Il signor Southgate uscì presto da casa una mattina per portare a spasso il suo cane Dik. Fuori tirava un vento sinistro che annunciava una bufera, le previsioni del meteo stavano confermando, durante i diversi bollettini, che la presenza della neve era da considerarsi certa. Alcuni dicevano che si poteva trattare di un piede, massimo un piede e mezzo, ma alcuni avevano azzardato ipotesi peggiori. La campagna che circondava la casa del signor Southgate era brulla e rada, si estendeva fino al confine della contea senza ostacoli. Solo poco prima del confine era possibile imbattersi nei sentieri che portavano alla brughiera.

Il signor Southgate era solito aspettare il suo amico Peter all’imbocco della stradina sterrata che percorreva con Dik durante le passeggiate mattutine verso la campagna. Questo accadeva quando la sera prima, di fronte a una bottiglia di sidro caldo e al tepore del camino, i due si trovavano d’accordo circa il percorso da fare, dopo aver stabilito che sarebbe stato il caso di riprovarci, arrivare fino alla cima della collina, lassù in alto, visto che del tempo ne era passato dall’ultima volta.

Il signor Southgate aspettava all’imbocco che l’amico arrivasse verso le cinque e mezza del mattino e insieme s’incamminavano con la prospettiva di raccogliere erbe medicamentose per le malattie reumatiche delle rispettive madri, cacciare qualche coniglio con la fionda nel sottobosco collegato alla collina, arrivare fino agli abeti, e con un poco di fortuna individuare uno o due daini a passeggio nelle vicinanze. Lo sforzo necessario era notevole. Il programma veniva eseguito in media una volta ogni due mesi, mai di più; per il resto, quando il signor Southgate veniva raggiunto dal suo amico, era per via di una bevuta di fronte al fuoco, per una chiacchierata sui fatti che riguardavano la contea, per una passeggiata nella campagna circostante in compagnia dei cani di cui andavano fieri.

Peter possedeva un vecchio furgone pick up e lì caricava i suoi fox terrier per farli scorrazzare insieme a Dik, che invece aveva un’indole più sonnacchiosa. Quello era il loro paradiso e si ritenevano molto fortunati. Non che non avessero i loro guai. Peter viveva da solo e da chi lo incontrava in piazza veniva considerato duro di comprendonio. Il signor Southgate non si era mai sposato e aveva sempre vissuto con la madre rimasta vedova in età relativamente giovane. Lei aveva fatto pressioni perché il figlio non prendesse moglie e insieme continuassero a badare alla casa e al pezzo di terreno adiacente di loro proprietà da qualche generazione. Il signor Southgate non aveva protestato più di tanto. Aveva assecondato la madre durante il lutto, l’aveva rassicurata con il passare degli anni, aveva cominciato a prendersi cura di lei quando era invecchiata. Di sotto, poco prima di fare la consueta passeggiata con il suo fedele cane Dik, il signor Southgate alzava lo sguardo verso la casa dentro cui la madre dormiva. Per qualche minuto stava immobile con il bavero ben sollevato a osservare i colori e le ombre che fuoriuscivano dalle finestre. Una luce fioca si appoggiava alle tende tirate nella finestra della camera della madre; alcune intermittenze date dai giochi del fuoco scoppiettante nel camino che aveva acceso appena sveglio, ancora prima di prepararsi la colazione, colpivano la finestra a ogiva che dominava il salone; una piccola lucetta ombrosa veniva proiettata nella finestra di camera sua come segno di una dimenticanza.

Il signor Southgate faceva un fischio deciso e Dik partiva in quarta sculettando svogliatamente come se fingesse un’andatura da purosangue vero verso quella campagna dai colori autunnali diventati glaciali per la prossimità della neve. «Dovremmo arrivare fino alla contea di K., prima o poi» stava borbottando quella mattina. «Devo dirlo a Peter. Andiamo sempre verso la stessa direzione. Ma dalla parte opposta si trovano le erbe speciali e alla piazza della contea potremmo scambiare gli oggetti. È da un pezzo che non lo facciamo».

