Descendet Dominus sicut pluvia in vellus - Novendiales Preces ad Nativitatem

Il nome cela e rivela l’essenza. “Melampo” cioè “Piedi neri”, cioè l’Egitto, ovvero il simbolico limo nero del Nilo/Osiride/Dioniso, cioè la fase iniziale e conclusiva dell’Opera, il nome stesso dell’Alchimia, la dialettica putrefazione/disseccazione. La tradizionale collocazione, in Nonno, di Cibele in Frigia e la conseguente contestualizzazione geografica di Dioniso appare infatti operazione tarda derivante dall’assimilazione di Cibele con Rea. Ma l’unica originaria connessione spaziale di Rea riguarda Creta, la Creta delle Grotte, delle danze armate, e dei dionisiaci Serpenti e Tori, e la perigliosa nascita di Zeus, da lei salvato, archetipo per la nascita di Dioniso e per la sua prima infanzia.

Secondo le fonti la madre di Melampo lo avrebbe adagiato sotto un ombroso albero da infante e il sole avrebbe cotto i piedi rimasti fuori dall’ombra. Una chiara immagine sapienziale. Melampo, come tutte le figure misteriche, possiede più discendenze. Discende da Eolo e Posidone, ma anche da Creteo e Minia. Fu profeta e generò discendenti profeti. Il suo nipote Anfiarao partecipò alla spedizione dei sette contro Tebe, convinto dalla moglie a cui era stata regalata la collana di Armonia. Appartiene alla generazione dei conquistatori di Pilo, parente di Nestore. Di probabile origine cretese e/o egizia, appartiene al clan conquistatore dell’argolide.

E’ l’unica figura del mito greco a non morire di morte violenta, a riuscire in tutte le sue imprese, a unire molteplici carismi: profeta, medico e Re. Da suo figlio Abante (nome di origine ebrica) derivano i primi Re di Argo. E’ l’unica figura del mito a vincere con la forza della sua sapienza, a compiere azioni sacre e divine senza essere di origine divina. Melampo conquista un Regno guarendo, giusta metafora dell’alchimia quale medicina regale. Melmapo ci aiuta a capire meglio come la contrapposizione nicciana, ideologica ed intellettuale, fra Apollo e Dionioso, appaia riduttiva, deformante, fuorviante. Apollo non è l’ordine e Dioniso non è il caos.

In primo luogo i due stati dell’essere manifestano molti connotati simili: l’importanza della musica, l’essere emanazioni speculari di Zeus, il rapporto con le ninfe. Apollo suona con la lira, Dioniso fa suonare con la zampogna, ma entrambi godono della siringa. L’essenza più profonda ci rivela un Apollo violentatore di ninfe e un Dioniso amico delle ninfe, trasformatore di donne in ninfe, un Apollo “obliquo” e ambiguo e un Dioniso che parla apertamente e veracemente, segno della potenza della Verità: terribile e giocosa, sfuggente e fiammante, cosmica e armonica. Dioniso è l’elixir vitae, lo spirito degli alberi, la fecondità più profonda, mentre Apollo resta una dimensione ibrida, incerta, incompleta.

Dioniso è l’ultimo Zeus, sintesi perfetta di ogni opposizione, mentre Apollo è uno Zeus incompleto, attenuato, ripetitivo, smanioso di soppiantare l’invasivo Padre. Dioniso invece è stato salvato da Zeus e gestato nella sua coscia, da qui il suo rapporto più intimo, viscerale, con il Padre, rispetto all’algido Apollo.

