Se la vostra fede è malferma o minacciata da quella spugna con cui usiamo cancellare le tradizioni e che chiamiamo progresso, è in Scozia che dovete andare. I panorami incantati dell’isola di Skye, la più grande dell’arcipelago delle Ebridi, sembrano volti antichi fatalmente sfuggiti al bisturi dell’uomo e all’usura del tempo.

Sulla riva di un loch dalle brumose e indecifrabili tinte lacustri, non lontano dal villaggio che reca il suo nome, si trova uno dei più antichi castelli di Scozia, il Castello di Dunvegan, roccaforte del clan dei MacLeod da circa ottocento anni.

Il castello, in buono stato di conservazione, reca al suo interno le stratificazioni degli interventi che dal nucleo principale risalente al Tredicesimo secolo gli hanno conferito la foggia attuale, rivelando la saggezza tipica di tutte le cose antiche che si allineano al presente senza però tradire il dono più importante che hanno ricevuto dal passato.

Così, gli amanti dell’araldica potranno apprezzare lo stemma dei MacLeod che al motto in lingua inglese Hold Fast (“Tieni duro”) unisce, come si conviene, un motto in lingua latina, Murus aheneus esto (“Sarai come un muro di bronzo”). Chi però pensasse un po’ superficialmente che il motto dello stemma sia il canonico invito all’uso della forza bruta tipica di uno stile di vita bellicoso e aristocratico dovrà ricredersi.

Entrando nella drawing room del castello, sulla parete tra le finestre a picco sul loch, si può ammirare quello che i MacLeod considerano il loro vero oggetto tutelare, ispiratore di “forza” e protezione: la cosiddetta Fairy flag, la bandiera delle fate.

L’Am bratach sith, questo il suo nome in gaelico, è un drappo di seta originariamente di colore giallo che le attuali tecniche di datazione fanno risalire ad un tempo compreso tra il IV e il VII secolo d. C. e che individuano nella Siria e nell’isola di Rodi le possibili aree di provenienza.

Se ciò può però essere valido alla luce degli attuali riscontri oggettivi, ciò che conferisce alla Fairy flag la sua straordinaria eccezionalità e il suo immutabile fascino sono invece le molteplici leggende nate attorno alle sue origini feriche, legate cioè al mondo inafferrabile delle fate e delle tradizioni millenarie attorno al loro conto.

Una versione della leggenda, con almeno due varianti e che non collima con la datazione del tessuto, chiama in causa il tempo delle crociate. Un cavaliere della famiglia dei MacLeod avrebbe ricevuto il drappo dalla misteriosa figura che lo teneva legato in vita, la Figlia del Tuono, spirito tutelare di un valico montano in Palestina. Al cavaliere che la uccide dopo essere stato messo in guardia da un eremita che gli dà una croce per difendersi, lei raccomanda di usare il prezioso tessuto come un vessillo per la gloria della sua futura stirpe.

Una versione semplificata della leggenda, che richiama il medesimo tempo storico, è quella che vuole che un crociato dei MacLeod abbia ricevuto dalle mani di una fata una scatola che nell’ultimo degli involucri incastonati mediante il sistema delle scatole cinesi occultava proprio la bandiera delle fate, offerta per essere issata nel momento del pericolo e capace di far accorrere un esercito incantato in soccorso ai MacLeod.

Secondo un’altra tradizione, a portare come cintura il drappo magico capace di proteggere tre volte dai colpi nemici chi lo avesse indossato sarebbe stata una strega intenta ad inseguire un prete. Quest’ultimo, munito anch’egli del sussidio magico di una spada, avrebbe infine trafitto la strega sfilandole la bandiera che avrebbe poi donato ai MacLeod.

Se queste versioni stringono il focus dell’affabulazione sul motivo dell’attributo magico di protezione capace di recare aiuto nel momento del pericolo, altre narrazioni insistono sul motivo della fertilità propiziata o inibita dal vessillo fatato. Così, quando un MacLeod, dopo aver vinto la fata Sitte che vuole impedirgli il guado di un fiume, riceve da lei la bandiera dentro un incastro di scatole cinesi, egli riceve anche un monito: non aprire l’involucro prima di un anno. Disattesa la raccomandazione dello spirito ferico, il territorio di Dunvegan proprio in quell’anno avrebbe visto arrestarsi la fertilità di tutte le piante e di tutti gli animali.

Queste leggende si accordano perfettamente con quanto riferisce lo stesso Walter Scott, il celebre scrittore scozzese che, in visita al castello di Dunvegan nel 1814, dice di aver appreso dei tre attributi magici della bandiera: la fertilità della coppia, quella del loch e la capacità di moltiplicare gli uomini in battaglia. C’è però un’altra versione dell’origine della bandiera che chiama in causa un terzo e ancor più misterioso elemento: la musica ferica.

Tra le molteplici versioni di questa leggenda c’è quella che vuole che Lady MacLeod, intenta al filatoio, abbia sentito ad un certo punto provenire dalla stanza in cui dormiva il suo bambino la voce di qualcuno che stava cantando. Precipitatasi nella stanza, si era trovata di fronte ad una piccola donna vestita di verde che teneva avvolto il bambino in un drappo mentre era intenta a cantargli una struggente ninna nanna: Ho-ro veel-a-vok, mie ossa e mia carne, Ho-ro veel-a-vok, mio sangue e mio midollo, pelle come la neve che cade, verde il tuo cappotto di maglia…

Spaventata dalla sovrannaturale presenza della piccola fata, Lady MacLeod aveva quindi invocato l’aiuto di Dio dicendo che era lei la madre del bambino e non la donna vestita di verde. Così la fata era scomparsa d’un tratto lasciando però il drappo con cui aveva cullato il bambino.

Da allora tutti i capi-clan dei MacLeod avrebbero ingaggiato per i loro piccoli solo balie in grado di cantare la fairy lullaby, la ninna nanna lasciata in dono dalla fata alla loro discendenza come talismano di protezione e promessa di aiuto in caso di pericolo.

Ancora oggi la leggenda vuole che il potere della Fairy flag possa essere usato in tutto tre volte e che essa attualmente sia accorsa in aiuto ai MacLeod già due volte. Anche quando però questa leggenda dovesse dimostrarsi veridica, il dono più importante che il drappo fatato ha lasciato agli uomini del clan sarebbe comunque un altro. Ciò che gli antichi chiamavano “fairy” o “fata” condivideva infatti la radice latina del verbo “fari”, un particolare modo di “dire”, un parlare che diventava azione, diventava destino, giungendo ad essere appunto il “fato”.

Nei secoli coloro che hanno voluto fregiarsi del titolo di valorosi, di destinati ad un diverso fato hanno messo insieme nelle loro storie sacerdoti e streghe, spiriti dei luoghi e cavalieri per la fede, nenie e profezie, uomini e fate. Gli esegeti di oggi parleranno probabilmente di interpolazioni, sviste e contraddizioni dei cantastorie di ieri. Ma solo chi è sostenuto dalla fede nell’Invisibile è in grado di comprendere che è una musica sconosciuta quella che anima il coraggio degli uomini e che riunisce in una sola tutte le cose che ai più sembrano separate.