Sono stato iniziato al gusto dei frutti di mare, esattamente come avvenuto per il vino, fin da piccolo. Mio padre, brindisino di nascita con ascendenze napoletane, ne era un cultore, considerato un intenditore tanto che, per tutte le riunioni familiari, era demandato a lui il compito di fare provvista per tutte le famiglie riunite. Non solo le feste comandate. I frutti di mare, le cozze, erano il discrimine fra le domeniche e gli altri giorni della settimana, accompagnate rigorosamente da una bella guantiera di dolci, le paste (che allora erano maxi, non gli striminziti mignon di oggi). Quindi senza dolci e senza cozze non era domenica.

Ricordo lo sgomento che permeava la casa ai tempi della epidemia di colera del ‘73. C’era un velo di tristezza in tutti noi in quelle domeniche quando il genitore rientrava a casa con la sola, malinconica guantiera di paste. Fu come un brutto periodo di quaresima. Per fortuna passò in fretta e tornammo finalmente a gustare i nostri amati frutti di mare, cozze nere, noci, ostriche (che ho imparato ad aprire fin da piccolo), canestrelle, cozze pelose e i meravigliosi tartufi di mare, a Brindisi detti tiratufoli.

Quando proprio la fortuna diceva bene, anche i mitici datteri, vero e proprio frutto proibito già ai tempi, perché la loro raccolta produce grave nocumento all’ambiente marino. Infatti, la vendita avveniva di nascosto, alla stessa stregua dello spaccio di sigarette di contrabbando, che all’epoca imperversa nella città. Bastava conoscere il pusher giusto per fare rifornimento di un gusto indimenticabile, del quale conservo ancora il ricordo, solo il ricordo, dato che la nuova sensibilità ambientalista, sviluppata e fortificata con gli anni, mi impedirebbe ogni velleità di acquisto, ove fosse ancora possibile.

Così mi sono portato dietro il peso di questa tradizione familiare, dagli anni della fanciullezza, fino alla mia età matura, convinto di avere sostituito il genitore del ruolo di esperto cultore. Poi, mi sono trasferito a Bari, per lavoro. E qui è cambiato tutto.

E ci fu un momento preciso, una linea di demarcazione netta fra il prima e il dopo. Il matrimonio di un caro collega. Qui, per la prima volta, praticamente a tradimento, per quanto fosse inaspettato, ho conosciuto il crudo alla barese. Servito fra gli antipasti, con una seppia cruda in bella vista in una ciotolina, accompagnata da ogni ben di Dio, dalle ostriche in giù. Un’esperienza totalizzante rispetto alla precedente esperienza di gusto di tutta una vita, che mi ha cambiato per sempre. Avevo trovato gente per la quale mangiare frutti di mare era una specie di religione, una devozione che ha il suo pari esclusivamente con quella per il Santo patrono. E da questo entusiasmo sono stato contagiato, per sempre.

Non si può risalire con certezza al momento in cui questa abitudine abbia preso piede, ma di sicuro ha origini antiche e tanto salde da resistere egregiamente alla spinta del nuovo. In città si sono moltiplicate le offerte di sushi, sashimi, pokè e quant’altro dai nomi esotici e accattivanti, per i quali sono terreno di conquista soprattutto le giovani generazioni, generalmente più aperte alle folate di novità. Tuttavia, l’epicentro del crudo, il punto di riferimento storico, continua ad essere Nderr La’Lanz, il molo dei pescatori sul lungomare. Qui, in un ambiente pittoresco, si può gustare il crudo preparato in loco, accompagnato da una birra, che non può essere che la classica Peroni. Inoltre, le domeniche e i giorni di festa, le pescherie sono letteralmente prese d’assalto dai clienti, che fanno rifornimento per preparare il crudo comodamente a casa.

Perché il crudo di mare è un rito, che magari non ha la stessa solennità della preparazione di sushi, la pietanza che più gli si avvicina. Semplicemente si aprono tutti i tipi di cozze che si hanno a disposizione, si tagliano a strisce gli altri componenti del piatto. L’unico elemento che necessita di un lavoro maggiore è il polpo, perché viene laboriosamente reso più tenero sbattendolo con una certa violenza sugli scogli (processo detto arricciatura). Si assembla tutto nel piatto e si va in tavola.

Immancabili sono le cozze nere, per la facile reperibilità. Apprezzatissime le cozze pelose, caratterizzate da un gusto molto più marcato rispetto alle cozze nere e da un profumo pungente, che riporta al mare. A proposito di gusti marcati, compone il piatto anche il Taratuffo, vera e propria esplosione di gusto, una specie di spugna, con frutti dal colore acceso dall’arancione al rosso. Seguono le noci, che possono essere bianche o rosse. Poi le ostriche, che non hanno bisogno di presentazioni. Sono presenti anche i mussoli, molluschi bivalvi, dal sapore deciso, chiamati in modi diversi come piedi di capra. A seconda della disponibilità, dovuta al rispetto di blocchi della pesca, spiccano i ricci di mare, prelibatezza assoluta.

Il piatto non è ancora completo, oltre al polpo, già nominato, mancano ancora due componenti amatissime, gli allievi e le tagliatelle. I primi sono delle seppioline non cresciute, accuratamente pulite, da mangiare intere. I secondi sono delle seppie tagliate a strisce sottili, da mangiare con una lieve marinatura di olio e limone.

Il piatto tradizionale non è fermo nel tempo, ma si aggiorna di continuo, seguendo anche nuove tendenze, fino a coprire una gamma di gusti sempre maggiore. Negli anni si sono aggiunti anche i crostacei, sempre rigorosamente crudi: gli scampi, i gamberoni e, tipicità tutta pugliese, i gamberetti rosa di Gallipoli, tripudio anche per la vista.

Chi si trovasse a Bari, compatibilmente con i propri gusti, non dovrebbe mancare di concedersi un tuffo nei sapori avvolgenti e percepire l’aspetto rituale, perché Il crudo alla barese è molto più di un semplice piatto: è un linguaggio che unisce generazioni, un simbolo di appartenenza e un’esperienza sensoriale che porta con sé il sapore del mare e della convivialità. In un mondo in cui le tradizioni rischiano di essere sommerse dalle mode globali, questa usanza resiste con fierezza, arricchendosi senza mai snaturarsi. Il crudo racconta, quindi, una storia di autenticità e passione, capace di conquistare chiunque abbia il privilegio (e magari il coraggio, liberandosi da ogni ritrosia) di assaggiarlo.