Il signor Southgate non faticava a reggere il passo di Dik che lo guardava come se volesse fargli chiaramente capire che avrebbe preferito fare pipì al terreno e dormire di fronte al fuoco piuttosto che gelarsi in mezzo a quel nulla. Durante la passeggiata, però, entrambi tennero gli occhi fissi verso la direzione in cui si trovava la contea di K. E il desiderio di rivedere alcune persone e di scambiare oggetti al mercatino fu pressante per il signor Southgate, tanto che lo disse anche al suo cane, attento a ogni minima mossa che il padrone faceva dietro di lui.

Cominciò a nevicare. Il signor Southgate fece un fischio e Dik gli corse incontro. «Andiamo bello. Tra un po’ sarà tutto imbiancato e noi dobbiamo ancora portare la legna dal terreno.» Dik fece uno scatto con le poche forze rimaste e si diresse verso casa. Il terreno era gelato. Le coltivazioni a cui era stata data cura durante la mite estate erano morte. La legna tagliata e accatastata era pronta a esser portata dentro la casa. Il signor Southgate aveva una carriola con le ruote di gomma dura, una pedana che sistemava nell’ingresso secondario, dei teloni che gli evitavano di sporcare i pavimenti oltre il necessario. Quando portò dentro gli ultimi carichi nevicava da un pezzo e lui era talmente concentrato che non aveva sentito la temperatura abbassarsi.

Dik andava spazientito avanti e indietro perché quello era il suo contributo, ma aveva una fame spaventosa e il desiderio di accucciarsi di fronte al fuoco e dormire. La madre del signor Southgate era scesa di sotto e si era messa ai fornelli. «Non lamentarti», aveva detto al figlio. «Oggi sto meglio e ho pochi dolori. Lavorare in cucina mi distrarrà dalle solite contumelie con cui passo il mio tempo. Fino a che non arrivano le riviste nuove sarò un’anima in pena». Ogni volta che cadeva la neve e ghiacciava, i dolori della madre diminuivano, si facevano sopportabili, lui continuava a chiedersi come mai. Nevicò oltre due piedi quella volta. Le vie di collegamento rimasero bloccate, le comunicazioni interrotte. L’allarme durò circa tre giorni. Furono tre giorni meravigliosi.

Il signor Southgate lesse molti vecchi almanacchi di cricket, sua madre si tenne impegnata con le letture di Dickens e Puskin, ma gli occhi le dolevano e le emicranie erano diventate fisse, quindi aveva spesso bisogno di lunghe pause che utilizzava per dormire grazie a importanti quantitativi di erbe, biancospino e fiori di Bach, che assumeva a intervalli regolari dopo aver mangiato qualche biscotto alla cannella; Dik era uscito al terreno per fare i bisogni, il resto del tempo lo aveva trascorso di fronte al camino sopra una vecchia coperta morbida che lui adorava mordicchiare. Il fuoco non era stato spento neanche per un minuto, neanche la notte, le camere erano ben riscaldate, le luci contribuivano a creare nella casa un’atmosfera di festività.

Il signor Southgate aveva riempito la dispensa per tempo, insomma, in quel modo avrebbero potuto vivere in tranquillità per un mese intero. Invece passarono solo tre giorni. Il cielo si placò, la neve smise di scendere, la temperatura si alzò di qualche grado, si tornò alla normalità. Svegliatosi più tardi del solito, verso le otto del mattino, accortosi di aver dormito tanto, il signor Southgate rinviò la colazione e con un fischio chiamò Dik per la solita passeggiatina in campagna. Dik era in piena forma, rinfrancato da quei giorni di pigrizia. Uscirono per strada. La luce era forte. Il cielo limpido. Faceva freddo. Il ghiaccio ancora non si era sciolto. Il signor Southgate e Dik si stiracchiarono contemporaneamente e, poco prima di partire per la passeggiata, guardando verso il versante opposto rimasero entrambi stupefatti.

