Un'amica rientrata in Italia dopo anni di girovagare in Europa mi chiede di accompagnarla nella sua città natale a vedere l’Orto Botanico patavino, sito dell’Unesco (1) recentemente oggetto di un sorprendente e ambizioso progetto che dopo quasi cinquecento anni dal suo concepimento ne ha raddoppiato le dimensioni e cambiato la fisionomia.

L’Orto Botanico di Padova vanta il primato di primo orto del mondo, essendo stato concepito e realizzato nella prima metà del cinquecento, e rappresenta una delle più emblematiche e significative opere architettoniche del Rinascimento italiano. Seguiranno quello di Leida nel 1577, di Parigi nel 1590, di Oxford nel 1621. Prima di addentrarci nel giardino, situato nel cuore della città di Padova, tento di sintetizzare un poderoso pezzo di storia della città che vedeva coinvolti la città di Venezia, che ne volle la costruzione, e l’Università di Padova, dal 1405 sotto il dominio della Repubblica di Venezia. L’Università stabilisce nel 1547 una nuova sede vicino alla locanda Hospitium Bovis, ove l’ateneo ospitava studenti e docenti provenienti da ventun nazioni. Nel 1545 fu fondato un orto sui terreni del monastero di Santa Giustina, una delle più antiche chiese patavine. Il modello di questa nuova costruzione doveva essere un laboratorio scientifico di avanguardia collocato in una “bella fabbrica”. Fu così disegnato un Hortus sfericus, un giardino circolare di 84 metri di diametro. L'ideatore dell'orto fu un famoso letterato e scienziato veneziano che visse tra il 1514 e il 1570: Daniele Barbaro, di nobile famiglia, figlio di Francesco e Elena Pisani, che studia alla celebre Scuola di Rialto a Venezia. Questa fu la sua prima occasione per esprimersi come architetto (2).

La forma del giardino è un cerchio iscritto in un quadrato. Nel cinquecento gli architetti si ispiravano agli studi più importanti sulle proporzioni geometriche, una di queste tra le più note è l'Homo ad circulum di Vitruvio, del 1521. Il cerchio era considerato forma perfetta. Il quadrato è suddiviso in quattro quadrati minori da due diagonali ortogonali orientate verso le quattro direzioni cosmiche (Oriente - Occidente - Nord e Sud). Ai quattro angoli vengono posti quattro orti. Il giardino botanico di Padova, detto appunto in latino Hortus Simplicium, era costruito per essere un luogo teatrale, nell’accezione del termine medievale Theatrum sanitatis, dove si esponevano le piante perché gli studenti dell'Università di Medicina potessero studiarle. Questo giardino botanico rispetto a quello dipinto, Hortus pictus, e quello di piante essiccate, Hortus siccus, era costituito da materiale vivente, Hortus vivus. L'orto è circondato completamente dal canale d’acqua dell'Alicorno e l'ingresso venne costruito in direzione della città su un piccolo ponte, il Ponte delle Priare, che fu demolito da una grande piena del fiume, probabilmente nel 1824.

Il primo libro sull'Orto Botanico di Padova fu stampato da Gerolamo Porro, autore delle tavole, coordinatore del testo ed editore a Venezia nel 1591, e il titolo è L'Orto dei semplici di Padova. All'interno si trovano quattro aiuole rialzate come protezione dalle inondazioni. All'interno di ciascuna, tante aiuole per le diverse specie da esporre (504 per ogni quadrato). I quattro quadranti sono contrassegnati da una pianta: il primo dal Gingko biloba, il secondo dal Tamarix gallica, il Tamerice, il terzo da Albizia iulibrissin, l'Acacia di Costantinopoli, il quarto da una Magnolia grandiflora. Ci addentriamo nel giardino che ci accoglie in piena fioritura, tra le acquatiche, le piante spontanee dei Colli Euganei, le velenose, le piante esotiche, i grandi limoni in vasi tradizionali in coccio carichi di frutti, rose rampicanti ancora in fiore, la Palma di Goethe, così chiamata poiché ispirò diversi studi dello scrittore durante il suo viaggio in Italia, la più antica dell’orto oggi, messa a dimora nel 1585. Tutto suscita in lei, e in me ancora dopo tanti anni di assidua frequentazione, un sentimento di piacere estetico e un senso di armonia diffusa e ci chiediamo se è proprio questa perfetta sintesi di “logica e bellezza” che connota il giardino cinquecentesco.

