Il paradigma biomedico-positivista e deterministico (certezza, prevedibilità, controllo da parte di una scienza esatta e dalle promesse illimitate) domina l’immaginario e le aspettative delle persone. I concetti medici sono di solito percepiti a un livello estremamente semplificato di codifica: una terapia, un trattamento, uno stile di vita sono considerati secondo una logica tutto o nulla, o efficaci o inutili. Le persone ragionano in termini di nessi causali lineari e rigidi, modulati dall’esperienza quotidiana, espedienti cognitivi che permettono di giungere in maniera pragmatica alla soluzione del problema col maggior risparmio di tempo e di energie.

In medicina, soprattutto nelle cure primarie, l’abilità a tollerare l’incertezza è invece essenziale. Il dubbio accompagna sempre il medico nel suo agire quotidiano, anche se spesso la sua importanza è sottorappresentata e le conseguenze se non ignorate almeno sottovalutate.

Le storie delle persone (pazienti, familiari, medici), biografiche oltre che biologiche, evidenziano i limiti della scienza e le difficoltà dei medici nell’affrontare/ammettere il “non certo”. Questo è inoltre inevitabilmente connesso con l’errore, per cui parlarne è sempre doloroso e ogni medico trova difficile ammettere di aver sbagliato. I media inoltre bombardano le persone con una enorme offerta informativa, che tende a sovrastare quella dei curanti ma che, pur essendo assai criticabile, è ugualmente pertinente dal suo punto di vista. I progressi della medicina sono descritti in modo trionfale e i risultati negativi come frutto degli errori dei medici.

La stessa diagnosi di malattia è spesso dubbia, raggiunta con difficoltà, talvolta impossibile, anche dopo ricoveri e numerosi accertamenti diagnostici, mentre per il paziente è ritenuta frutto di un percorso logico che deve consentire sempre una risposta, anche in termini di trattamento. In realtà le malattie sono create per convenienza operativa, non esistono come tali in natura. Si tratta di costruzioni mentali, artificiali, modificabili. Le stesse soglie di normalità e di intervento di parametri come glicemia, colesterolo e pressione arteriosa sono cambiate, arbitrariamente e discutibilmente, nel corso degli anni, con relative incertezze nella pratica quotidiana.

Le principali strategie usate per la diagnosi, in particolare quelle riconducibili alle categorie dello psicologo Daniel Kahneman, sono i pensieri lenti, che esaminano tutte le possibilità e conseguenze di una scelta, particolarmente utili nei casi complessi o gravati da maggiore incertezza, e i pensieri veloci, le cosiddette euristiche, che consentono decisioni in tempi rapidi ma sono più soggette a errore.

La pandemia da SARS-CoV-2 ha agito da catalizzatore delle incertezze e delle difficoltà della medicina, risultate evidenti anche agli occhi dei cittadini, rimasti disorientati di fronte ai dubbi e alle diverse indicazioni non solo dei politici ma anche degli stessi scienziati che cercavano di fornire risposte anche in mancanza di dati certi. Sono numerosi gli esempi di trattamenti e raccomandazioni che via via hanno fornito speranze ma che poi si sono dimostrati inefficaci.

I fenomeni biologici sono intrinsecamente correlati all’incertezza, intrinsecamente variabili da persona a persona, mentre la scienza medica ha storicamente avuto un approccio prevalentemente di popolazione, privilegiando, soprattutto in ambito farmacologico, la risposta del “paziente medio” rispetto al caso particolare. I risultati sono stati complessivamente di grande valore, anche se ogni giorno milioni di persone assumono farmaci che hanno, nel loro caso, scarsa o nessuna efficacia, mentre sono esposti al rischio di eventi avversi. Gli stessi studi clinici controllati, massima espressione attuale della ricerca, cercano di controllare/inquadrare l’incertezza clinica utilizzando metodi quantitativi, statistici. Nonostante ciò, in realtà, l’incertezza persiste, ineliminabile.

Un tempo valeva la regola “Medicus non accedat nisi vocatur “ (il medico non varchi la soglia se non è chiamato): il paziente, in base alla sintomatologia avvertita, decideva di recarsi dal medico. Oggi è il medico che stabilisce chi deve curarsi, in un passaggio sempre più sfumato dalla clinica alla preclinica, dalla cura del malato alla cura del sano. Qualcuno si è chiesto se il sano non è in fondo soltanto “uno che non ha fatto abbastanza esami”. Numerose incertezze si associano a check-up e screening oncologici, in particolare il rischio di sovra diagnosi, definita come attribuzione a una persona di un’etichetta di malattia o di anomalia che non avrebbe recato alcun danno a quella persona anche se non fosse stata scoperta, creazione di nuove diagnosi attraverso la medicalizzazione di esperienze di vita ordinaria o espansione di diagnosi esistenti attraverso l’abbassamento delle soglie o dei criteri di malattia, senza evidenza di un miglioramento degli esiti. La medicina digitale potrebbe migliorare le performance diagnostiche e terapeutiche e in generale l’accuratezza decisionale. In realtà l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale presenta attualmente numerose limitazioni che ne pregiudicano, almeno in parte, l’impiego nella pratica quotidiana.

Il medico non ha la sfera di cristallo. Come affermava ironicamente Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica «È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». L’errore più comune è quello di essere troppo ottimisti e di sbagliare la prognosi per eccesso. Alla fatidica domanda “Dottore…cosa succederà ?” il medico deve rispondere con sincerità, dicendo che purtroppo è molto difficile fare previsioni che possono rivelarsi sbagliate.

E’dunque essenziale una condivisione positiva dell’incertezza, variabile inevitabile, che non va negletta o combattuta attraverso la cosiddetta medicina difensiva, ma accettata e affrontata, come occasione di confronto con il paziente, reso partecipe dei molti “non so”, per arrivare ad una condivisione delle scelte. E’indispensabile dunque la negoziazione, caratteristica principe della metodologia clinica della Medicina Generale, frutto della relazione tra un medico con le sue conoscenze scientifiche, ma anche i dubbi e le incertezze, e un paziente in teoria esperto di se stesso, dei suoi disturbi, delle sue preferenze, desideri, aspettative, purtroppo attualmente anch’egli orientato alla conferma diagnostica strumentale, in quanto espropriato delle proprie percezioni. La conoscenza di sé sta infatti diventando vera solo in quanto scientifica. Gli accertamenti, anziché strumento di conoscenza, sono divenuti oggetti di conoscenza “in sé”, rischiando di perdere il loro significato originale, sia per il paziente che per il medico.

Per approfondimenti

Collecchia G., De Gobbi R.,Fassina R., Ressa G., Rossi R.: La diagnosi Ritrovata. Le basi del ragionamento clinico. Il Pensiero Scientifico Edit. Roma 2021.
Rossi R.L.: Zona d’ombra. Dubbi ed incertezze in medicina. Il Pensiero Scientifico Edit. Roma 2022 Zona d’ombra – Il Pensiero Scientifico Editore.