Non pretendo nulla, il tema è davvero complesso. Non stiamo giocando al “campo minato”, lì potevamo azzardare, non solo perché avevamo non una ma tre vite, ovviamente tutte virtuali, per cui, esaurite queste, potevamo “naturalmente” ricominciare, non era necessario resuscitare ed anzi non dovevamo nemmeno rimetterci la moneta. Qui, infatti, non si vince e non si perde ma quando si affronta qualcosa di “particolare” l’indifferenza è bandita.

Molti lo hanno trattato, in tutti i tempi ed in moltissimi modi, se però l’argomento fosse stato sviscerato in tutti gli aspetti -nessuno ne abbia a male- probabilmente non esisterebbero le religioni, la cui spinta alla spiegazione di questi aspetti non è negoziabile. Non è però questo ed altri assai simili aspetti a colpire la nostra attenzione, quanto il notare in modo assai spiccio ma forte come non sia difficile riscontrare il cambiamento del modo di fare di noi cosiddetti “occidentali”, il che non può non attirare l’attenzione dell’osservatore attento, peraltro discendente degli autori di tali variazioni.

Grandi opere sono state realizzate in tal senso, pressoché in tutte le arti ed in un arco di tempo davvero esteso. Più che straordinari molti “requiem” musicali ma non sono da meno tanti dipinti e testi, nelle diverse forme che gli autori hanno ritenuto fosse meglio utilizzare. Da sempre, come è noto, i potenti hanno agito per contrapporsi alla fine del tempo a disposizione di loro stessi e dei propri cari. Che altro sono, infatti, le tombe, di qualsiasi foggia o dimensione siano? Non credo sia necessario fare troppi esempi, bastano le piramidi ed i pantheon.

Sul tema ma ad una scala assolutamente più minuta, impossibile non ricordare il leggendario Adolf Loos, più maestro che architetto, che, nel ricercare l’essenza profonda del nostro vivere, quindi di noi e di ciò di cui ci circondiamo, ha chiaramente indicato come il trovarsi di fronte ad alcune pietre ed al terreno disposti in modo da formare un tumulo ci deve far sentire, oltre alla presenza di una o più sepolture, di aver a che fare con una vera e propria architettura!

Ancora una volta l’aspetto simbolico la fa da padrone, chi ne fosse infastidito o comunque sentisse il bisogno di riequilibrare la cosa può leggersi uno dei regolamenti di polizia mortuaria facilmente reperibili online. Tra liquami e miasmi da contenere, ogni forma “culturale” scompare, niente ricordi ed affetti, la funzione la fa da padrone, e guai che -in questo caso- non fosse così.

Lo indica il titolo, in questa sede trattiamo (solo) alcuni aspetti del modo di dare sepoltura ai nostri cari, senza avere la pretesa di rivelare il non noto e nemmeno decretare qualcosa di definitivo! Niente grandi architetture, mausolei o simili, ci limitiamo a formulare alcune osservazioni sull’argomento, limitando l’area interessata alla sola, ma straordinaria, città di Parigi. Qui, infatti, sono presenti alcune aree davvero interessanti, che ho avuto modo di rivedere di recente: i famosi cimiteri di Parigi, in particolare Montparnasse, Montmartre e Père-La Chaise.

Tornando su aspetti di sicuro maggiore interesse, che non sono quelli chimici, qui sono presenti tombe di ogni tipo ed in alcuni casi anche piuttosto datate. Ciò consente di percepire, anche solo a pelle, in modo privo di quella razionale comprensione che siamo abituati a considerare di normale ed anzi necessario utilizzo, l’evoluzione degli involucri destinati ad ospitare i nostri corpi inanimati.

Il tempo trascorso tra una fase e l’altra, insieme alla non ciclicità di ciò che vediamo, ci fa escludere del tutto la moda. Con mia personale -e quindi non esportabile- grande soddisfazione! In realtà, alcuni modi di fare che vengono pedissequamente adottati -prima- ed abbandonati -poi- in specifici periodi sembrano ricalcare il “funzionamento” di questo sistema, manca però del tutto l’apparato che gli gira intorno.

Sgombriamo subito il campo da aspetti apparentemente determinanti quale è, ovviamente, l’aspetto funzionale del dare sepoltura e/o del conservare i corpi. Non mancano, infatti, tombe erette in memoria di persone decedute, i cui corpi non sono fisicamente presenti nella tomba. Può trattarsi della famiglia sterminata in campo di concentramento, quindi in altro luogo con operazioni che hanno comportato la completa distruzione del corpo, oppure, come accaduto ad un mio parente, disperso nella famigerata campagna di Russia. Una sorta di onestà ha comportato l’indicazione dell’assenza dei corpi, dimostrando che le tombe servono ad altro, non c’è dubbio! La funzione c’è, magari non sempre, ma passa in secondo piano.

