Ghost cities le hanno chiamate. Città fantasma. Una su tutte: Chenggong, la città asiatica che sorge lungo le sponde del lago Dianchi, aspetta da anni di essere vissuta. Lussuose ville, centri commerciali, scuole, grattacieli e residence, tutto pronto ma desolatamente inabitato.

Chi è stato in una metropoli cinese sa l’effetto disturbante nel vedere quelle case-alveare vuote. Tutte uguali, tutte così impersonali da lasciare un senso di smarrimento. Troppi però sono i rischi nel lasciare quelle abitazioni senza un inquilino. A tal punto che in alcune città, come Pechino, le autorità stanno iniziando a offrire case a prezzi calmierati con l’obiettivo di riempire gli enormi grattacieli in costruzione che ancora oggi spuntano come funghi modificando il panorama della città. Negli ultimi 10 anni la skyline della capitale cinese ha conosciuto cambiamenti che in altri paesi occidentali sono stati realizzati in un arco temporale di almeno 50 anni. Nel frattempo però, i prezzi delle abitazioni continuano a crescere.

La spinta economica fondata sul real estate ha determinato un galoppante e generalizzato aumento dei prezzi che ha trasversalmente caratterizzato tutte le aree del Paese con delta di crescita tra il 20% e il 40% annui. Analogamente, cresce anche il volume totale dei mutui erogati, che nella prima metà del 2014 supereranno i 2.000 miliardi di dollari. Una spirale perversa che potrebbe presto saltare con effetti catastrofici per l’intero sistema economico della seconda potenza mondiale. La tendenza progressiva ricalca l’evoluzione di quanto successo in America con i mutui subprime. Il sogno cinese ha avuto la sua declinazione nel diritto di possedere una casa di proprietà nelle zone urbane più modernizzate del Paese (anche se in verità è una proprietà legata ad un vincolo di 70 anni in ossequio all’ideologia comunista).

L’erogazione di mutui a bassi costi e senza la fornitura delle adeguate garanzie sta contribuendo a potenziare questo circolo vizioso, aumentando il numero dei potenziali insolventi. Il tasso d’interesse sui mutui si aggira intorno al 7%, ma molte tra le più importanti banche del Paese stanno applicando dal 2012 uno sconto del 10% al fine di agevolare il collocamento delle abitazioni. Fin qui, ovviamente, per i mutui denominati nella valuta locale, il renminbi. Tuttavia, proprio HSBC ha iniziato a offrire dal 2011 mutui denominati in dollari statunitensi. Il tasso d’interesse applicato? Appena il 4 per cento.

Il Celeste Impero però ha ancora i suoi assi da giocare. Ci sono diversi fattori che si muovono a favore dell’economia immobiliare cinese. Si tratta di un settore sensibile dal punto di vista politico: l’urbanizzazione ha portato in venti anni il 50% della popolazione a vivere nelle città e ci si aspetta che al 2014 la quota aumenti al 70%. Ci sono metropoli, come Chongqing nella zona centrale del Paese, dove le costruzioni non riescono a stare dietro alla domanda.

Il rischio dell’emulazione statunitense però rimane ed è preoccupante, nonostante gli allarmismi vengano minimizzati dal governo di Pechino. La prova del nove starà nella risposta del real estate cinese alla diminuzione del tapering, ovvero la fine delle iniezioni di liquidità della Fed di cui tutto il mondo, e soprattutto quello dei paesi emergenti, ha fin qui beneficiato. Due anni fa, uno dei decani della finanza, Jim Rogers, disse una frase che fra qualche mese potrebbe risultare profetica: «La crescita del Pil cinese non può basarsi solo su case vuote». E il tentativo di Pechino di riempirle a ogni costo potrebbe essere ancora più dannoso che lasciarle vuote.

Il tasso di crescita negli ultimi mesi ha rallentato la sua corsa, parallelamente all'apprezzamento sul mercato dei cambi dello yuan, e l'ipotesi avanzata dal governo è quella di un taglio dei tassi di interessi, tutte concause che potrebbero definitivamente far saltare il mercato immobiliare cinese e dar vita a una pericolosissima bolla immobiliare che avrà ripercussioni ben al di fuori della Cina.