Puntuali, alle 17,30 del 16 febbraio, scendiamo alla stazione ferroviaria di Luxor, dove una marea di ragazzini assatanati ci assale per proporci di alloggiare nell’hotel che ognuno di loro rappresenta. Ciascuno dice di avere l’unica camera libera della città, essendo tutti gli hotel al completo. Se però ognuno propone una camera, viene da sé che la città è piena di camere libere. Siamo stanchi e ci fidiamo del giovane Awad, un po’ agitato ma poliglotta, che ci porta al Negem El Din Pension non distante dalla stazione. Finiamo in una camera con cinque letti, tre già occupati da altri viaggiatori: due tedeschi ed una ragazza americana, i quali affermano che per Aswan ci sono tre treni al mattino ed uno alla sera ma non è possibile acquistare il biglietto in anticipo: “Gli sportelli aprono soltanto un’ora prima della partenza”. Si può andare anche in autobus o in taxi, cambiando mezzo di paese in paese, ma la soluzione migliore resta il treno.

Dopo le presentazioni torniamo in stazione per avere conferme sul proseguo del viaggio e sentirci infine liberi di familiarizzare con le strade di questa leggendaria città sorta sul sito dell’antica Tebe, la capitale dell’Egitto al tempo del Medio Regno, fase della storia egizia che si colloca tra il 2055 e il 1790 a.C. Centro millenario dunque, oggi città trafficata di oltre 300 mila abitanti.

E’ venerdì e, come dovunque nel mondo musulmano, dai microfoni dei minareti arriva cinque volte al giorno l’invito alla preghiera. Anche a Luxor la gente usa radunarsi sui marciapiedi, per strada nel traffico, sotto i portoni, alla stazione, perfino nella sala antistante il bagno, per piegarsi al suolo e pregare con il capo sempre rivolto verso la Mecca. Almeno una volta nella vita ogni musulmano dovrebbe recarsi alla Mecca e quando ritorna, dipinge immagini di quel viaggio mistico per raccontare ai concittadini la sua esperienza, oggetto di vanto e riconoscimento sociale. La religione in questo paese è profondamente sentita, rispettata ed ostentata.

In una piccola ed ordinata mensa ceniamo con riso, verdura cotta, omelette e pane. Cibo gradevole ma in quantità scarse. Rifocillati, continuiamo l’esplorazione di Luxor in un clima atmosferico finalmente molto piacevole. E’ nostra intenzione cambiare alloggio per cui andiamo subito ad esplorare quante più opzioni possibili. Esaminiamo i dettagli di tutti gli hotel più popolari che incontriamo per decidere dove trasferirci il giorno dopo: Hotel de la Gare, New Karnak, Radwan, Amoun, Majestic, Victoria e Horus. Il Radwan è il meno peggio ma costa il doppio degli altri. Per il nostro standard di valutazione il Majestic ”vince l’appalto”.
Notiamo con interesse come, in un paesaggio tanto arido, il Nilo sia stato e sia tuttora una fonte preziosa di sopravvivenza e allo stesso tempo, sostegno all’economia, agli scambi e oggi al turismo. In queste acque la gente si lava, fa bucato, deterge le stoviglie, nuota e beve, ma urinano e defecano anche. Nel Nilo, di conseguenza, c’è la bilerthia, malattia che consiste nella penetrazione di vermiciattoli attraverso le unghie dei piedi e si insidiano nell’intestino e nei reni. E’ gente che ha sviluppato robusti anticorpi, nonostante la sporcizia e le malattie ci appaiono molto più forti e sani di noi che veniamo dal mondo industrializzato. Sul treno abbiamo visto dei vecchi viaggiare dal Cairo a Luxor, e proseguire poi per Aswan, sempre in piedi o seduti al suolo tra sputacchi vari.

Ormai è tardi, le strade si svuotano e facciamo ritorno alla pensione per trascorrere questa nostra prima nottata a Luxor, memorabile: tutta notte saltiamo sul letto per i fischi dei treni fortissimi, che li fanno sembrare in camera.

