Nel cuore di Firenze, dove con fatica la bellezza si salvaguarda dall’assedio delle (ormai nazionali) politiche turistiche, esiste un’istituzione che invita a sospendere il tempo, a sentirsi a proprio agio, suggerendo un sentimento di confidenza e condivisione: l'Associazione Amici della Musica.

Fondata nel 1920 è molto più di un semplice “luogo di ascolto”; è una realtà concertistica tra le più antiche e prestigiose d'Italia, capace di declinare appuntamenti di altissimo livello, spesso senza dover invidiare quel che viene proposto nei templi musicali europei. Nomi come Antonio Pappano, Mario Brunello e alcuni tra i quartetti d’archi più eccelsi, come lo storico Hagen Quartett, sono collaborazioni ormai consolidate dell’Associazione. Stiamo parlando di un fiore all'occhiello che intreccia la propria storia con quella della Fondazione del Maggio Musicale, condividendo progetti e produzioni, e con il Teatro della Pergola, sede dove gli artisti degli Amici della Musica si esibiscono e incontrano il pubblico affezionato, interessato e – udite, udite - molto giovane.

Le nuove generazioni ai concerti sono un elemento di vanto. Dal 2022, in particolare, sono state messe in campo numerose iniziative sotto la guida artistica dell’acclamato pianista e didatta Andrea Lucchesini, la cui visione nasce dal rigore e dall'umanità trasmessagli da Maria Tipo, la sua maestra che fin da bambino l’ha spronato all'impegno massimo mostrando un’incrollabile fiducia nei giovani talenti, cui dedicava le sue lezioni a titolo gratuito per autentica generosità e amore per la musica. Lucchesini, oggi celebre per la sua sensibilità musicale, deve inoltre molto all'incontro con Luciano Berio, maestro esigente e innovatore che ha nutrito il suo interesse per il componimento contemporaneo e plasmato la sua capacità di leggere “fra le righe”, di osare, di sperimentare.

Con questa eredità profondamente radicata, l'impronta che Lucchesini sta dando all'Associazione è ispirata al nuovo e unisce precisione tecnica e innovazione, ospitando grandi nomi accanto alla promozione di giovani talenti per aprire le porte a un pubblico sempre più giovane. Così tradizione e modernità s’incontrano in un dialogo senza tempo. Ora, siccome Andrea Lucchesini ha avuto il privilegio di lavorare con il Maestro Berio, ho trovato irresistibile iniziare l’intervista chiedendogli un cenno sul suo rapporto col grandissimo compositore, riferimento per l’avanguardia europea, del quale ricorre il centenario della nascita e al quale, naturalmente, anche gli Amici della Musica dedicheranno diversi eventi nella stagione 2025/26.

E dunque ci racconti il “suo” Luciano Berio

Il mio rapporto con il grande Maestro è nato negli anni Novanta e purtroppo si è interrotto troppo presto a causa della sua scomparsa prematura. È stata per me una guida fondamentale nella musica contemporanea: mi ha preso per mano e mi ha fatto capire l'importanza del dialogo tra interprete e chi ha composto l’opera. Perché non c’è soltanto ciò che si legge nelle note, c'è molto di più nascosto “fra le righe”, bisogna leggere oltre lo spartito e lui mi ha fatto comprendere profondamente quest’aspetto.

Ogni volta che lavoravamo insieme su un brano o discutevamo con altri autori, non solo delle sue composizioni, mi spiegava quanto fosse importante entrare in sintonia con il compositore stesso. Un'altra cosa che mi ripeteva spesso era “osa!” nella scelta dei programmi, nell'immaginare accostamenti musicali che stimolino non solo l'ascoltatore, ma anche l'interprete affinché chi suona trovi nuove strade, nuovi approcci, soprattutto al pianoforte. Nei suoi pezzi, infatti, c'è una continua ricerca del timbro, dell'attacco: a volte più rapido, quasi jazzistico, a volte più morbido e classico.

