Nella scena di Rinaldo invasato dall’idra della passione possessiva infatti il cavaliere simbolico che corre a salvarlo spiritualmente è armato di torcia: l’arma che Ercole, altro segno ricorrente nell’iconografia alchemica, utilizzò per sconfiggere la terribile e simbolica idra. Il gesto solare dell’uccisione del drago, a cui corrisponde l’idra, richiama immagine alchemica del superamento dei residui della combustione e della putrefazione e dell’inizio della fase dell’ evaporazione/distillazione. Angelica che svanisce raffigura proprio l’evaporazione conseguente all’uccisione del drago acquoso alchemico.

L’idra/gelosia che si attacca a Rinaldo e rischia di spegnerne il cuore ma viene combattuta vittoriosamente dal fuoco ricorda le numerose salamandre o draghi tenuti nel fuoco dell’iconografia ermetica, fra cui il “Trattato della pietra filosofale “ di Lambsprick, alla decima figura. In tal senso è possibile connettere le differenti sequenze dipinte secondo il predetto schema dei quattro elementi alchemici: Ariodante: attraversamento dell’acqua, Polinesso: attraversamento della terra, Angelica: attraversamento dell’aria. La città assediata e Rinaldo inseguito e salvato dallo Sdegno: attraversamento del Fuoco. Il quarto microciclo della Sala nobile è dedicato alle grandi allegorie dell’Orlando.

Le figure della lupa, della strage, della cosiddetta Discordia e della grotta del “sonno” sono valorizzabili anch’esse in una dimensione esoterica che non annulla o contraddice ma completa e addirittura chiarisce la lettera ariostesca. Nell’iconografia ermetica ricorre sempre un passaggio rappresentato quale massacro o strage, di solito segnato con l’immagine della strage degli innocenti, mentre la figura femminile multicolore potrebbe simbolizzare la fase della “cauda pavonis”, fase agitata e multicolore del lavoro alchemico che preannuncia il trionfo dello Zolfo perfetto e l’apparire della Pietra filosofale. La Donna infatti appare al centro della scena dominandola attorniata da dotti e sapienti, e sembra quindi dotata di un proprio senso autonomo e centrale rispetto alle altre figure, mentre appare riduttiva la lettura della Donna quale semplice, e inutile, espressione di un folla discorde.

Come per la Donna anche per la grotta del Sonno/Silenzio non si riscontrano equivalenti esaustivi nell ’Orlando. Anche l’immagine della grotta appare riduttivo limitarla a una banale allegoria moralistica, lasciandola scollegata da tutto il resto, ma può ricordare la grotta di Elìa o l’Atanor alchemico la cui cottura non deve essere disturbata dai profani, ma anche riecheggia l’iconografia dello stesso Saturno, nume della sapienza e dell’alchimia. La vecchia inerte con la conocchia infatti, i recipienti vuoti e rovesciati e gli uomini dormienti appartengono infatti all’iconografia della melanconia meditativa saturnina.

E troviamo altri elementi saturnini nel ciclo quali l’oggetto tenuto in mano dalla statua iniziale, il compasso della donna che uccide la Lupa, la stessa lenta e saggia testuggine, la sfera armillare. Riguardo le allegorie di “Discordia”,“Strage”e“Grotta del silenzio” l’impostazione moralistica dell’interpretazione proposta dalla Rajna appare riduttiva già nel confronto con il testo dell’Orlando ove emergono nel contesto mistico e soteriologico dell’invocazione di Carlo Magno a San Michele affinché guidi un intervento celeste a favore delle armate cristiane. Queste allegorie vanno quindi interpretate in una logica mistico-misterica.

La penultima scena infine riecheggia e conferma l’immagine precedente di Astolfo: anche qui abbiamo l’Uomo perfezionato, il Re alchemico o Rebis: colui che detiene la sapienza del Cielo e della Terra e che trionfa con l’Amore sul corpo e sull’anima soggiogati allo Spirito finalmente liberato: il cavaliere che siede in trionfo sulla testuggine, segno presente, in versione buffa e dionisiaca, nello stesso Orlando (Canto VI, LXXII).. Franco Picchio nella sua eruditissima opera ricorda i numerosi segni nell’Orlando della neomitologia ermetica di Sileno e Dioniso, quale figure solari di Cristo e della sapienza, presenze spesso connesse all’asino e alla tartaruga.

