In Fantasy vanishes in flesh, Ivana Bašić esamina i limiti materiali e metafisici dell’umanità. Segnata dalle esperienze dell’infanzia di guerra, violenza e brutalità durante il crollo della sua nativa Jugoslavia, l’artista adotta una lente postumanista per esplorare i modi in cui pressione e distruzione trasformano non solo il corpo, ma anche la soggettività — sia individuale che collettiva.
La pratica di Bašić impiega un linguaggio visivo in cui ogni materiale si collega simbolicamente a un corrispettivo concettuale. Questo codice materiale è costante nell’insieme dell’opera dell’artista, permettendo allo spettatore di comprendere ogni pezzo all’interno della più ampia cosmologia teorica di Bašić. Il vetro rimanda al respiro che lo ha formato. La cera suggerisce una carne malleabile e impermanente — la paraffina deriva dal petrolio, dai fossili e dalla terra a cui il corpo alla fine ritornerà. Il bronzo evoca un’armatura, le strategie protettive di un organismo. L’acciaio inossidabile richiama la violenza delle forze inevitabili che agiscono sul corpo. La pietra rappresenta la consolidazione della vita organica e della materia che, sotto pressione, si atomizza in polvere.
Questi materiali, insieme a forze intangibili come pressione, respiro, peso e torsione, si combinano per creare un corpus di opere che indaga le nostre più profonde inquietudini ontologiche: la fragilità della condizione umana; la disgregazione del sé e dell’Altro; la reimmaginazione della vita e della morte; la ricerca dell’immortalità.
La mostra si apre con tre opere che portano il titolo dell’esposizione, realizzate in bronzo bianco e cera, coronate da un’aureola radiante che significa un’unione quasi alchemica tra il tellurico e il celeste, il sacro e il profano, la materia e lo spirito. In tutta la mostra le figure appaiono catturate in stati di trasformazione, sospese tra forme. Evocando corpi insettili e fluidi amniotici, le sculture suggeriscono forze primordiali del sotterraneo e dell’invisibile. Al centro dell’esposizione si trova una figura chimerica simile a una mantide religiosa — considerata nell’antico Egitto un oracolo e una guida verso la vita eterna.
Nell’ultima sala un essere unico e senza genere è sospeso sopra le teste degli spettatori come se fosse arrestato nell’ascesa. L’opera cattura una figura in una posa impossibile, simultaneamente sottoposta a processi di creazione e dissoluzione. Vista da dietro, la figura sembra partorire sé stessa, spingendo la propria testa di vetro color amniotico attraverso il bacino. Vista frontalmente, una fessura sulla schiena della figura rivela il nucleo della scultura, come se fosse colta nel processo di mutare corpo. Quest’opera dialoga con i disegni da cui emergono forme ellittiche, simili a grembi. I pigmenti dissolti e la carta deformata dall’umidità evocano nebulose, nascita e gli inizi della vita.
L’opera di Bašić contempla la disintegrazione del corpo e del regno materiale. In Fantasy vanishes in flesh, questo processo di dissoluzione è immaginato non come perdita, ma come momento di potenziale radicale — un passaggio dall’umano al non-umano; dal tellurico al celeste; dal vincolato alla forma all’illimitato.