Fingendo di voler compiere un’analisi strutturalista, come si riteneva opportuno fare un tempo, e che quindi mi indica come persona “datata”, possiamo non iniziare dalle dimensioni, quelle planimetriche innanzitutto? Perché, come è più che ovvio, un aspetto imponente ha ben altro impatto -non ho scritto migliore- rispetto a qualcosa di più contenuto. Scritto così sembra esserci una gara in corso, qualcuno vuole provare a smentirlo? Che dire delle tombe infinitamente grandi, specie se confrontate con alcune, talmente piccole da ritenere che solo a fatica potrebbero ospitare le salme, azione di nessuna difficoltà, anzi quasi spontanea, quando tombe piccole e grandi sono separate solo da un viottolo della larghezza di alcune decine di centimetri?

La cosa si amplifica se passiamo dall’ampiezza del sedime -banalmente l’insieme di lunghezza e larghezza, quindi l’area di terreno occupata- all’altezza. Con un poco di cattiveria si potrebbe ricordare che l’avere qualche cuspide o simile più o meno alto, meglio se rasenta le nuvole, non consente ai defunti un più rapido accesso alle sfere celesti. Quale allora il motivo, se non l’elevarsi, fisicamente e simbolicamente, rispetto all’intorno, sia tombe che salme? Che dire degli alberi, specie se sono più alti delle tombe che avremmo voluto più insuperabili che altissime? Forse che sono irrispettosi! Sia chiaro come il giudizio non spetti a nessuno di noi.

Altro imprescindibile fatto/aspetto è quello legato ad una sorta di originalità che ciascun manufatto, in particolare se recente, vorrebbe avere. Qui e fuori di qui! La creatività come strumento per distinguersi, quindi. “Umano, troppo umano”, verrebbe da dire, citando uno dei maestri del pensiero, aggiungendo a ruota che (troppo) spesso questa pratica comporta un abbassamento del risultato fino a livelli inconcepibili. Del resto l’originalità fine a sé stessa dove potrebbe condurci? Riuscire a fare meglio è difficile, in tutti i casi, fare peggio invece non lo è, basta poco, pur se è innegabile come certi risultati, per essere raggiunti abbiano richiesto sforzi inenarrabili.

Il problema è semmai auto-convincersi che il solo realizzare qualcosa di talmente nuovo da non essere mai stato visto prima abbia valore, anche perché in un mondo tanto ricco e complesso la cosa più probabile è che la novità sia tale solo per noi, che non possiamo “semplicemente” conoscere tutto. Altrettanto vero è come l’uscire dal noto e collaudato forse ci toglie dalle sabbie mobili della banalità ma di sicuro ci espone al rischio non tanto dell’incomprensione quanto dell’inopportuno, dal kitsch a crescere, potenzialmente fino a livelli semplicemente inimmaginabili. Se aggiungiamo che in molti casi questi capolavori restano in bella mostra letteralmente per secoli, abbiamo il quadro della situazione, edificato ma poco edificante.

Più interessante è invece notare come nel tempo l’immagine di lapidi e tombe sia cambiata, forse si potrebbe scrivere evoluta, consentendo di tracciare una sorta di linea, pur senza la pretesa di proiettare la stessa nel futuro, la quale, checché ne dicano esperti, visionari ed… ufologi, non procede in modo -appunto- lineare, il che appare con ogni probabilità come una contraddizione di termini.

Siamo noi ad unire i puntini, come in certi giochi della più classica enigmistica, ricavando a posteriori un “senso”, cioè una logica, che spesso è solo frutto delle nostre elucubrazioni. La storia, anche la più minuta, procede, infatti, per salti più che per passaggi logici o quanto meno dotati di un senso concreto, peraltro generalmente attribuito a posteriori, in modo non troppo diverso da quello che abbiamo appena iniziato -come appena indicato- a tracciare.

Nelle “nostre” tombe, quelle che possiamo visionare nei cimiteri di Parigi, ma non solo qui, possiamo notare nel tempo l’arricchimento dell’apparato figurativo. Imprescindibile l’aumento della nostra conoscenza delle immagini -cultura visiva?- ma anche quello della tecnica e della disponibilità di operatori a condizioni accettabili da parte di diverse fasce della popolazione, anche se ovviamente non tutte, ha comportato quello che potremmo definire un aumento della complessità dell’oggetto-tomba.