Oggi, sabato 17 febbraio, di prima mattina ci trasferiamo al Majestic hotel, il più scassato degli alloggi di Luxor, indicato per soli arabi, dove regna un tanfo di piscio costante ed i bagni in comune, come i lavandini, sono semplicemente lerci ma in compenso le camere sono passabili. Dopo le spese iniziali nel mese trascorso al Cairo e lo sperpero al Casinò Hilton, adesso siamo precipitati a picco nella filosofia del risparmio, nella quale un dollaro non è più solo un dollaro ma bensì cento centesimi. Il vero viaggio comincia da quando entri nella dinamica del presente che ti circonda e comprendi che la sorte del cammino dipende anche dalla destrezza nel gestire il denaro. Per noi comincia ora. Infatti, al bar prendiamo un panino con polpette di fave fresche, falafel, e un bicchiere di canna da zucchero, paghiamo ma non arriva il resto. Come spesso accade, se ti manca un solo centesimo per avere una qualsiasi cosa non te la danno ma quando paghi non ti portano mai il resto, fanno gli indifferenti, obbligandoci ad intervenire per far quadrare i conti. Ormai è routine, con risvolti a volte comici e divertenti. Questa sfrontata mania del baksis è una lotta in perpetuo che caratterizza il quotidiano, la vita di tutti i giorni in terra egiziana.

Con una piacevole passeggiata lungo la via delle sfingi raggiungiamo il tempio di Karnak, distante appena due chilometri a nord di Luxor, considerato uno dei complessi templari più famosi e grandi esistenti al mondo. E’ composto da tre distinti recinti costruiti per venerare il dio Amon, la sua sposa Mut ed il dio Montu, quest’ultimo raffigurato con la testa di falco. Nell’arco di oltre un millennio ogni re o faraone ha apportato modifiche che descrivono un intreccio di antichi eventi per noi impossibili da decifrare. Ci limitiamo ad osservare beati tanta antica e superba magnificenza leggendo le nozioni base descritte negli opuscoli. Entriamo nel complesso dal passaggio tra le alte mura dell’ingresso monumentale dove appena dentro il cortile, sulla destra, troviamo il tempio di Ramses III. Passiamo poi alla sala Ipostila, a seguire c’è il recinto del tempio di Amon e tutti gli altri templi, abbelliti da un paio di laghetti sacri. Tutto è enorme e straordinario, compreso la statua gigante di Khepri, lo scarabeo sacro che rappresenta il Sole al suo sorgere, posto nell’area del lago di Amon. Ci sediamo un attimo al chiosco-bar dentro le mura per bere una spremuta di mango, circondati da smisurate colonne ricoperte da geroglifici di quattro mila anni che ci fanno sentire minuscoli e, per la suggestione del luogo e del tempo trascorso, per noi potrebbe anche essere tutta opera di marziani. Questo mastodontico complesso era il centro del culto religioso mentre il potere amministrativo e politico si concentrava a Tebe, l’attuale Luxor.

Alla fine della visita torniamo nella bolgia dei venditori ambulanti di souvenir che stazionano sia attorno al tempio di Luxor che a quello di Karnak, i quali usano chiamare i turisti con un molesto “haloooo” dal tono particolarmente fastidioso. Anche i bambini lo fanno identico. Insistono per venderti dei reperti che dicono essere antichi di millenni, ma la cosa più sgradevole è il loro atteggiamento puerile: al rifiuto di acquisto invece di scusarsi per la molestia si arrabbiano di brutta. Tuttavia, da uno di questi acquisto una testa egizia in sasso grande come il pugno della mano, scultura che il venditore sostiene “appartenere all’epoca dei faraoni perché trovata in una tomba”. La richiesta è di 50 dollari e alla fine di una doverosa contrattazione l’ha ceduta per dollari uno e, devo dire, che mi ha fregato ugualmente perché l’avrebbe ceduta anche per mezzo dollaro o anche solo cambiata con una penna biro. Tanto, ne sfornano a tonnellate al giorno. Entriamo per rilassarci al Nefertiti Hotel di Karnak, dove nella hall troviamo un gruppo di turisti italiani in viaggio premio, organizzato dalla ditta di Padova per i quali lavorano. Mentre conversiamo arriva raggiante uno del gruppo con in mano una testa uguale a quella che ho appena acquistato, spiegando soddisfatto che il venditore gli aveva chiesto 50 dollari e lui invece: “indovinate quanto l’ho pagata?”. Mentre tutti stanno ancora pensando a un prezzo, lui interviene euforico: “Soltanto 30!”.