Di fronte alla casa, infatti, una lunghissima strada asfaltata tagliava in due il confine della contea e la campagna finendo nel nulla come una retta implacabile partita chissà dove. Il signor Southgate fece due passi e si avvicinò al bordo della carreggiata. C’erano persino le cunette ben funzionanti. Rigagnoli d’acqua viaggiavano senza ostacoli sotto gli alberi scarni, l’asfalto brillava di condensa, odoroso e nuovo come se fosse stato appena battuto. Il signor Southgate non trovò le parole, non capì il senso, si sentì spaesato. «E questa da dove esce fuori? E che hanno fatto una strada in tre giorni al lavoro sotto venti inches di neve e meno dieci gradi di temperatura? Ma è roba da uscir pazzi». Dik aveva fatto i bisogni sotto un albero. Il padrone gli ordinò di risalire e lui non ci pensò due volte. Dentro la casa c’era silenzio mattutino. Il signor Southgate controllò la camera della madre che dormiva profondamente, quindi andò di sotto e attivò la linea telefonica, poi chiamò il suo amico Peter. «Hey», disse con voce acuta. «Ma che, vuoi sapere cosa è successo stamattina, Peter? Devi assolutamente venire qui a vedere con i tuoi occhi perché a me mi sembra di diventare matto».

Quando Peter arrivò con il suo furgone pick up, il suo amico stava in piedi a fumare una vecchia pipa e a guardare quella strada per cui non riusciva a trovare logica o ragione. Peter scese dal furgone. «Non sono più passato da dietro per quella maledetta viuzza scoscesa. Ho fatto la nuova strada e sono arrivato in un attimo». Il signor Southgate bestemmiò forte. «Ma ragiona un secondo. Da dove è uscita fuori questa strada? Tu l’hai mai vista prima? Ci si impiega un’ora per raggiungere la piazza della contea e tu sei arrivato in un secondo. Siamo diventati scemi?». Peter ci ragionò su, poi capì. «Eh già, tu hai mica torto. Questa strada non c’era proprio e io sono arrivato veloce. E ora? A chi si chiede per sapere come mai è uscita fuori questa strada qua? Da questa parte non fanno lavori manco ad ammazzarli». Il signor Southgate non riusciva a mantenersi calmo. «Ma che diavolo c’entra, Peter! Quando è stata fatta? Come hanno trovato il tempo di farla? Nevicava pesante, non volava una mosca, qui non è venuto nessuno, non è possibile, questa strada è venuta fuori dal nulla. Dal nulla, ti dico». I due amici si separarono. Peter disse che avrebbe raccolto qualche informazione alla piazza. Lui intanto doveva stare buono e soprattutto non perdere il controllo. Si sarebbero sentiti presto e ne avrebbero riparlato. Il signor Southgate rientrò in casa e aspettò che la madre si svegliasse seduto su un vecchio divano ingombro delle riviste che aveva appena finito di leggere. Passarono altri tre giorni. Peter non si fece sentire.

La routine del signor Southgate si era snellita. Alle otto del mattino e alle otto della sera usciva di casa e rimaneva impalato mezz’ora a guardare la strada. La madre si era alzata dal letto solo per andare al bagno. Dik i bisogni li faceva al terreno. In piedi di fronte a quella strada uscita dal nulla, il signor Southgate si era accorto che alcuni camion avevano cominciato a trafficare la zona. Gli passavano davanti e utilizzavano il clacson per salutarlo. Quel rumore lo detestava, era un gracchiare insolente che si ripeteva sempre più spesso. Il terzo giorno fece qualche passo. Una volta presa la direzione che lo portava all’imbocco in cui incontrava Peter prima delle loro spedizioni alla brughiera, si accorse che per arrivare a quella porzione di campagna si era costretti ad attraversare una nuova strada. Una seconda strada, ben asfaltata e dritta, incrociava la precedente creando uno snodo che non era mai esistito prima di allora. Anche la seconda strada sembrava tirar via senza intoppi e perdersi nell’orizzonte nebbioso per arrivare chissà dove.

«Spuntano strade come funghi», disse a voce alta il signor Southgate. Le gambe stavano cedendo e per riposarsi utilizzò il dislivello della cunetta sedendosi pesantemente sul cemento bagnato. Di fronte a sé c’era la campagna in cui Dik pedalava durante le loro passeggiate, con le essenze che lui inalava camminando a passo lento, osservando il cielo, studiando le nuvole, immaginando altri mondi ricchi di vegetazione e fauna e alberi altissimi e verde ovunque a perdita d’occhio. Rientrò in casa sconsolato.