E ancora una volta infine appaiono eloquenti e non casuali i colori: nero, bianco e rosso, segni del compimento dell’Opera alchemica. La scena delle uccisioni e dei fuochi davanti alla città murata bianco vermiglia non trova adeguati riscontri testuali nell’Orlando. Prova ne è che nel suo studio la Rajna tenta di collezionare passi ariostechi eterogenei ed erratici al fine di ricostruire un senso unitario, ma non riuscendovi. Ancora una volta il linguaggio alchemico mostra, anche in questa scena, una potenza euristica notevole.

Il cane che corre è simbolo alchemico ricorrente, equivalente alla volpe e al leone, simboli ambivalenti di Mercurio o Zolfo, segno già presente (che sia cane o volpe) nella scena della lizza vicino al trono del Re. Troviamo una delle tante conferme iconografiche della simbologia del cane alla quinta figura del “Trattato della pietra filosofale” di Lambsprick. La donna bruciata e decapitata è segno del Mercurio purificato e cotto, e corrisponde, quale fase finale, alle precedenti scene di Angelica portata via dall’essere sulfureo e dell’Idra della fredda “gelosia” vinta dal fuoco dello “Sdegno” agente fissatore del mercurio: momenti di un medesimo processo di sviluppo alchemico. La decapitazione e la strage è immagine alchemica ricorrente, come nello Splendor solis alla tavola X, XIV e XV, e prelude ad una ricongiunzione : il “coagula” dopo il “solve”.

Se proprio si vuole trovare un preciso accostamento ariostesco q questo dipinto sembra più puntuale ricordare l’episodio dell’assedio di Parigi e le connesse stragi e incendi fra saraceni e cristiani in cui domina la furia di Rodomonte. Nell’iconografia alchemica vi è sempre una scena cui si manifesta lo scatenarsi del caos e della violenza e di solito viene utilizzata la metafora della vangelica strage degli innocenti, come nel “Libro delle figure geroglifiche” di Nicolas Flamel.

Tale immagine allude alla definitiva fissazione del mercurio, alla sua cattura e addomesticamento. Il cane infine ricorre nell’ emblema XVIII dell’Atalanta fugiens. Per quanto riguarda l’uso alchemico del simbolo di Marte e della strage basti ricordare la tavola XIV dello Splendor solis. La sedicesima figura sembra raffigurare più la Sapienza che la Discordia. Il testo ariostesco contiene solo l’elemento comune dell’abito multicolore ma non aiuta ad esaurirne il senso. La scena vede una folla di dotti che ascoltano e additano la Donna centrale, il cui manto multicolore potrebbe esser segno di ricchezza spirituale, di molteplicità di carismi. La folla non dibatte con astio, né contende con la donna quanto si rivolge ad essa per aver lumi; e il motto enigmatico “fenum in cornu gerunt” richiama le antiche fiabe popolari sulla “trebbiatura celeste”, di cui resta traccia nelle raccolte dei fratelli Grimm.

Il corno è poi simbolo di sapienza, appartiene ad Apollo, a Diana, e a Saturno, mentre il fieno appare segno biblico e vangelico di morte e peccato, ma anche di redenzione e rinascita. L’importanza simbolica del fieno si può apprezzare nell’opera di Hieronimus Bosch dedicata appunto ad un carro trionfale di fieno. Fieno unito al corno, significa alchemicamente l’unione del Sole alla Luna. L’abito multicore invece era miticamente segno di Iside e delle Menadi. Il segno del fieno allude anche alla mietitura, cioè ad una fase trasformativa e risolutiva finale. Nell’alchimia la policromia indica la fase della “cauda pavonis” rappresentata appunto dalla coda di un pavone o dall’arcobaleno, quale fase di transizione fra l’albedo e la rubedo all’interno del processo di distillazione. Come la luce contiene tutti i colori così quale fase di vaporizzazione e condensazione molteplice.