All’originaria lastra si aggiungono segni via via più complessi, dalle incisioni più elementari ai primi segni di tipo grafico se non illustrativo. Questi nel tempo hanno assunto spessore, fino a diventare quasi un bassorilievo. Il processo, passo dopo passo, ha portato alla realizzazione di opere di maggior spessore -intendiamo quello fisico, non quello culturale-, fino quasi a raggiungere quello di un altorilievo.

Niente poesia e poca fantasia, però queste parti di profilo scavate nella lastra posta orizzontalmente a chiusura della tomba non possono non sembrare frutto della spinta degli “abitanti” di questi luoghi, che sembrano voler uscire dalla terra o comunque spingono verso l’alto, o almeno ci provano, riuscendo quanto meno a far uscire parte del proprio corpo, che comunque resta prigioniero della lastra, da cui non sembra di riuscire a liberarsi, cosa che potrebbe avvenire solo oltrepassandola interamente.

Quanto appena indicato avviene effettivamente più avanti nel tempo, quando la figura si libera completamente dal limite della lastra, su cui anzi le nuove figure si appoggiano, in certi casi sembrano essere immobili a guardia perenne della sepoltura, in altri paiono camminare, come se fossero giunte da altrove ma soprattutto pronte ad andarsene. Il risultato è perciò un’immagine via via più dinamica, con notevole contrasto con il materiale statico, ed anzi immobile, che lo compone ed anzi cui si riferisce.

Il processo nel tempo ha portato alla realizzazione di parti del corpo che si staccano dalla lastra, conquistando lo spazio soprastante, fino a giungere all’intera figura all’esterno della tomba, distesa, infatti, sulla lastra prima per conquistare, un poco alla volta, la posizione eretta.

La visione d’insieme del cimitero oggi mostra fianco a fianco tombe di ogni tipo. Lasciamo stare il viadotto che passa, quasi schiacciandole, sopra le tombe a Montmartre e così la banalità di manufatti realizzati per ospitare -da morti- innovatori di ogni tipo, tanto scontati, al contrario dei loro “abitanti” da non essere giustificabili nemmeno dal fatto di essere state realizzate dai “sopravvissuti”.

I problemi di manutenzione non mancano, alle parti pubbliche pensa la collettività ma vi sono tombe trascurate da decenni, su cui il muschio è ormai ovunque… così non manca la quiete, tanto che vi sono persone, anche se non moltissime, quantomeno al momento della mia visita, che trascorrono del tempo sulle panchine qui presenti, ad esempio leggendo un libro. Il contesto, infatti, è ben diverso da quello di essere in un qualche boulevard ma anche nei viali di un parco pubblico.

Qualche analogia ritorna alla mente, non ci si può sottrarre. Durante la mia giovinezza l'Antologia di Spoon River scritta da Edgar Lee Masters nel 1915 ha avuto un certo successo e diffusione, specie qui in Italia e presso la mia generazione, nella libera interpretazione che ne diede Fabrizio de André nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo, pubblicato nel 1971. Nel testo sono presenti una serie di epitaffi di personaggi immaginari che dal loro nuovo stare narrano episodi della loro vita in modo da farci riflettere sul nostro quotidiano, troppo spesso povero e contraddittorio. Così le canzoni contrappongono temi musicali semplici -da ascoltare- in cui vengono enunciati pensieri di altra natura.

Nei cimiteri citati non si ha però questa dialettica, anche quando siamo in presenza di persone note la narrazione è ridotta ai minimi termini. Ci si muove da qualche foto di persone giovani o famose alla ricostruzione in materiali non deperibili di ciò che con ogni probabilità ha costituito il maggior affetto di bambini scomparsi troppo presto, dalle tessere di un gioco disposte come se la partita fosse tuttora in corso al gattino addormentato, posti sulla lapide, quasi dovessero allietare il riposo -se non l’intero tempo- del piccolo ospite.

La visita è comunque altamente consigliata, se non di tutti i cimiteri almeno di uno, eventualmente riducendo il tragitto alla sola percorrenza di alcuni dei viali principali, osservando da qui le tombe più vicine ma anche gli insiemi di manufatti, in parte in armonia, in parte in contrasto. Così come gli edifici presenti nell’immediato intorno, che sembrano contemporaneamente proteggere questi spazi “altri” e guardare dentro.