Anche in questo Melampo esprime l’unitaria essenza di Dioniso/Apollo, perchè fu estratto da Zeus dal ventre dei Semele morta e fiammante come Apollo estrasse Asclepio dal ventre di Coronis già posta sulla pira. Non riuscì più questa operazione ad Achille/Pentesilea! Anche la contrapposizione fra misura/sfrenatezza è fuorviante: Apollo squarta Marsia, è armato dello spietato arco, diffonde la peste nell’Iliade, maledice il corvo, uccide Coronis, violenta le ninfe, Dioniso nelle Baccanti di Euripide invita alla misura, valore che Penteo violò con la sua ybris, e nelle Dionisiache appare nume disarmato, pacifico, generoso, clemente verso i nemici che desidera convertire, segno di armonia. Scorretta è anche la contrapposizione luce/tenebra e giorno/notte fra Apollo e Dioniso.

Apollo è il nume della tagliente luce nordica e iperborea, ma a Dioniso appartiene il fuoco che illumina la notte e il silenico meriggio, con la sua luce calda, feconda e allucinatoria. Se Apollo è luce è la sterile luce invernale, e se Dioniso è tenebra è l’animata e stellata notte estiva. Apollo è solitario, asociale, e malinconico, Dioniso corale, amichevole e sorridente. Prova ne è che il vendicativo Apollo non soppianta del tutto il titano Helios, e resta un doppione di Artemide, mentre Dioniso completa un vuoto, innova il cosmo, basta a se stesso, non ha rivali o figure analoghe, anzi Dioniso inocula il monoteismo per sua grande completezza e ricchezza spirituale e rituale. Dioniso sposa le ninfe che possiede, le glorifica, le rende partecipi della propria dimensione, le porta in Cielo nella forma delle stelle e delle costellazioni, mentre Apollo le costringe a metamorfosi vegetali per sfuggire ad un unione fugace.

Apollo è il sale ermetico che cristallizza, coagula e fissa, Dioniso lo zolfo che “solve”, amico del ninfico Mercurio, a cui tende ad unirsi. Dioniso, il puer aeternus, mistericamente sorge dal “fianco di Rea”, e quindi appare più antico del recente, volubile, instabile Apollo. La sapienza a Dioniso, l’intelletto ad Apollo. La più grande impresa di Apollo, come insegna Calasso, fu in realtà aver trasformato ninfe selvagge nelle Muse, ma ciò rappresenta lo scenario consueto di Dioniso dove le selvagge e amazzoniche ninfe diventano baccanti musicali e danzatrici e viceversa normali donne sottomesse si trasformano in teofanie viventi, nuove Artemidi o nuove Muse. Se Apollo è guaritore e profeta anche Dioniso lo è, nume dell’invasamento, della musica/danza, e dell’ebbrezza, fonti della mantica.

Nei tre mesi invernali in cui Apollo risiede presso gli Iperborei è Dioniso che parla a Delfi. Specificando ora sul nostro teurgico maestro d’ermete, ed Hermes fu il primo grande amico di Dioniso, iniziamo a ricordare come le imprese sapienziali e rituali di Melampo siano essenzialmente tre: a) la guarigione di Ificlo b) la guarigione delle figlie di Preto e delle donne argive c) partecipazione all’impresa dell’Argo. a) Melampo è sacerdote di Apollo, il primo medico, un Asclepio che non viene fulminato, il primo aruspice, ma pure ritualizza per la prima volta il culto di Dioniso: è il primo ad erigere un tempio a Dioniso, mentre prima si utilizzavano solo le grotte e le radure dei boschi, e a tagliare l’acqua con il vino, mentre, secondo Erodoto, introduce il suo stesso culto portandolo dall’Egitto. Per la prima volta in Melampo si trova una sintesi, una concordanza perfetta fra Apollo e Dioniso, i coabitatori di Delfi, la misura di Apollo applicata al mondo di Dioniso.

Melampo è generoso: si sacrifica per il fratello. Melampo ha le orecchie leccate dai dionisiaci e apollinei serpenti e quindi capisce la voce degli animali, aspetto analogo al rapporto con gli animali di Dioniso/Orfeo e di Glauco. L’impresa nuziale a favore del fratello presenta l’importante antefatto della mandria sorvegliata dal cane insonne, analogo al drago insonne dell’Albero dell’Ariete, e quindi ricorda l’analoga impresa di Eracle. La stessa prigionia rituale e volontaria ricorda vicende di Apollo ed Eracle. Le mandrie di solito erano sacre ad Helios, e in ogni caso diventando premio per le nozze in caso di guarigione dell’impotenza di Ificlo, rivelano anche tutta la loro carica generativa/sacrificale/fecondante.