Il Maestro Berio ha anche scritto una grande sonata per lei

Un enorme privilegio. Forse è stato l'ultimo pezzo composto per pianoforte. È stato un percorso lungo, durato quasi un anno, durante il quale ogni pochi giorni ricevevo nuove pagine che leggevo con attenzione per poi confrontarmi con lui, discutendo di ogni dettaglio, di ogni intervallo, quasi fosse un sogno che prendeva forma. È stata un'esperienza unica.

Immagino che sfida sia stata!

Straordinaria. E a proposito di sfide ho un aneddoto che racconta, secondo me, molto bene la grandezza di Luciano Berio. Ricordo un passaggio di un suo pezzo inizialmente impossibile da suonare: ricco di accordi rapidissimi, a una velocità che mi sembrava irraggiungibile.

Per eseguirlo provavo anche a muovere le mani a caso, ma non riuscivo a raggiungere quella velocità. Gli dissi che, per quanto il passaggio fosse affascinante e pittorico, ritenevo che nessun pianista al mondo potesse farcela. Lui mi rispose semplicemente: “Allora continua a studiarlo, vedrai che prima o poi ce la farai”. Passarono mesi. Quando eseguii tutta la sonata, lui suggerì qualche modifica e alla fine gli chiesi cosa ne pensasse della velocità in quel “famoso passaggio”, perché per me era ancora impossibile. Lui rise e disse: “Non ti preoccupare, un giorno nascerà qualcuno che ci riuscirà”.

Qualche mese dopo osservai che il numero del metronomo nel pezzo non era stato cambiato, ma vicino c'era scritto “ma flessibile” (ndr, le indicazioni che i compositori scrivono vicino agli accordi).

Questa è l'essenza di Luciano: la sfida continua, il confronto incessante con chi ha composto il brano, la tensione tra ciò che è possibile e ciò che è immaginabile. È una fiducia profonda nell'evoluzione della musica e degli interpreti, un invito a spingere sempre oltre i limiti, a mostrare non tanto il risultato immediato, quanto lo sforzo stesso, che è la parte veramente importante. Quella fiducia nel divenire e nell'inaspettato resta per me un insegnamento prezioso e un ricordo vivo, capace di aprire nuovi orizzonti.

Un monito grandioso che a guardare il suo percorso, anche agli Amici della Musica, è tangibile nelle scelte artistiche spesso oltre il prevedibile: anche il programma della stagione 2025/26 riserva sorprese, maratone con artisti di altissimo livello, alcuni molto noti all’estero che in Italia non hanno ancora trovato spazio e poi talenti giovani. Sono diversi i progetti dedicati alle nuove generazioni: è un azzardo?

È fondamentale iniziare a educare gli spettatori/ascoltatori fin da piccoli, per abbattere la barriera che spesso si crea verso la musica classica e contemporanea. E cerchiamo di proporre non solo opere per bambini, ma anche grandi autori per “invitare l’orecchio acerbo” a una musica adulta ma fruibile anche da piccoli perché la musica in realtà è per tutti. Per il nono anno la stagione è anticipata da Fortissimissimo Firenze Festival, undici concerti “nelle mani” di giovani e giovanissimi talenti che si stanno facendo notare come solisti o in complessi da camera.

La formula coinvolge anche giovani studenti in qualità di “giuria”. Un modo per chiudere il cerchio. Legata a questa esperienza è anche la novità di quest’anno: l’accoglienza di due giovani artisti in residenza, un violoncellista e un pianista, ascoltati proprio in Fortissimissimo e che rimarranno per un triennio esibendosi da quest’anno con un recital ciascuno.

Altra novità è il progetto “Piccola Grande Musica”, rivolto ai più piccoli.

Come dicevo per educare l’orecchio acerbo serve un ascolto di musica di qualità, accessibile ma senza banalizzazioni. “Piccola grande musica” è un esperimento costruito su un ciclo di quattro concerti dove attraverso le note si racconta anche, per esempio, la storia dei fratelli Amadeus e Nannerl Mozart, o il gusto per le variazioni di Beethoven, fino all’ascolto delle colonne sonore dei cartoni animati della Warner Bros firmati da Raymond Scott.