Nello stesso Orlando Furioso si individua un altro passo in cui appaiono enigmaticamente vestiti dai molti colori in una misteriosa grotta in cui si rifugia Angelica ancora invisibile. Angelica, appena sfuggita da Ruggero, si muove come la luce: invisibile, ma contenente tutti i colori. (XI,11) La Donna quindi quale trionfo del Mercurio rinato, o della Quintessenza, occupando la posizione centrale di una nicchia quadrata al centro di un porticato con due archi ai lati. La Donna quale emblema dell’esito finale vittorioso della fase di distillazione/evaporazione/sublimazione.

Sul pilastro di sinistra si travede poi il segno triangolare dello zolfo al centro di un cerchio, preannuncio del trionfo dell’Opera. Raffigurazioni simili, con un triangolo equilatero innalzato sopra un albero o un asta, si ritrovano in importanti testi ermetici quali il “Mercurius redivivus” di Thomas Norton, l’”Azoth” di Basilio Valentino, lo “Speculum Veritatis” di Com’astri, e il “Mundus subterrraneus” di Athanasius Kirker. L’arcobaleno compare poi nell’incisione di Durer, di sapore alchemico, dedicata alla Melanconia saturnina, e il pavone, anche quale segno della simbolica Venere compare alla tavola XX dello Splendor solis.

La grotta del silenzio e del sonno dipi nta nella diciassettesima scena della sala nobile appare come nell’Orlando coperta della mistica edera come la simile grotta simbolica e spirituale di Medoro e Angelica, matrice e coronamento di amore nella simbolica coppia e di folle ed ascetica furia in Orlando. Il motto “Tace Auce Disce” rivela, qui con la massima chiarezza, il senso iniziatico della singola scena e di tutto il ciclo, impedendo interpretazioni riduttive di tipo moralistico o estetizzante o semplicemente allegorico. Si tratta di una grotta sapienziale, come le numerose grotte che compaiono nell’Orlando. Non a caso al grotta stessa è ricorrente e plurisecolare simbolo alchemico, segno della cottura della pietra filosofale.

Il silenzio della simbolica grotta viene accostato da Ariosto a San Benedetto, ad Elìa, a Pitagora e Archita, filosofo pitagorico, si tratta quindi del silenzio quale presenza della sapienza, e la grotta è la grotta della sapienza e dell’iniziazione, non certo di un insulso e superficiale “sonno”. Ricordiamo incidentalmente che Elìa è figura considerata dagli alchimisti uno dei padri della stessa arte regia, mentre troviamo altra preziosa conferma di questa interpretazione ermetico-sapienziale della grotta nel gesto antico e rituale dell’indice sulle labbra chiuse, segno antichissimo che ricorre ad esempio nell’iconografia di Arpocrate, di Mercurio, nell’Hipnoerotomachia Poliphili, nei Sonetti alchemici di Santinelli, gesto così riconoscibile e conosciuto nella cultura misterica del tempo, da esser inciso sullo stesso calamaio di Ludovico.

La grotta appare sotterranea, coperta da una nera selva e dall’edera e posta in Arabia fra due monti ombrosi, quasi a raccoglierne la simbolica resina. L’Arabia è patria della Fenice, simbolo dell’alchimia e del trionfo dell’Opera. La grotta quindi sembra alludere alla fase cinerea della Fenice, prossima ormai alla rinascita. Prova ne è che la scena dipinta non corrisponde del tutto alla scena narrata: mentre corrispondono le allegorie del pigrizia (cioè esotericamente la sapienza saturnina) dell’ozio (esotericamente Giacobbe o Elia dormiente) il Silenzio con il mantello e le scarpe di feltro non scaccia ma accoglie due pellegrini (uno con in testa il cappello degli studiosi) con il segno misterico suggellante il segreto dell’indice sulle labbra. Dopo la fase della sublimazione nella scala alchemica dei passaggi trasformativi si rinviene il momento della “fermentazione”.

La grotta con l’edera e il senso di nascondimento potrebbe visualizzare quest’ultimo travaglio ermetico. L’immagine infine dei due monti è frequente nei testi ermetici, se e trova un buon esempio nella “Collectanea chimica” di Christofer Lone Morley, dove al centro dell’immagine emblematica risplende il segno triangolare dello Zolfo e dell’Opera. I due monti sono lo zolfo e il mercurio la cui cottura stilla la rugiada/resina dell’Opera. Ricordiamo per ultimo che la grotta è forse l’immagine più frequente nelle opere di alchimia, basti pensare allo Splendor solis, figura V; Atalanta fugiens, emblema XXXIV , Philosophia reformata di Mylius, incisione di Matteaus Merian, alla tavola III e IV di Michelspacher, nell’Aureus Tractatus de philosophorum lapide.

