla sua antica connessione con i “vini di seconda scelta” e che cerca di dare forza a quei vitigni cosi unici che ne costellano la superficie. Un luogo in cui troviamo la sabbia così come la lava, un sole caldo e dal calore avvolgente e allo stesso tempo temperature rigide man mano che saliamo su quel vulcano così bello che nasce in luogo in cui il calore della sua lava e della sua terra cosi ruvida e selvaggia si può ritrovare nei suoi abitanti così calorosi e ricchi non di denaro ma bensì di amore e passione per la loro terra.