Da quando hanno preso piede i social network, è invalso l'uso del termine 'bolla', per indicare quella rete di connessioni dirette ed indirette, caratterizzata da una sostanziale condivisione dei punti di vista. A ben vedere, però, siamo tutti immersi in una enorme bolla sociale, che è precisamente quella del mondo cosiddetto occidentale. La quasi totalità delle nostre interazioni si svolgono all'interno di questa bolla, ed ogni contatto con ciò che è fuori è vissuto come un'esperienza esotica.

Il limite maggiore di questa condizione, è che praticamente ci ha rinchiusi in un universo spazio-temporale diverso da quello del resto del mondo. Per molti versi, e certamente senza che ce ne rendiamo conto, è come se vivessimo nel passato - un paradosso, visto che invece è proprio al nostro mondo che associamo l'idea di una proiezione nel futuro.

Uno dei piani in cui si manifesta questo sfalsamento spazio-temporale, si vede nel modo in cui ci relazioniamo al resto del mondo. Tanto per cominciare, è come se avessi un planisfero mentale in cui le proporzioni sono cento volte più deformate che nella proiezione di Mercatore. Pensiamo a noi, e pensiamo di essere “il” mondo. Quando, ovviamente, non ne siamo che una piccola parte. Sia geograficamente, che come popolazione - anzi, sotto quest'ultimo profilo, contiamo sempre meno. L'unico metro in cui (ancora un po’) prevaliamo, è quello economico, ma questo dovrebbe rammentarci soltanto come siamo - in termini globali - la causa primaria delle diseguaglianze che affliggono il mondo.

Un altro dei problemi derivanti dal vivere in questa mega-bolla, è proiettare il nostro modo di pensare su tutti gli altri. Per esempio, poiché noi europei stiamo nell'orbita politica degli USA, e ciò comporta che le nostre società siano totalmente omologate a quel modello, diamo per scontato che sia così ovunque. Aiutati in questo dal suddetto sfasamento temporale - che ci porta a pensare alla Russia come se fosse l'URSS, ed alla Cina come se fosse in corso la rivoluzione culturale ed a Pechino ci fosse Mao Ze Dong - pensiamo che uscire dall'orbita americana significhi dover adottare il modello socio-politico russo o cinese (per lo più puramente immaginato). E questo è un enorme gap culturale, che non solo ci incatena pregiudizialmente al carro statunitense, ma letteralmente ci impedisce di concepire un mondo multipolare, in cui ciascuno è quel che è, senza che ciò comporti una qualche forma di ostilità.

Se pensiamo, ad esempio, ai BRICS, la libera associazione di stati (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che lavorano insieme per sviluppare un nuovo sistema di interscambio ed interrelazione internazionale, possiamo agevolmente capire in che direzione si sta muovendo il mondo, e come questa apra squarci di possibilità senza necessità di omologazione. Paesi assai diversi, sia per sistema politico che per orientamento politico contingente, collaborano attivamente nel pieno rispetto reciproco. Un modello che, come s’è visto in questi giorni, con la richiesta di adesione da parte dell’Argentina e dell’Iran, che sembra attrarre sempre più, rappresentandosi come una via cooperativa, che non pone condizioni altre che il soddisfacimento di interessi reciproci - diversamente dal modello ‘occidentocentrico’ della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che numerosi Paesi del mondo (non ultima la Grecia) ben conoscono per la ‘violenza’ delle condizioni poste agli aiuti.

Possiamo approcciarci al futuro prossimo con un’ottica conflittuale, nella duplice convinzione che la crescita politico-economica di altri Paesi rappresenti di per sé una minaccia per i nostri interessi, e che solo il mantenimento del dominio occidentale sia la chiave per difenderli, oppure scegliere una via non conflittuale, che accetta la multipolarità del mondo a venire. Multipolarità che è innanzitutto multiculturalità, molteplicità di punti di vista. Se dismettiamo la pretesa occidentale di rappresentare il miglior mondo possibile per tutti, e quindi di voler omologare tutti a questo modello, volenti o nolenti (la malefica ‘esportazione della democrazia’...), scopriremo che il dialogo è e resta il miglior modo di collocarsi nel mondo contemporaneo, senza autoisolarci in una turris eburnea di arroganza e presunzione, circondati da un fossato colmo di astio e diffidenza.

Se c’è una lezione da imparare dalla guerra appena tornata in Europa, è che ogni mossa dettata dall’arroganza di essere i migliori, ineluttabilmente ci si ritorce contro. Si tratta quindi di scegliere, se affrontare i problemi comuni del pianeta, e quelli di ciascun Paese, in un’ottica collaborativa, oppure se porre i problemi del nostro pezzo di mondo sopra tutto e tutti, ed affrontare un futuro di conflitti, di ostilità e di povertà generalizzati.