Il mostro innalzato della diciottesima scena appare enigmatica ideazione ariostesca, ma la domanda che dobbiamo porci è la seguente: perché il committente di Palazzo Besta ha scelto un dettaglio dell’Orlando così criptico e secondario per dedicarci due scene del ciclo? E ancora: perché ha rielaborato l’immaginario ariostesca introducendo rilevanti elementi, misteriosi e innovativi, come la colonna, la folla massacrata e la stessa folla rinata e anche i dettagli dell’uccisione del mostro? Solo un codice esoterico può tentare di conferire senso alla configurazione. Il piedistallo della colonna che esalta il misterioso Lupo con le orecchie da asino rappresenta una corrispondenza quasi speculare con la nicchia della statua della prima scena.

Qui una forma romboidale mostra al suo centro un punto circolare identico a quello inscritto sul frontone sopra la prima statua. È il medesimo simbolo del fuoco alchemico, ora potenziato dal rombo il quale potrebbe criptare, simbolicamente quanto geometricamente, il doppio triangolo, verso l’alto quale segno di fuoco e verso il basso quale segno dell’acqua. Si tratta del celebre simbolo dell’”acqua fiammante”, componente anch’essa della monade ermetica e svolgente un ruolo essenziale della cottura filosofale. La nicchia della statua e la colonna del Lupo potrebbero criptare quindi l’alfa e l’omega del lavoro alchemico.

Se infatti nella scena iniziale il fuoco visualizzato dal frontone risultava superiormente distaccato dalla materia, in quella finale il fuoco appare incardinato all’interno della materia portandola e risolvendola nell’elevazione-sublimazione della stessa e nella sua conversione in luce e nuova vita. Ciò può trovare conferma nel simbolo stesso del Lupo che solo l’iconografia sapienziale può permettere di decrittare pienamente. Un indizio rivelatore risulta decisivo: il Lupo mostra due orecchie da asino. Nell’alchimia il segno del lupo rivela un senso preciso e costante: l’antimonio, metallo di sintesi utilizzato nella lavorazione dell’oro per purificarlo. L’antimonio veniva considerato una panacea metallica, e ancor oggi se ne studiano le peculiari proprietà come l’accrescersi in caso di combustione. Un materiale assai riflettente e utile per controllare la fiamma del crogiolo. Si utilizzava il nome del Lupo anche per la tradizionale etimologia del nome richiamante il concetto della luce.

Un Lupo innalzato con orecchie da asino può esprimere quindi un significato ermetico molto chiaro: l’opera alchemica è quasi compiuta in quanto la materia prima, l’asino, è quasi del tutto divorata, trasmutata dalla luce ardente raffigurata dal lupo. Basilio Valentino e Filostibio utilizzano il segno del alchemico lupo nelle loro opere sull’antimonio e un Lupo che arde e che divora il Re compare nell’ Atalanta fugiens alla tavola II e XXIV, nella Philosophia Reformata, e nell’opera ermetica di Goosen Van Vreeswyck “De Groene Leeuw” dove la lupa solare allatta il mercurio. Si allude alla risoluzione della materia ardente in pura luce. La folla venerante richiama l’armonia ristabilita degli elementi attorno all’esaltazione dell’essenza.

Il senso sapienziale sarebbe criptato quindi al di sotto di un senso morale opposto in cui la Lupa è una lupa dantesca e anticristica. Nel passo ariostesco (XXV, 31) il mostro, non solo ha testa di lupo e orecchie di asino ma anche corpo di volpe e di leone. Questa immagine ibrida non ha precedenti né in letteratura e nè in araldica o nell’arte o nei testi biblici. Ebbene non solo il simbolo del leone è presenza costante nell’iconografia alchemica, anche la volpe compare quale simbolo dello zolfo, ad esempio nell’opera “Le dodici chiavi della filosofia” di Basilio Valentino.