Melampo trova il rimedio per guarire Ificlo sacrificando due tori in olocausto ad Apollo. Scendono due avvoltoi e rivelano il rimedio. La duplicità tori/avvoltoi rinvia alla duplicità dell’ascia bipenne e dell’Aquila assira e persiana. Il rapporto Toro/Avvoltoio esprime l’intima connessione fra Dioniso e Apollo. Il coltello insanguinato conficcato nell’albero, una quercia o un pero, carico di ruggine e di sangue di ariete raggrumato, fonte del terrore di Ificlo/Isacco bambino ricorda l’Albero della Vita, unione di Sole e Luna, e gli alberi sacri e sacrificali come quello di Ares su cui pendeva il Vello, ma la stessa Croce di Cristo infitta dei chiodi, segno alchemico della ricapitolazione del mondo vegetale, minerale, animale nell’unica Opera.

L’operazione medica di Melampo appare chiaramente alchemica: solve et coagula, sangue e ruggine, coltello e albero. Il coltello è il sale filosofico, il sangue il mercurio, la ruggine lo zolfo. Ificlo diventa campione olimpico di corsa, gara nuziale e rituale a cui si sottopose anche Odisseo per Penelope, oltre che uno degli argonauti. La sua guarigione divenne quindi nuovo e preciso percorso esoterico. b) Preto figlio di Abante, Re di Argo insieme ad Acrisio, duplici come i Dioscuri e i consoli, erano discendenti di stirpe ebraica. Le tre figlie sono assalite dall’”estro” dalla follìa mandata da Hera, assai simile a quella bacchica, con le violente corse nei boschi montani. Preto incarna la patriarcalità, Stenebea, la matriarcalità resistente. Melampo sa guarire la follìa perché è iniziato di Dioniso, che governa sia la sapienza che la follìa, e conosce il varco di trasmutazione fra di esse.

Come Eracle e come il Dioniso indiano di Nonno di Panopoli Melampo appare connesso con una follìa che deriva dalla furente Hera. La guarigione inizia anche qui con un sacrificio: venti buoi rossi ad Elio. Poi lava in un pozzo sacro le donne e le asperge tramite un ramo di elleboro, sangue di maiale, animale ritenuto impuro, zolfo, bitume e acqua di mare. Cura l’impurità con l’impurità! Solo Dioniso cura Dioniso! Le tre figlie vengono ritrovate in Arcadia, vicino al fiume Stige, segno dell’esperienza attiva della morte. Preto, secondo Graves, era Ofione, il Demiurgo, il Serpente cosmico, alleato di Dioniso. Le figlie di Presto corrispondono ad Io e Pasifae, le donne che si uniscono con il Toro divino.

Melampo/Dioniso è connesso anche con Eracle (dopotutto Deinaria è figlia di Dioniso): l’eraclico monte Folo, secondo una versione parallela del mito, maleodora perché Melampo vi gettò gli oggetti con cui ha purificato le donne argive. Ciò è segno del passaggio vincente attraverso la putrefazione o morte mistico-alchemica. Come Eracle è connesso con Dioniso cos’ quindi Mlemapo. Tanto che Eracle nella strage di Pilo risparmiò solo Nestore e Pero, moglie di Biante, fratello di Melampo. E secondo alcuni studi i Melampodidi acarniani si accompagnavano agli eraclidi nella conquista, per Sparta, della Messenia.