Qui l’ordine degli spazi è tutt’uno con il disordine della natura che si esprime in mille forme e colori in continuo mutamento al cambiare delle stagioni, del tempo nell’arco della giornata, dell’inclinazione del sole che illumina foglie e fronde di alberi arbusti, graminacee flessuose. La mia amica vede il giardiniere intento a tagliare con ampie forbici le setose cime di una Stipa, pianta affascinante e decorativa delle Pampas, e gli chiede perché tarpare a zero le splendide specie. La risposta è concisa ed esauriente “non possiamo rischiare che si incrocino con le specie vicine … poi verrebbero fuori degli ibridi, ossia degli incroci, non desiderati.” La mia amica approfitta per farne un bel mazzo come souvenir che servirà ad abbellire qualche vaso. Curiosa di visitare il nuovo giardino botanico, che rimane nascosto dietro il bosco di piante esotiche, così voluto fin dalla nascita dell’antico orto, la conduco verso l’accesso ricavato all’interno di una collinetta che già separava le due proprietà, il vecchio orto e il terreno del Collegio Antonianum dei Gesuiti.

Uno stretto corridoio ricoperto di edera tenta di creare una sorpresa ma già in fondo a questo cunicolo stretto e lungo si scorge un ampio edificio bianco orizzontale che si staglia verso l’antica chiesa di Santa Giustina, abbellita da cupole svettanti e imponenti nel cielo azzurro e terso. Un ampio pianoro connotato da un grande prato verde suddiviso in porzioni regolari e minimaliste, fa da contraltare a un'immensa serra che scorgiamo alla nostra sinistra, da cui escono quattro imponenti strutture in muratura che spruzzano acqua che cade su altrettante vasche lunghe e strette in parte popolate da ninfee, lenticchie d’acqua e altre specie natanti. A breve tutto sarà aperto al pubblico, compresa la grande serra suddivisa in padiglioni in muratura bianca, che ospita piante tropicali ed esotiche provenienti dai diversi continenti.

E’ un grande progetto che ormai quasi dieci anni fa fu bandito a livello internazionale e che ha visto la partecipazione di numerosi studi di progettazione noti a livello mondiale. Chi scrive partecipò molto attivamente con un gruppo di paesaggisti portoghesi poi classificatosi decimo tra i selezionati. L’attuale realizzazione del progetto vincitore di un architetto italiano (3), ha pensato per il nucleo principale dell’intervento una serra lunga 110 metri articolata in settori che rappresentano altrettanti biomi areali della terra (con uniformità di clima e vegetazione), mentre gli altri due edifici costituiranno la parte destinata ai laboratori di ricerca e il centro visitatori. “La memoria dei canali è ricreata da una successione di vasche, disposte a cascata su livelli diversi, che convogliano l’acqua piovana raccolta dalla superficie dei tetti delle serre e utilizzata per l’irrigazione. E’ stato progettato inoltre un sistema che attraverso un pozzo estrae acqua calda di origine termale a 300 metri di profondità”. L’uso dell’acqua piovana per le vasche, l’impiego di pannelli fotovoltaici, la realizzazione di un grande tetto verde ha tentato di compensare il grande impatto della costruzione che necessariamente ha sottratto spazi prima non costruiti (un area di 1,5 ettari) limitrofi al sito storico.

Una grande sfida che richiederà grandi energie, inventiva, capacità imprenditoriale in coloro che saranno deputati a governare e gestire questo laboratorio culturale che dovrebbe funzionare come grande magnete, polo attrattivo per divulgare, promuovere, “coltivare” i grandi temi dell’ambiente, della conservazione della biodiversità, dell’educazione ambientale e della ricerca scientifica. Grande scuola la fanno i nuovi musei di Storia naturale di molti paesi europei, Inghilterra, Francia e Germania in particolare, confidiamo nella creatività, inventiva e cultura italiana perché anche l’Orto Botanico competa con realtà come quelle, magari ispirandosi a esempi eccellenti anche vicini… i giardini botanici di Merano, la punta di diamante italiana che abbiamo già visitato!

Note: 1. La comunità internazionale nel 1997 ha riconosciuto all’Orto Patavino l’appartenenza alla World Heritage List, l’insieme di siti culturali o naturali considerati per il loro altissimo valore degni di particolare attenzione e tutela.
2. Il suo interesse per la materia passò alla storia per la curatela dell’edizione commentata del trattato I Dieci libri dell’architettura di M. Vitruvio, tradutti e commentati,Venezia 1556)
3. VS Associati, guidati dall'architetto Giorgio Strapazzon