L’immagine quindi sembra alludere ad una fase decisiva di sintesi risolutiva della trasmutazione ermetica, una fase in cui la luce necessaria per controllare la fiamma della fusione dell’oro (lupo) unita al fuoco solare e sulfureo (leone) domina il mercurio fiammante (volpe) a cui si congiunge. Il Re e il Pontefice alla base della colonna alchemica, analoga alla scala e alla torre, rappresentano il segno delle nozze regali Zolfo/Mercurio che coronano l’Opera. La scena va connessa anche con le fasi alchemiche tradizionali dell’”esaltazione” e della “moltiplicazione”: i Re e Pontefici uccisi risultano appena dopo infatti come accresciuti e moltiplicati in una nuova rinata e armoniosa folla.

La colonna poi è rossa, dopo la teoria di statue, palazzi, e torri bianche che ha caratterizzato le precedenti sequenze. Il Re ucciso e poi rinato è un topos ermetico frequentissimo, basti pensare ad esempio all’Azoth di Basilio Valentino, lo studio simbolista di Johannes Fabricius (Alchimia e arte medioevale, Arkeios, pg. 101) Il lupo ucciso con lancia di ferro (Marte), compasso (Saturno o Giove), mazza (simbolo del cuore, cioè Venere) e la colonnetta bianca spezzata richiamano e potenze dell’Opera che concordemente concludono l’”opera al bianco”, l’albedo, riassorbendo la luce e la fiamma che ha concluso il suo compito.

Il feroce lupo della prima chiave della più famosa opera di Basilio Valentino è un marziale e saturnino lupo che deve simbolicamente divorare il corpo del Re, cioè purificare oro per giungere all’oro filosofico, per poi essere a sua volta ucciso. Per Filostibio e per lo stesso Basilio Valentino in un’ altra sua opera è il simbolo palese dell’antimonio, metallo di sintesi, estremamente riflettente, che ha la virtù di trattenere le fiamme e di essere usato nella metallurgia per fondere l’oro. Nella Philosophia reformata di Mylius (1622) un drago alchemico reca il viso di un lupo e sulla schiena un leone che inghiotte il becco di un aquila. “Philosophia reformata” lupo fiammante.

Antimonio di Fibostilo e nel Carro trionfale dell’Antimonio di Basilio Valentino il lupo si rivela quale segno dello stesso antimonio, composto chimico a sua volta simbolo e veicolo della purificazione ed estrazione dell’oro alchemico. La lupa compare anche nell’immagine dell’ultima putrefazione/sublimazione quale sorvegliante in alcune opere alchemiche citate nello studio di Johannes Fabricius l’Arte regia nel simbolismo medioevale (pg.169) Arkeios.

Anche il simbolo del vento, alluso dal motto “vento ducimur” corrispondente alla Lupa innalzata, ricorre frequentemente nell’iconografia ermetica: nel Tableaux du temple des muses di Michel de Marolles, nella Medicina Catholica di Rober Fludd, nella Collectanea chimica di Christofer Love Morley, nel’’ Atalanta fugiens all’emblema XXXII, nel Viridarium chymicum, nel Janitor Pansofus di Waite alla figura III. Il senso non è mai meramente decorativo ma appare connesso cosmogonicamente al fuoco alchemico, alla generazione, alla seminagione filosofale, alla nuova nascita che è il compimento dell’Opera.

Il vento che innalza il fuoco e permette la fusione fra zolfo, sale e mercurio, generativa della Pietra filosofale. (sull’uccisione rituale del mostro alchemico si ricordi anche l’iconografia della Philosophia reformata di Mylius, del Museum Hermeticum, e dell’ Atalanta fugiens emblema XXV. L’uomo sulla testuggine, glabro come Dioniso, è l’”Homo novus” alla Pico della Mirandola, non tanto un “mago buono” ma più precisamente la figura del perfetto sapiente e del vittorioso alchimista che domina sulla sapienza terrena, la tartaruga, e celeste, la sfera armillare, e con l’amore spirituale, il ficiniano cupido, domina pure sulle passioni disordinate e mortifere, rappresentate dalle due vecchie.