Anche uno dei due cani di Atteone, quello di razza spartana, si chiamava Melampo, cane che Artemide fece rivoltare contro il proprio padrone, trasformato in cervo, segno cosmico e mistico dionisiaco, facendolo divorare, e il nostro Melampo fu ferito dal cane insonne di Filaco. E’ l’argento vivo che deve divorare la materia grezza perché si liberi il mercurio filosofico. La battaglia fra animali è ricorrente immagine ermetica. Di solito il cervo fuggente è il mercurio e il cane lo zolfo.

La loro battaglia indica la fissazione del mercurio ad opera dello zolfo. Un unico filo universale lega tutto: Artemide è forza lunare, i cani (della lunare Ecate) sono di Atteone, e il cacciatore è stato appena abbagliato dalla nudità di Artemide, la quale, come la Luna, è amica e alleata di Dioniso, archetipo della menade. L’uccisione di Atteone è un rito di smembramento bacchico, che lo assimila al nume stesso. Melampo è l’agente attivo del “solve” e del “coagula”. Atteone è Dioniso Zagreo. Un quadro di Jakob Jordaens, collaboratore di Rubens, è dedicato a Melampo e Atalanta, due argonauti, e due figure vicine a Dioniso. Melampo ci dimostra anche come il culto di Dioniso, di origine ebraico/egiziana, sia giunto in Grecia attraverso Creta per approdare in primo luogo a Sparta. Penteo è uno spartiato: un “seminato” dai denti/sangue del drago, segno originario di Sparta e di Dioniso.

Conferma simbolica si trova nella danza pirrica ( i coribanti) e nell’emancipazione guerresca delle donne spartane (le ninfe/amazzoni). c) Melampo è la vera anima della sacra spedizione degli Argonauti. È il più diretto discendente di Minia, condizione per partecipare all’impresa tanto che gli argonauti venivano anche chiamati “Minii”, non compie nessuna azione e torna vivo dall’impresa, perché il sacerdote/mago doveva esclusivamente propiziare le potenze divine, è connesso sia con Apollo che con Dioniso, principali numi tutelari dell’impresa. Medea è infatti figura dionisiaca, il vello dell’ariete è oggetto sacro a Dioniso usato nella danze sacre sacrificali, i corpi esposti sugli alberi è tradizione misterica che, prima di divenire usanza persiana e zoroastriana, rivela il senso esoterico e ermetico della trasmutazione, della rigenerazione, del fecondo spragmòs.

Il calderone di Medea ricorda il calderone di Zagreo/Apollo. Se si analizza il rapporto fra Melampo, Giasone e i partecipanti all’Argo si può sostenere la centralità essenziale di Melampo all’impresa. Elenchiamo di seguito i punti di contatto fra Giasone e Melampo e fra Melampo e gli argonauti: i loro nomi sono due epiteti, il vero nome di Giasone era infatti Diomede; Melampo camminava scalzo e Giasone appare a Re Pelia senza un sandalo; Giasone appare sull’Argo recante una pelle di leopardo, simbolo di Dioniso e Melampo è adepto di Dioniso; entrambi mostrano un umore melanconico, saturnino.

Graves parla di Melampo quale “il cupo Melampo con un ciuffo di gazza in testa” (la gazza era animale simbolico connesso a Dioniso), segni di una profonda sapienza contemplativa; Giasone significa “il guaritore” e Melampo è guaritore; molti argonauti sono parenti di Minia e Melampo è figlio di Minia; Melampo e Giasone sono cugini; molti argonauti sono considerati “figli di Posidone” e Melampo è anche detto “figlio di Posidone”, manifestando così una “doppia natura” come Giasone, e una connessione con il fratello di Zeus; Giasone fu allevato da Chirone e i centauri sono segni di Dioniso, analoghi simbolici dell’immagine dei satiri; entrambi conquistano senza combattere Regni prima a loro estranei.