Sulla via del ritorno veniamo catturati dalla bellezza delle case in argilla costruite per i colombi: le colombaie. In Egitto, Siria e Yemen è diffusa la passione per questi pennuti da utilizzare in importanti gare di velocità, come dal Cairo ad Aswan, con un discreto giro d’affari, e anche nelle cucine poiché per gli egiziani la carne di piccione è considerata afrodisiaca.

Arrivati in città entriamo anche nell’altrettanto imponente tempio di Luxor, affacciato sulla riva orientale del Nilo. E’ uno dei monumenti più antichi e meglio conservati di tutto l’Egitto che dona al visitatore un’immagine immediata del mirabile passato egiziano. Anch’esso affascinante e straordinario, tuttavia ad osservare colonne, statue e bassorilievi per ore, senza però essere esperti, l’ubriacatura faraonica finisce per allentare il nostro interesse e usciamo dal tempio senza completare la visita. Necessitiamo di una pausa.

Si cena con riso e verdure cotte, olive e kofta roz, polpette di manzo condite con cipolla e pepe. Passeggiando in prima serata sulla parte alta dell’argine, ci fermiamo ad osservare in basso una chiatta ancorata a riva, sulla quale si svolge un teatrino pieno di luci colorate, con musica di flauti, tabla e danza del ventre. Un ragazzo egiziano che con noi sta osservando divertito, tiene a precisare che non sposerebbe mai una ballerina: “Sono buone solo per farci sesso .. fosse anche vergine, se mi presento in famiglia con una così i miei genitori mi cacciano di casa”. La presenza di donne seminude che ballano stimola la conversazione sulla sessualità: “Agli arabi piacciono le donne con il sedere grosso e caviglie belle, guardiamo sempre come sono le caviglie”. Racconta di essere stato in Danimarca: “Il più bel posto al mondo per scopare, tutte puttane!”. Sembra impazzire dall’eccitazione quando gli diciamo che in Svezia esistono bambole gonfiabili: “Come faccio per averne una?”.

Incontriamo parecchi italiani che viaggiano con gruppi organizzati, come Mario che lamenta di avere visto tutto ma sempre di corsa: “La guida ci ha detto dove e cosa fotografare, ci ha fatto battere le mani alla danza egizia e poi tutto finito, una truffa!”. Lo definisce “mongolismo di gruppo”. Per l’escursione alla valle dei re e delle regine, che si trovano nella parte occidentale del fiume, ci consigliano di andare alla mattina alle 7: “E’ tutto deserto e il sole comincia a picchiare sulla testa molto presto”.

Domenica 18 febbraio, notte insonne a causa della moltitudine di zanzare, non riusciamo a svegliarci presto per andare a prendere il ferry che conduce sulla sponda opposta del Nilo. Colazione con omelette, pane, burro, marmellata e tè. Il clima è perfetto e spendiamo le ore a girovagare per le via di Luxor in relax, con frequenti soste per dissetarci nei numerosi locali che servono spremute d’arancio e di canna da zucchero. Passiamo dalla lavanderia e ci fermiamo dagli armaioli, incuriositi dalle armi definite di difesa, perfette imitazioni dei revolver delle marche più famose, compresa la pistola Berretta italiana corredata da capsule a salve che fanno un gran frastuono. In teoria, spiegano: “Servono per mettere i ladri o comunque i malintenzionati in fuga”. Il negoziante si offre di acquistare dollari al mercato nero precisando che, come abbiamo già constatato, a Luxon il cambio è meno favorevole che al Cairo.

In pieno centro, dalla parte del Nilo, incontriamo il maestoso edificio coloniale del Winter Palace, un hotel a 5 stelle con una grande scalinata capace di trasmettere la gloria e i fasti del secolo scorso. Entriamo a curiosare ed è impossibile non apprezzare gli stupendi lampadari di vetro soffiato e tutti gli arredi rigorosamente d’epoca. Sul retro, un grande parco con piscina ed una sala giochi, dove approfittiamo per giocare a ping pong. Essendo noi bianchi ci muoviamo nelle sale dell’hotel liberamente, nessuno osa chiederci se siamo o no clienti. Infatti, prima di uscire facciamo un doveroso giro nei bagni a fare scorta di carta igienica.