La madre dormiva e Dik era uscito di fuori per stare vicino alla cuccia che aveva nel terreno. Il signor Southgate attaccò la linea telefonica e cercò di mettersi in contatto con il suo amico Peter che evidentemente non doveva trovarsi in casa perché nessuno rispose. Mentre stava per sedersi sul divano sentì dei rumori molesti che non aveva mai sentito in quella zona. Si mise il paltò e il capello e cercò di andare a vedere cosa stava succedendo, ma la madre lo fermò chiamandolo dalla sua camera per chiedergli cosa fosse quel baccano infernale che l’aveva svegliata. «Vado appunto a vedere ma’, dammi qualche minuto». Dal fondo delle coperte che la stavano seppellendo, la madre gli ordinò di sbrigarsi. A passo spedito il signor Southgate attraversò la seconda nuova strada e affrontò la campagna arrivando al motivo dei rumori dopo una lunga camminata. Lo spettacolo fu atroce.

Gru e ruspe ed escavatrici e operai che mettevano su un cantiere. «Capo, hey capo, non può stare là, non ha visto la recinzione. E il cartello? Il cartello non lo ha visto?». Il signor Southgate si diresse verso il cartello e lesse una serie di numeri e date e nomi di ditte appaltatrici e leggi, ma non capì granché. «Senta buon uomo, avrebbe la cortesia di dirmi che succede?». Un uomo grasso e sudicio si avvicinò masticando uno stecchino. «Che c’è? Che vuole?». L’uomo prese a scuotere i pali del cartello. Aveva i polsi spessi e nessun pelo, le maniche tirate fino al gomito. «Vorrei sapere che succede. Io abito dall’altra parte della strada, che tra parentesi non so quando è stata fatta perché fino a ieri non c’era, ho sentito i rumori, insomma, per Dio mi dica qualcosa». L’uomo indicò il cartello. «Dobbiamo costruire uno stadio di football, un centro commerciale, due ristoranti e un albergo. È scritto qui, non legge?». Il signor Southgate si sentiva svenire, le gambe tremavano, cominciò a balbettare. «Ma come? E la campagna che fine fa? Arriva il traffico, strombazzano, queste strade sono degli impicci». L’uomo si stava già per voltare e per lasciar perdere. «Che ne so io delle strade, non so niente di strade, la campagna, la campagna, che ve ne fatte di questa roba incolta che non serve a niente?».

Il signor Southgate tornò a casa sua disperato. Verso sera passò Peter con il suo furgone pick up, attese di fronte a casa del signor Southgate che scese di fretta. Andarono alla municipalità della contea e lì trovarono il presidente che li attendeva. «Eh, signori miei, mica si può vivere nel Medioevo per sempre. Qui i tempi corrono, il progresso galoppa, la moneta deve sfrigolare friccicarella, gli affari si devono concludere. Hanno pagato. Hanno pagato e tanto. La contea avrà i conti in ordine per decenni. Potremo investire pure noi eh, mica no, oh sì, sì, la renderemo moderna questa nostra contea, qui arriveranno turisti e sarà necessario dotarsi di servizi, la gente vuole le comodità, la modernità, necessita, sì, sì». Il signor Southgate era rosso in viso. «Ma che dice, presidente. La campagna, la nostra amata campagna, ci dà quello di cui abbiamo bisogno, se voi ci passate le ruspe sopra a noi non rimarrà che catrame». Il presidente sbatté una mano sul tavolo per interrompere il suo concittadino. «E allora? Mi meraviglio di lei. Educazione prima di tutto. I giochi sono fatti. I contratti firmati. Il progresso è in moto. Indietro non si torna. Ma si rende conto? Lei ha una casa enorme e un terreno di grande valore. Nel momento in cui venderà diventerà ricco, signor Southgate, ha capito bene? Ricco. E se proprio non vuol vendere, può sempre aprire un bad & breakfast».

Seduti sul pick up, silenzioso e di malumore il signor Southgate, intontito Peter, i due amici fissavano il parabrezza senza parlare. «Che facciamo?» chiese Peter a un certo punto. «Dobbiamo assolutamente salire sulla collina per un’ultima volta, perché quando i lavori saranno finiti non rimarrà nulla della nostra campagna, e se non lo facciamo ora, poi dopo sarà troppo tardi». Peter disse la sua. «Ci vuole almeno una settimana per preparare. Non possiamo farla cotta e mangiata». Il signor Southgate era d’accordo. «Una settimana a oggi facciamo la nostra bella escursione, portiamo le tende e ci rimaniamo qualche giorno. Noi e la natura, i daini e le nostre piante. Dopo sarà il volere di Dio, faccia lui quello che ritiene più giusto».

