Il conflitto scoppiato a Gaza tra Israele e Palestina dopo i raid di Hamas è uno dei più sanguinari degli ultimi anni. A nulla sono valsi gli appelli di tante associazioni e Stati: a Gaza le bombe sono cadute sulle teste dei civili.

Tutto è iniziato il 7 ottobre quando miliziani di Hamas hanno cominciato ad incunearsi con la violenza nei territori israeliani prendendo ostaggi e uccidendo civili e militari. Una scia di sangue e terrore che ha fatto raggelare il mondo e ha spinto Israele a sprigionare tutta la forza del suo Esercito e della sua Aviazione. Le immagini del blitz di Hamas al rave musicale, con i corpi massacrati nel bar o i ragazzi che si rifugiano tra gli alberi, hanno fatto subito il giro del mondo. Israele, per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur degli anni Settanta, ha dichiarato guerra ufficialmente con l’Operazione Spade di Ferro. Da quel momento non si è tornati più indietro.

Carlo Levi nel 1945 scriveva dell’Italia povera post-bellica dicendo che Cristo «si era fermato ad Eboli». Oggi «Cristo si è fermato a Gaza», dove ormai non sembrano esserci più leggi civiche e umanità. Gaza, la zona in cui sostanzialmente Hamas ha potere, giorno dopo giorno viene colpita da bombe che non risparmiano neanche le ambulanze e i mercati. A Gaza la situazione resta critica, diverse aree sono rase al suolo e scarseggiano i beni di prima necessità.

Negli ultimi giorni la notizia più grave è arrivata dall’ospedale di Al-Shifa dove la mancanza di corrente aveva messo a serio rischio la vita dei neonati che non potevano essere messi nelle incubatrici, strumentazioni che poi sono state trasferite dagli stessi israeliani nei giorni a seguire. Un intreccio di bombe, accordi, attacchi a sorpresa, raid, sangue innocente, sotto gli occhi di tutti, in una società globalizzata e dove ogni giorno un video in un ospedale di Gaza può rimbalzare in tutto il mondo in pochi secondi. Un orrore in diretta che cristallizza nel tempo la scelleratezza della guerra, oggi come non mai.

Il conflitto arabo-israeliano ha infatti radici profonde. A partire dal periodo post-bellico, quando Israele era alla ricerca di un territorio in cui creare finalmente quello Stato che non si era mai creato negli anni. Con l’istituzione dello Stato d’Israele, infatti, parte dei territori considerati dai palestinesi di loro proprietà vennero inglobati dal nascente Stato israeliano. Un processo che man mano ha portato Israele a guadagnare sempre più terreno facendo sì che lo Stato di Palestina arrivasse ad essere formato dalla Cisgiordania e dall’exclave di Gaza, ad oggi la parte martoriata di questo conflitto.

Il conflitto arabo-israeliano, storicamente, è inquadrato nel periodo che va dal 1948 al 1973 ma i conflitti interni, gli avanzamenti israeliani con nuovi insediamenti e le guerriglie delle organizzazioni paramilitari sono continuate nel tempo. La più nota di queste, ad oggi, è inevitabilmente Hamas (letteralmente “Movimento Islamico di Resistenza”), nato nel 1987 e ritenuta da larga parte degli Stati internazionali una organizzazione criminale.

Hamas ha raggiunto il potere a Gaza grazie anche ad azioni illegali che hanno portato ad una instabilità sostanziale in Palestina. Hamas, che non rappresenta la totalità della società palestinese né da un punto di vista sociale né da un punto di vista politico, nel suo statuto ha specificato che l’unica via per l’istituzione dello Stato di Palestina è la Jihad (la guerra «di religione»).

Comprendere il conflitto arabo-israeliano, quindi, è cosa assai ardua, un terreno minato che può portare a considerazioni errate in ogni momento. Religione? Democrazia? Giustizia? Temi troppo difficili da analizzare senza conoscere la realtà a fondo. Ciò che è tristemente reale, invece, è la mattanza che si sta consumando in questa striscia di terra ormai sotto le bombe di una guerra che in molti non avrebbero voluto e che invece stanno subendo.

I dati, non a caso, sono terrificanti. Secondo il Ministero della Salute di Gaza i morti palestinesi sono oltre 10.000 in circa 32 giorni di guerra, di cui più del 60% donne e bambini. Altri 2.450 circa, tra cui 1.350 bambini, sono invece dispersi; 192 almeno i morti tra gli operatori sanitari e 36 i giornalisti. Numeri che fotografano una realtà più che preoccupante e che non lascia alcuno spazio a pensieri di speranza. La comunità internazionale è al lavoro per cercare una soluzione pacifica. Mentre si cerca la pace, tuttavia, uomini, donne e bambini innocenti continuano a morire. Gli unici che, invero, la pace la meriterebbero davvero.