Tempo fa mi imbattei in una persona che venne nel mio studio per problemi di pancia: andava troppo o troppo poco, alternanza di dolori al basso ventre, coliche, pizzicotti, indipendentemente che mangiasse un genere specifico di cibo, con o senza glutine, vegetariano o onnivoro.

Alcuni cibi sì, la rendevano più sollecitata e irritabile, ma nulla di patologico: tutti i controlli del caso erano stati eseguiti e come spesso succede apparentemente era tutto nella norma per i parametri. Arrivano spesso persone che sanno già come mangiare, magari necessitano di una lieve rivisitata al menù, e hanno disturbi di pancia.

“La pancia che parla”, da lì siamo cresciuti, ci siamo nutriti e da nati iniziamo quel processo continuo di trasformazione del cibo e delle emozioni. La pancia è il nostro “albero madre”, la radice della provenienza più antica, ci lega alla terra e ai nostri antenati: la pancia “sente” le nostre necessità e se in equilibrio sa disgiungere il “buono” dal “meno buono”, quello che fa a caso nostro o meno. Dalla pancia proviene lo stimolo della fame, il gorgoglio classico quando ci viene richiesto il cibo, e lo stesso gorgoglio lo sento quando ho la persona accanto a me, non più di fronte, ma accanto, quando inizia ad entrare in contatto con sé.

Quel giorno, questa persona iniziò a capire cosa le potesse mai servire queste irritabilità intestinale, perché ad ogni problema irrisolto segue una problematica simile fintanto che non la risolviamo. Ebbene, viveva questa dualità di restrizioni e imposizioni: non c’era un equilibrio tra il sentire e l’agire. Tanto cibo o troppo poco, mi piaccio o non mi accetto, voglio o non-voglio, vado o resto, sento o penso…un vortice che portava a disregolazione e disagio. Non si percepiva mai realizzata, non riusciva a sentire la gioia nel profondo: faceva in maniera meccanica ogni gesto giornaliero come se una parte di sé non fosse presente e questa non-presenza le donavo insoddisfazione.

La realizzazione personale taceva e questo le provocava la paura di essere, rabbia per non essere, vergogna di aver fatto o detto, disistima di sé per mancanza di realizzazione. Si presentava spesso un’alternanza di apertura e chiusura mentale, era indecisa se fare e non-fare, di dare o trattenere: mostrava veramente sé stessa? Si sentiva davvero accettata? Si stimava? Viveva un’incertezza solenne e radicale sul proprio valore, sulla propria identità: cosa voleva davvero questa persona?

Viveva questa dualità di forze uguali e contrarie: una espansiva e sanguigna e l’altra emotiva che si esprimeva nella paura che la natura più focosa prendesse il sopravvento. Desiderava la libertà d’essere sé stessa, di potersi esprimere senza paura di essere giudicata o additata e il senso di colpa di poterlo realmente realizzare, come se il suo istinto si contrapponesse alla ragione, il controllo al disordine. Non c’era equilibrio tra ordine e caos. Questa è una storia reale dove le veniva richiesto di esprimersi. E come poterlo fare con la mente che si mette sempre in mezzo? Ascoltando la pancia, il gorgoglio, la parte di istinto, la saggezza interiore che compare subito prima della razionalità. Le consigliai di crearsi fisicamente, con del materiale, scrivendo, dipingendo, un suo quadro o racconto dove poter delineare i dettagli dei propri progetti, senza condividerli con nessuno per ovviare alla paura del giudizio altrui. La paura del giudizio altrui viene a galla quando abbiamo bisogno di essere accettati e questo può minare la realizzazione dei nostri progetti con il rischio di rimanere imbrigliati nel non-fare e iniziare quel circolo vizioso appena descritto ed esplodere in eccessi rabbiosi. E la pancia poi parla con le coliche e pizzicotti, quella rabbia e ira inespressa dal colore ardente che attorciglia le budella e costringe a “stare”. “Stare” è una non attività che possiamo associare all’ascolto. L’identikit del colon irritabile è associato anche all’ascolto e stare nel “qui e ora”: non occorre andare troppo in là con la mente.

Di cosa hai bisogno ora? Cosa vuoi dalla tua vita? Ti senti pienamente realizzata/o? Cosa ti limita nell’agire? Quella persona attraverso sé stessa, le paure, i pregiudizi, le aspettative, la visione di un sé distorto e iniziò a sgonfiarsi e realizzare anche con un po' di follia le idee che aveva in testa. Dopo una serie di sessioni di riprogrammazione, lavoro su di sé con sé e una lunga sequenza di miscele di fiori Australiani come supporto che piacciono sempre molto, ora si gestisce. Mi viene a trovare ogni tanto per ritornare “in bolla” ed io, come sempre ne sono onorata.