Passò un mese. Sempre allo stesso punto, il signor Southgate e il suo fido compagno Dik stavano in piedi alle cinque del mattino in attesa che Peter li raggiungesse con i suoi fox terrier. Peter arrivò in ritardo. Nell’attesa, il malanimo del signor Southgate ribolliva alla vista degli scheletri che dovevano essere coperti di cemento per dar vita alla struttura sportiva, agli alberghi e al centro commerciale. Con uno sforzo era possibile immaginarseli quei mostri, comparire nella loro maestosità circondati da spiazzi artificialmente verdi e da lampioni di ferro battuto, a prendere il posto della campagna che scompariva, eliminata da interventi violenti e disumani una iarda di seguito all’altra.

Il primo tratto di strada i due amici lo fecero senza parlare. La vicinanza degli obbrobri che avevano deturpato il territorio si sentiva come una presenza incombente. L’odore delle piante aromatizzate non era già più lo stesso. Il colore agreste del panorama era già metallico. Il signor Southgate sbuffava come un toro dentro al recinto. Solo una volta arrivati all’altura, superata la brughiera e penetrati nella parte più profonda della vegetazione, l’umore dei due amici cambiò. La natura era ancora forte e vigorosa, infondeva vitalità e linfa. Nonostante camminassero da ore senza interruzioni, il freddo selvatico spronava a profondere gli ultimi sforzi in vista della meta. Dik arrancava ma non mollava, i fox terrier avevano benzina da vendere, Peter osservava il colorito del signor Southgate cambiare e se ne rallegrava. Fecero la sosta al solito spiazzo. Si stesero a riposare. I rami altissimi visti da sotto davano l’impressione di un labirinto legnoso che li avrebbe potuti avvolgere.

Il signor Southgate stava respirando a piene boccate, chiuse gli occhi per lasciarsi andare alle immagini che aveva in mente, si sentì felice e vuoto, dopo quei giorni così difficili. Ma la sua felicità durò molto poco. Una serie di sghignazzi, di parole pronunciate ad alta voce, urla a rincorrersi di bambini scatenati, arrivò alle sue orecchie destandolo dalla concentrazione. Barcollò in avanti oltre lo spiazzo e uscì sul versante opposto a quello in cui la brughiera era cominciata. Gli alberi erano stati tagliati. A valle, numerosi caravan di campeggiatori stavano in sosta a consumare presso un McDonald’s, tanti caffè e panini con la maionese. Un gruppo di scout con un signore di cinquant’anni con indosso un paio di pantaloni color cachi, una felpa con un lupacchiotto stupido disegnato nel centro e un foulard azzurro, teneva in mano una bandierina e ordinava a ragazzi di diversa età di seguirlo in fila indiana. Di fronte a sé il signor Southgate vide solo distese con gli stessi scheletri comparsi di fronte a casa sua. Erano pronti per essere riempiti di cemento e di qualcuno si poteva già intuire la dimensione, la forma e lo stile. Era una cagnara continua. Gli alberi e il silenzio erano spariti per sempre. Si sedette senza fiato, con le palpitazioni, il cuore spezzato.

Peter lo raggiunse e osservò attonito, poi rincuorò l’amico. Dik si era accucciato vicino al padrone di cui percepiva la volontà di scomparire prima possibile. I fox terrier finalmente stanchi stavano seduti in posa in attesa di nuovi ordini. Non ci fu festa quel giorno e neppure nei giorni a seguire. Il signor Southgate visse quel che doveva ma senza entusiasmi. Seppellì la madre quando fu il momento, pianse la dipartita del suo cane qualche anno dopo, smise pure di pensare a Peter che non andò più a trovarlo perché le motivazioni della loro frequentazione erano venute meno. Quando fu il suo momento non provò nulla, né paura, né rimpianti. Se ne andò via così, come una persona qualunque. Il suo cuore aveva già smesso di battere parecchi anni prima, quando era stata messa la prima pietra per la costruzione del nuovo stadio di football.