Non tragga in inganno il titolo Gli Impressionisti e il Giappone del bel volume curato da Francesco Morena per Giunti Editore, poiché non solo di pittori della luce o di giapponismo si narra. Il suo studio è volto alle mille sfaccettature di una fascinazione per il mondo orientale che si perde in un indistinto passato ed ha risvolti, assolutamente, contemporanei.

Nella nostra intervista, l’autore ci illustra le motivazioni della sua opera (ricca di aneddoti e spunti inediti) ed i progetti futuri.

Il titolo del suo accurato volume, utilizza – giustamente – il termine “infatuazione”. Dove trova le proprie radici l’eterna fascinazione del giapponismo?

Il giapponismo è solo uno di tanti fenomeni di infatuazione per le culture 'altre' che hanno coinvolto l'Europa nel corso dei secoli. L'uomo ha un innato senso di curiosità per il diverso, le culture lontane e sconosciute, tanto è vero che gli 'esotismi' hanno da sempre affascinato non solo gli occidentali ma anche gli orientali.

Tuttavia, il giapponismo ha certamente qualcosa di speciale, se è riuscito nel tempo a conquistarsi uno spazio ben preciso nell'immaginario collettivo. D'altronde, la cultura nipponica – 'scoperta' solo verso la metà del Cinquecento – è quanto di più diverso gli europei potessero immaginare, sofisticata come poche nonostante sia riflesso di una civiltà spesso e per lunghi periodi rimasta isolata dal resto del mondo.

Come ha scelto di analizzare il punto di vista privilegiato degli Impressionisti al cospetto delle influenze del Sol Levante?

Intorno alla metà dell'Ottocento il mondo era nel pieno di un cambiamento epocale, in tutti gli ambiti, dalle scienze alla tecnologia, dai costumi sociali alle scoperte etno-antropologiche. Anche gli artisti avvertivano forte l'impulso di rinnovare i canoni di un'arte che non era più adeguata a descrivere quelle trasformazioni.

Proprio in quel frangente apparvero in Europa le stampe di giganti dell'arte giapponese come Hokusai, Utamaro e Hiroshige. La predilezione per la linea calligrafica, i colori vivaci stesi a campiture piatte, i soggetti 'esotici', l'eleganza e originalità delle composizioni, furono elementi che entusiasmarono gli artisti, gli artigiani e gli intellettuali occidentali. Una tale mole di stimoli inediti si insinuò prepotentemente nel nuovo linguaggio estetico e stilistico che allora si stava plasmando, soprattutto tra gli Impressionisti che con più convinzione si proponevano di scardinare le regole ormai stantie dell'accademia. Manet, Monet, Degas, Van Gogh, Gauguin, solo per citarne alcuni. In pochi, davvero pochi, rimasero immuni dalla dilagante giappo-mania.

Nel caso di Van Gogh, possiamo dire che identificò nel Giappone un ideale per rivedere tutta la propria arte, alla ricerca di nuove sfide cromatiche che gli consentissero un rapporto ancor più intimo con la natura?

Van Gogh è senza dubbio il campione del giapponismo. L'inizio della sua svolta artistica, collocabile intorno al 1885, con la quale schiarì la sua tavolozza, illuminò i colori e sperimentò inediti tagli compositivi, si situa contestualmente al suo primo approccio con le stampe giapponesi.

La sua infatuazione per il Giappone non è mai stata un mistero, ed egli stesso si è profuso in lodi per quella cultura nelle lettere che inviava al fratello Theo, ammettendo in più occasioni il suo debito formale e ideale con quell'arte. La sua ricerca di una luce perfetta fu stimolata senza dubbio dalle stampe nipponiche, così come il rapporto con la natura che traspare dalle sue opere. Un'intimità con l'ambiente circostante che richiama senz'altro certi traguardi dell'estetica nipponica, così attenta ad ogni pur microscopica manifestazione della Natura.

Come si differenziò il giapponismo italiano e quale impatto ebbe sul mondo dell’Opera?

Il giapponismo è un fenomeno trasversale. Non c'è paese del mondo in cui in una qualche maniera non abbia attecchito. E ha interessato non solo i pittori e gli scultori, ma anche gli artigiani, le manifatture, gli scrittori e i musicisti.

L'opera è senz'altro il contributo più importante che l'Italia ha dato all'evoluzione del giapponismo internazionale, sebbene segnali della diffusa presenza di influssi giapponesi si scorgano chiaramente in tutta l'arte italiana di quell'epoca. In particolare, la Madama Butterfly di Giacomo Puccini è un'icona imprescindibile di questa infatuazione, che va ben oltre l'ambito più ristretto della musica e dell'opera. Pur raccontando una storia non priva di inesattezze e per certi versi poco politically correct, come si direbbe ora, questo capolavoro rappresenta al meglio quello che significò per gli occidentali il Giappone tra Otto e Novecento.

Quali sfaccettature ebbe l’impatto orientale sull’arte statunitense?

Il giapponismo è esploso prepotentemente anche negli Stati Uniti, in pratica contemporaneamente a quanto accadeva in Europa sul finire dell'Ottocento. Tuttavia, l'arte giapponese ha avuto un impatto particolarmente significativo negli States in una fase successiva dello sviluppo globale di questo fenomeno, quando gli occidentali scoprirono che la cultura del Paese del Sol Levante è ben più variegata rispetto a quella trasmessa attraverso le stampe policrome nella prima fase del giapponismo.

Frank Lyoid Wright era un fanatico ammiratore del Giappone e la sua architettura organica molto deve alla sua profonda conoscenza dell'architettura tradizionale giapponese, in cui uomo e natura si fondono in una simbiosi che elide ogni distanza tra edificio e paesaggio circostante. Pure gli espressionisti astratti americani, e poi il Tachisme e l'Informale europei, con la loro insistenza sull'importanza del gesto pittorico e del segno significante, furono certo influenzati dalla filosofia e dall'arte Zen, così libera da convinzioni e schemi prefissati.

Pensa si possa ancora parlare di giapponismo in epoca contemporanea?

Certo, i giapponismi sono ancora un ambito importante della cultura globale. Basti vedere quello che accade nel corso dell'evento di Lucca Comics, durante il quale le vie della cittadina toscana vengono letteralmente invase da giovani e meno giovani cosplayers che sfoggiano costumi e travestimenti ispirati dal mondo giapponese dei manga e degli anime. Per non parlare, di altre abitudini di origine giapponese ormai entrate a far parte dei nostri costumi quotidiani, come il sushi, i bonsai e il tè verde. La Giappo-mania è ancora sulla cresta dell'onda, altroché!

Posso chiederle a quali progetti futuri sta lavorando?

Cineseria, Giapponismo, Turcheria, Indianeria, Americanismo e infine Europeria (gli esotismi che hanno animato le culture non-occidentali). Ho sempre amato il concetto di 'ponte' tra le varie civiltà, così come si è evoluto dai tempi più antichi alla più stretta contemporaneità.

Mi ha da sempre affascinato il potenziale che ha un oggetto, un'opera d'arte, proveniente da lontano, misteriosa, la sua capacità di stimolare curiosità e riflessioni in coloro che la osservano, toccano, studiano, cercando di contestualizzarne il significato e allo stresso tempo collocandola adeguatamente nel nuovo ambiente in cui è pervenuta.

Una visione più ampia del concetto di 'esotismi', per cercare di capire più a fondo le dinamiche di questa eterna infatuazione dell'essere umano per il diverso, per l'Altro. Vedremo...