Lei ha il polso del panorama all’estero: lì come sono le proposte e il pubblico?

In generale all'estero vedo proposte più audaci. I concerti sono spesso più informali, con il pubblico in piedi o seduto per terra: si crea una partecipazione più spontanea. In Italia ci stiamo muovendo in questa direzione, ma non ci siamo ancora: è un po' presto per certi format. L’importante però è aprirsi e provare a coinvolgere anche chi non avrebbe mai pensato di avvicinarsi alla musica classica.

In questi suoi primi tre anni di direzione qual è stato il riscontro del pubblico giovane?

L'ultimo anno abbiamo avuto un incremento rilevante, soprattutto grazie a forme di abbonamento più flessibili e mirate, pacchetti di cinque o dieci concerti e a format come Artisti in classe – Giornalisti in classe, un’iniziativa che ci porta tra i banchi delle scuole superiori. Con la collaborazione di alcuni docenti e dirigenti scolastici si organizza un incontro preparatorio, dopo si invitano gli studenti al concerto e poi si fanno incontrare con gli artisti protagonisti. È un format che accorcia le distanze. Sono piccoli passi, ma significativi: si semina per far crescere il pubblico del futuro.

Tra gli artisti della prossima stagione ci sono molti nomi di rilievo e spicca Abel Selaocoe, un violoncellista sudafricano con un approccio particolare che include percussioni corporee. Come l'ha scoperto?

Abel è molto conosciuto a livello internazionale, soprattutto negli USA e nel resto d’Europa, ma non in Italia. È unico per il modo in cui combina la voce al violoncello, un artista che spinge i confini tradizionali e che può rischiare di spiazzare un pubblico poco abituato, ma è una scommessa importante per allargare gli orizzonti.

Parlando di apertura: proponete anche contaminazione tra musica e altre arti

Sì, abbiamo creato la formula “Musica e…” ed è stata accolta molto bene dal pubblico nelle scorse stagioni, per cui replichiamo. Facciamo dialogare le note con l’arte della recitazione con la scultura e perfino con la matematica. È un modo per avvicinare un pubblico più variegato e per far capire che la musica non è un mondo a sé, ma dialoga con la storia, le idee, la vita.

E la musica contemporanea? È arduo da proporre in Italia?

Le difficoltà sono molte. In passato c’era l’idea che le opere contemporanee dovessero essere poco comprensibili e ciò ha allontanato il pubblico. Dopo una reazione eccessiva, oggi si cerca un equilibrio: compositori giovani che vogliono comunicare e trovare nuovi modi espressivi senza chiudersi nelle avanguardie per partito preso. Però serve tempo, semina e pazienza per far germogliare una vera cultura.

Vede germogli di questo tipo nelle nuove generazioni di musicisti e compositori?

Ci sono autori intorno ai 40 anni che sperimentano, generano proposte con grandi idee e apertura. Anche fra gli under 30 si intravedono segnali interessanti, soprattutto fuori dagli ambienti più accademici. Gli artisti ci sono, però il pubblico non ha l’orecchio educato all’ascolto della musica contemporanea, che invece per vivere ha bisogno di continua rigenerazione culturale e di spazi che la sostengano. Ci stiamo lavorando.

Perché, come diceva il maestro Berio, bisogna insistere…

Sì, bisogna continuare a diffonderla tra un pubblico più ampio, fidandosi anche di quella sfida e speranza che Luciano Berio ci ha lasciato: qualcuno nascerà, qualcuno riuscirà a portare la musica oltre i confini attuali e farla vivere sempre in modo nuovo.

Andrea Lucchesini, che ha mantenuto il suo stile misurato, elegante, compassato per l’intera intervista, a questo punto non trattiene un grande sorriso e uno scintillio negli occhi. Quale migliore chiusura per questo incontro!