Nel bosco c’è un ometto gentile e bel,
di porpora ha il farsetto ed il mantel.
Chi sarà quel bell’ometto
che nel bosco sta soletto
con il suo grazioso mantelletto?
Sta ritto su di un sol piè
In testa ha un cappelletto color caffè.
Chi sarà quell’ometto
Che nel bosco sta soletto
Con il suo grazioso cappelletto?

È una filastrocca che appassionava molto mia figlia da piccola, quando aveva da poco imparato a parlare e rispondeva alla fine, invariabilmente: il cungo, perché ancora non pronunciava bene. Infatti, il protagonista di questa filastrocca, tratta dall’opera lirica Hansel e Gretel di Humperdinck, è il fungo.

Qui viene presentato nel suo ambiente tipico, il bosco. Proprio nei boschi della Toscana, mia seconda patria di adozione, ho conosciuto ed apprezzato, fin da piccolo, la bontà dei funghi che in quei luoghi abbondano. Gran parte del merito di questa conoscenza va ad uno zio che era un esperto conoscitore e che ci ha regalato, più e più volte, vere e proprie scorpacciate. Purtroppo, non sono mai riuscito ad assimilare la conoscenza di tutte le specie, che permetteva a lui di raccogliere solo i funghi commestibili con assoluta certezza. L’unico tipo di fungo che ho imparato a riconoscere è stato sua maestà il porcino, che per anni è stato il mio fungo preferito.

Poi, un giorno, ho avuto una piacevole sorpresa, quasi una rivelazione. Lavoravo ad Altamura, occupato nella gestione della refezione scolastica. Avevo ristrutturato il servizio, sostituendo i cuochi, che venivano da altre mense in giro per la regione, con personale locale, delle signore che affrontavano il lavoro con grande dedizione e partecipazione. Avevo creato un ambiente di lavoro tranquillo e quasi familiare, tanto che alla fine del servizio, ci fermavamo tutti a pranzare insieme. In una di queste occasioni conviviali la cuoca mi fece assaggiare un piatto portentoso, portato direttamente da casa: un agnello con cardoncelli e patate, accompagnato da uno strepitoso vinello, una Verdeca di produzione propria, versione spumantizzata. In quel momento la mia percezione dei funghi cambiò. Non avevo mai mangiato prima il cardoncello, tipico della Murgia e, da allora, ho maturato una passione che mi accompagna sempre. Se il porcino rimane in cima alla scala della bontà, restando sua maestà, in cardoncello è sicuramente il principe, il degno sostituto.

Diffuso e conosciuto fin dall’antichità, il cardoncello si differenzia dalla maggioranza dei funghi per l’habitat in cui prospera, lontano dai boschi, ma su terreni erbosi e pietrosi, dove cresce spontaneamente, generalmente in simbiosi con il cardo selvatico, dal quale prende il nome, ma anche con altre piante. Qui cresce su un gambo corto, cilindrico, che si allarga alla base, con un cappello che in qualche caso arriva a superare i 20 centimetri, di un colore bruno camoscio. Caratteristica importante perché, a differenza di altri funghi, non si può confondere con altre specie velenose, il che gli è valso l’appellativo di “fungo onesto”, proprio per distinguerlo dagli altri che spesso sono ingannatori. Il periodo naturale di produzione è in autunno e primavera, ma ormai, con la produzione in serra, si trova tutto l’anno.

Come spesso accade, lungo la sua storia ha subito sorti diverse. All’epoca romana era molto apprezzato, tanto che per Ovidio era addirittura “cibo per gli dèi”, mentre per Plinio il vecchio, al pari degli altri funghi, non era raccomandabile. Nel medioevo il consumo continuò, supportato dalla presunta proprietà afrodisiaca, che lo fece finire addirittura all’indice del Santo Uffizio, perché in grado di distogliere i fedeli dalla penitenza, e pertanto proibito nelle locande e nelle taverne del Lazio. Nella cultura rurale, fra pastori e contadini, era anche detto “carne dei poveri”, per la sua composizione carnosa e appetitosa, che dava un senso di appagamento a costo praticamente nullo. In tempi più recenti ha perfino rischiato l’estinzione, per la progressiva riduzione dell’habitat naturale, processo che per fortuna si è interrotto in tempo.