Incontriamo altri italiani delusi, appena scesi da un giro a vuoto in calesse ed arrabbiati per aver pagato una cifra sproporzionata. Non hanno trattato il prezzo prima e per questo sono stati castigati. Tutta esperienza. Sono simpatici e accettiamo con piacere l’invito di aggregarci al loro gruppo per cenare assieme e gratuitamente nel loro hotel. A fine cena, sulla via del ritorno ci stupiscono due prostitute giovanissime che ci chiamano dondolando le loro borse di plastica color oro. Siamo in un mondo musulmano ma queste due si comportano come fossero in Occidente. Già al Cairo, per loro non sarebbe possibile comportarsi in quel modo. Esistono anche queste differenze che si apprendono solo restando a lungo in un luogo.

Lunedì 19 febbraio, finalmente riusciamo a svegliarci all’alba e puntuali saliamo sul battello delle 7 che attraversa il fiume. Per il passaggio, gli arabi pagano 3 piastre, incluso la bicicletta, mentre da noi ne vogliono 10 e non sentono ragioni. In pochi minuti si attracca al villaggio di Gazeret El Boairat, dove i noleggiatori di asini (donky) e di biciclette attendono i turisti. Per il lungo giro delle valli sulla groppa di un asino chiedono 75 piastre a testa ma bisogna pagare altre 75 piastre per l’asino della guida, obbligatorio poiché sostengono che senza guida l’asino può scappare. Più altri 3 Pound per la guida stessa. Con la bicicletta, invece, è certamente più faticoso ma anche più economico: 75 piastre al giorno. Inoltre, in bici siamo più liberi di muoverci, fermarci o cambiare percorso a piacere. Sono normali biciclette da città. In entrambi i casi è comunque molto importante indossare un cappello per evitare che il sole ci “cuoccia il cervello”. Ogni tomba e sito archeologico ha un ticket a parte, tranne i Colossi di Memnone che sono sulla via e quindi visibili senza spesa. Le due colossali statue fanno impressione per le dimensioni, rappresentano il faraone Amenhotep III e sono state erette oltre 3400 anni fa: una strabiliante visione prima dell’inizio della salita. Arriviamo alla valle dei re dopo otto sudatissimi chilometri, cinque dei quali in salita. Il sito racchiude più di venti tombe di faraoni, compresa quella di Tutankhamon e di undici Ramses. Per 500 anni, dal 1552 al 1069 a.C., questa valle fu scelta quale sede delle sepolture dei sovrani e noi, pedalando giulivi, ne visitiamo buona parte fino ad ottenerne un effetto di stordimento mentale ed emotivo, anche a causa della nostra ignoranza in materia.

Anche se grondanti di sudore, giunti al bivio, non possiamo rinunciare a salire nell’altra valle, quella delle regine, dove sono state sepolte le madri, le consorti e i figli dei faraoni. Una necropoli con più di 70 tombe. Pedaliamo a denti stretti sotto un sole cocente, ripagati al ritorno da una discesa chilometrica davvero godibile. visitiamo ogni angolo e alla fine del giro, in totale, percorriamo una ventina di chilometri. In questo periodo non ci sono ancora molti turisti indipendenti e le strade che si snodano nelle valli sono pressoché vuote. Vediamo due turisti che stanno salendo in ciuco da soli, senza la guida che sembrava d’obbligo. Giornata per noi magica, straordinaria e divertente, unico neo i soliti venditori di souvenir troppo aggressivi, invadenti e maldestri. Dei gran rompi palle!

Nessuno escluso, dai bambini ai vecchi tutti ci avvicinano solo per chiedere il baksis. Sia che siamo a sedere o che camminiamo per i fatti nostri i venditori fanno la fila per chiedere: “What do you want? Where are you going? What are you looking for? Anche a dire che non ci interessa comprare a loro non importa minimamente, come automi insistono all’infinito con le stesse identiche tre frasi, fastidiosi come le mosche e appiccicosi come il miele: non c’è modo di rilassarsi. Toccano e tirano le braccia e le camice dei forestieri, molesti ma non pericolosi. Sono molto sporchi, il sudiciume non lo vivono come un problema, appoggiano il pane fresco del fornaio per terra tra gli scarafaggi. Fa parte integrante del loro modo di vivere, come l’odore acre del sudore che emanano e col quale sembrano convivere serenamente.