Da ciò emerge come Melampo fosse il vero garante spirituale dell’impresa, la vera auctoritas sia nei confronti della rivendicazione di Giasone al trono di Jolco, sia per l’avventura del recupero del Vello aureo di Zeus, in quanto reca la più stretta parentela con Minia, da cui deriva il trono di Jolco, e in quanto reca la potenza di Apollo e di Dioniso congiunte. Gli argonauti sono infatti detti “Minii” perché la maggior parte era connessa o parente del Re Minia. Anche nella logica matriarcale e pelasgica di Graves Dioniso appare la sintesi innovativa e vincente nel conflitto fra logica divina olimpica e resistenze preolimpiche e femminili.

Dioniso infatti riporta in auge il senso più antico del mito intessuto di ninfe (le menadi sono le nuove ninfe) e di satiri ( gli adepti di Dioniso) ma nel contempo è figlio di Zeus. Re Frisso era nipote di Minia, Re Pelia “figlio di Posidone”, Periclimeno veniva da Pilo, come Melampo, ed era figlio di Neleo, gemello di Pelia e zio di Melampo, e a sua volta “figlio di Posidone”. Altri figli di Posidone argonauti sono, secondo Appollonio, Ergino, Anceo, ed Eufemo.

Fliante era figlio di Dioniso, Nauplio discendente di Preto. Apollonio Rodio, eccentricamente, non inserisce Melampo fra gli argonauti, come fanno le principali fonti, ma cita ben quattro argonauti connessi con Melampo: Ificlo, da lui guarito, due suoi nipoti: Taleo e Areo, figli di Biante, fratello di Melampo, e il vate Idmone, figlio di Abante e quindi nipote di Melampo. Secondo altre fonti fu argonauta anche Anfiarao, discendente di Melampo e, come lui, indovino. Anfiarao compare nell’Odissea e viene portato ad Itaca da Telemaco, a cui predice l’imminente vittoria di Odisseo.

Da ciò deriva come il “mondo di Melampo” sia inscindibilmente connesso con l’Impresa di Argo, di cui Melampo può dirsi l’”anima esoterica”. Il Vello d’oro è, prima ancora, il Vello nero del sacerdote di Zeus e il Vello rosso del Re sacro bacchico, tinto di rosso come Odisseo e le Menadi, analogo al vestito rosso con cui Zeus ascese al Cielo, e sua volta simile al vello della ninfica capra Amaltea, nutrice di Zeus.

Ecco conclusa la terna cromatica alchemica. Il viaggio verso il Vello aureo è il viaggio alchemico che ci porta dalla terra sterile di Iolco, attraverso il mare inospitale (ponto eusino), generatore delle gorgoni, segno del piombo, territorio degli sciti, delle amazzoni e della saturnina ninfa Fillira madre di Chirone, fino all’Oro filosofico, cioè alla Polvere di proiezione, alla conquista del Sole che non tramonta. E come nell’egida serpente e capra sono uniti così nel Vello aureo Albero/Serpente/Ariete/Oro appaiono maschere di una medesima essenza, luci di un medesimo processo. Il drago insonne è il fuoco umido, il caos dei filosofi, la putrefatio fiammante, la prima cottura del mercurio.

L’albero con il drago è l’Abero della conoscenza dell’Eden, il tronco è il fuoco secco di Ares, la sublimazione e purificazione dello zolfo, i rami esprimono l’estrazione sale filosofico, la purgazione dei metalli e il Vello con il corno la Pietra filosofale. L’Albero corrisponde all’Abraxas. Melampo è solo un Uomo perché già possiede l’aquila (Apollo) e il Toro (Dioniso), e le ali del caduceo. Già in se riassume l’Essere vivente dell’Apocalisse. In conclusione Melampo appare la più pura, solare, vincente e completa epifania di Dioniso, come lui guaritore, profeta, Re, figura itinerante (versione orizzontale e più armonica delle violente teofanie uraniche di Zeus), connessa con la vite, con l’Egitto, e con i principali centri greci (Pilo, Orcomeno, Tebe, Argo, Tirinto)