Più in dettaglio si evidenzia la perfetta coerenza della composizione: la tartaruga è simbolo di Saturno, per la sua lentezza allusiva alla sapienza, ma anche di Dioniso, come l’asino, così raffigurata da Dosso Dossi, amico di Ariosto, mentre la sfera armillare è raffigurata come attributo di Mercurio nello Splendor solis, ma pure è tradizionale attributo di Saturno. Il carattere mistico e sapienziale dell’uomo sulla testuggine è confermato da un passo dello stesso Orlando che descrive un uomo ebbro portato dalla tartaruga davanti alle mura di Alcina (VI, 63) e nel rinascimento ci fu tutto un revival dionisiaco in cui Dioniso compare quale figura Christi e quale simbolo di perenne sapienza misterica, revival a cui accenna preziosamente Franco Picchio nel suo studio sul Furioso, e al qual e non fu alieno lo stesso Ariosto. Il vino quale segno dello Spirito, dell’estasi mistica e dell’illuminazione spirituale è simbolo infatti fin troppo palese, dall’antico testamento al Gargantuà di Rabelais per dilungarsi.

Nel passo ariostesco l’uomo è descritto quale “capitano” di un misterico, silenico e proteiforme corteo di fauni, centauri, aquile, gru. In questo corteo si accenna anche alla presenza di un ermafrodito o androgino, altra chiara allusione alchemica. Le due vecchie potrebbero ricordare simbolicamente la vecchia Gabrina dell’Orlando, quale simmetria con la giovane Gabrina delle scene iniziali, come ad esprimere la trasmutazione del Saturno plumbeo nel Saturno aureo, in cui la materia non è più il rozzo e sensuale asino o la statua inerte, né la colonna esaltata sopra il cubo ardente, ma la tartaruga docile e circolare, novello sapiente ouroboros. Dopotutto come abbiamo già accennato la donna vecchia, ma anche i lavori pesanti, sono topoi saturnini, come si evince anche dal “Trionfo di Saturno” di P. Bruegel il vecchio, opera del 1574.

Il carro mistico e liberatore, che conclude il ciclo rappresenta come un apoteosi della sapienza, l’altro lato della scena dell’Uomo in trionfo. Il fuoco va verso il fuoco e viene assorbito dal Cielo. Nel viaggio verso la salvezza di Orlando cadono dal carro ori, serpi, vasi, monili, tutti i pesi terreni che Bruegel, come Durer, e come molti altri artisti, descrive sparsi con disprezzo ai piedi di Saturno, signore del tempo, che dissolve ogni cosa. Riproviamo a sintetizzare il percorso iniziatico schematizzandolo nuovamente:

  • Storia di Gabrina: purificazione della materia prima tramite il sale e l’acido –separazione del mercurio filosofico dal mercurio volgare e nutrimento del mercurio (Nigredo)
  • Storia di Ginevra: seconda purificazione della terra (morte di Polisseno dopo la morte di Filandro) separazione del mercurio e dello zolfo e prima cottura del mercurio filosofico
  • Storia di Angelica: liberazione del Mercurio e sua fissazione con lo zolfo (Albedo e distillazione)
  • Lo Sdegno: seconda cottura del mercurio e liberazione dello zolfo dal mercurio e dallo zolfo volgare
  • La città in fiamme: terza cottura del mercurio e suo amalgama con l’oro
  • Donna multicolore: trionfo del Mercurio perfezionato (prima sublimazione e Cauda pavonis)
  • Grotta: fase di fermentazione e coagulazione
  • Lupo: esaltazione dello Zolfo e purificazione dell’Oro (Rubedo e moltiplicazione) cioè l’ultima sublimazione e la fusione finale fra sale, mercurio e zolfo
  • Il Duplice Trionfo dell’Uomo Nuovo della Sapienza, che unisce Cielo a terra, anzi svela il perenne nuovo Cielo e la perenne nuova Terra (reintegrazione in unità e proiezione).

Se stessero fermi, desistessero dal pensare e dal sentire …….allora l’eterno udire, vedere e parlare sarebbe loro rivelato.” Jacob Boheme

Il committente di Palazzo Besta lavora l’Orlando quale materia simbolica da utilizzare per comunicare un proprio codice narrativo altamente simbolico. Concludendo il ciclo ariostesco di Palazzo Besta si rivela sempre più meritevole di approfondimento per i suoi aspetti esoterici.Un caso simile ai cicli pittorici di Palazzo Torfanini, residenza dei Boiardo a Scandiano, ma ancor più prezioso per la completezza dei dipinti e la loro maggior ricchezza, unità e coerenza simbolica.

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