La ragione del successo di questo prezioso alimento, oltre che nella indiscutibile bontà (un solletico al palato davvero particolare), specialmente nella sua versatilità. Si può mangiare sia crudo sia cotto, da solo o in accompagnamento ad altri alimenti. Dato che le parole sono importanti, è bene sottolineare le parole crudo e cotto perché è l’unico fungo che in cottura non si riduce eccessivamente, ed anche a livello di gusto non cambia molto. Poi va sottolineata la parola accompagnamento in quanto ha un gusto senza mania di protagonismo, non tende a sopraffare gli altri alimenti, ma li valorizza rispettando il gusto proprio di ciascuno, per questo è anche detto fungo discreto e democratico.

Altro punto di forza di questo alimento è la sua composizione organolettica. Costituito per la maggior parte da acqua, contiene anche buone percentuali di proteine. È inoltre ricco di vitamine del gruppo B, rame, ferro e potassio, oltre alla vitamina D, importante per le ossa. Aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo e i trigliceridi, in aiuto al sistema cardiocircolatorio. Per il basso contenuto di grassi è indicato nelle diete ipocaloriche. Per esperienza personale, posso garantire che mangiare un bel cardoncello (di quelli con cappello oltre i 15 cm di circonferenza) semplicemente arrostito, condito con un filo di olio e una spruzzata di pepe, omettendo anche il sale, dà la stessa soddisfazione di gusto che si può avere con un bella fettina di carne, anche per la consistenza del corpo del cardoncello che ha poco da invidiare alle fibre di origine animale.

Entrando nelle ricette con grande discrezione, il cardoncello si presta ad una infinità di utilizzi. A crudo, tagliato in lamelle sottili, a comporre un carpaccio condito con olio, limone, rucola e scaglie di grana. Al forno, in una teglia con olio, formaggio, pepe, pomodorini e pangrattato, per ottenere una gustosa gratinatura. Assolutamente da provare con salsiccia e patate, sempre in forno. Basterà tagliare patate e funghi a tocchetti, condire con poco olio e sale, aggiungere la salsiccia e passare in forno, al massimo, per 30 minuti. È però nei risotti (che sono per me sono passione e cavallo di battaglia, in una ricerca continua) che questo regalo della terra dà il suo meglio. Il mio preferito, attualissimo in questo periodo autunnale, è il risotto cardoncelli e melagrana, nel quale si sente tutta la stagione.

Per prima cosa bisogna preparare un brodo vegetale, necessario per la cottura del riso. Poi si sgranano le “perle”, il cui nome tecnico è arilli, di mezza melagrana (o anche di più, a seconda della quantità di riso da fare) e si fanno andare per qualche minuto in un fondo di olio EVO a temperatura non eccessiva. Attendere che i chicchi abbiano cambiato colore e rilasciato del succo e si aggiungono i cardoncelli a pezzi, e lasciando andare per qualche minuto. Quando i funghi avranno rilasciato la loro acqua, si aggiunge il riso e si porta a tostatura. Una volta che il riso sarà tostato si aggiunge del vino bianco e si fa sfumare. Da questo momento in poi resta solo da aggiungere il brodo, sempre ben caldo e poco per volta, fino ad ultimare la cottura. A piacere terminare con una noce di burro, prima di servire.

Questo è solo il mio modo preferito di gustare questo vero e proprio regalo del territorio, che sta diventando, col tempo, un prezioso ambasciatore di Puglia, con il suo gusto unico, le sue proprietà alimentari e la sua classe indiscutibile e che ha ancora tanta strada da fare nel panorama culinario della regione prestandosi ad una grande varietà di utilizzo.