Tra le attività che sistematicamente l’uomo ha messo in campo contro l’equilibrio dell’ambiente ed incurante ai limiti del crimine del danno irreparabile che si compie contro il nostro pianeta, vi è sicuramente la caccia indiscriminata o la caccia tout court, alle balene, giganteschi e miti abitanti dei mari sempre più in difficoltà e a rischio di esistenza.

In un telefilm di qualche anno fa basato sulla fantascienza un equipaggio stellare in missione su un lontanissimo mondo in disfacimento, captò un segnale ripetuto e continuo come di allarme. Dopo dubbi, riflessioni e tentativi i tecnici a bordo dell’astronave decrittarono il messaggio come una richiesta di aiuto di alcune balene stranamente presenti nei mari ormai condannati di quel pianeta. Sempre sul filo della fantascienza si comprese che questi cetacei erano stati trasportati lassù fra le stelle per abitare quei mari lontani e che nella loro intelligenza e comprensione dei fatti avevano percepito la fine della vita sul pianeta nel quale si trovavano. Questa richiesta di aiuto nella mente degli astronauti si univa al grido di allarme per la vita acquatica della nostra Terra tra qualche centinaio di anni. Di qui la consapevolezza di dover salvare questi grandi esseri e riportarli nelle nostre acque terrestri per tentare la salvezza sia loro che dei nostri grandi oceani semidisabitati.

Un esercizio certamente audace di fantascienza ma dai contorni tutt’altro che lontani dalla nostra condizione umana e animale su questa nostra Terra. Lasciando alla fantasia e al cinema la possibilità di stupirci e farci pensare cosa si potrebbe fare in un mondo futuribile e tornando con i piedi per terra, quello che va sottolineato con grande forza e determinazione è che lo sfruttamento dei mari, come delle terre ai limiti della loro resistenza o resilienza come si dice oggi, ha già fatto scattare l’allarme e che il segnale di pericolo ripetuto e continuo è presente tra noi e costituisce una sorta di richiamo per l’umanità a ritornare in equilibrio e in rispetto della Terra che ci ospita. Non si tratta di fare manifestazioni o issare cartelli di protesta contro questo o quel fenomeno, ma di capire che le strategie e le azioni dei governi tutti e dell’Onu devono tendere a ritrovare un ritmo umano compatibile con la presenza di altri esseri animali o vegetali pena la distruzione totale della vita sulla superficie terrestre: un universo distopico e straniante come quello di Blade Runner è molto più vicino di quanto si pensi, in termini di decine di centinaia e di migliaia di anni.

Una premessa necessaria per parlare di uno dei pericoli che insieme alla caccia indiscriminata stanno ponendo a rischio le balene nei mari del mondo. Per calibrare la nostra attenzione parliamo di quel che accade ogni giorno nel nostro Mediterraneo, crocevia critico sia politico che economico per un buon quadrante terrestre, peraltro non divisibile dal resto!

Nel Mediterraneo occidentale, ad esempio, si registra un traffico di 220.000 navi all'anno, con velocità di crociera compresa tra i 14 e i 20 nodi per le navi mercantili o addirittura fino a 35 nodi per le imbarcazioni ad alta velocità. Questo traffico senza sosta oltre a provocare perturbazioni fisiche, ottiche e acustiche nei mari, è all’origine di continue e distruttive collisioni delle navi con i grandi cetacei che ancora vivono in questo mare. Secondo uno studio, calcolando una riduzione generale di appena il 10% della velocità delle navi, si potrebbe ottenere una riduzione del 50% del rischio di tali collisioni.

È questo l’allarme e la richiesta che viene avanzata dall’Organizzazione internazionale per la protezione dell'ambiente marino OceanCare (svizzera, senza scopo di lucro fondata nel 1989 e fortemente impegnata in iniziative di cooperazione. Opera a livello nazionale e internazionale nei settori dell'inquinamento marino, dei cambiamenti ambientali, della pesca, della caccia alle balene, delle foche, della cattività dei mammiferi marini e dell'educazione pubblica) e dall'International Fund for Animal Welfare (IFAW) (no-profit globale che da 40 anni mira ad aiutare gli animali e le persone a convivere in armonia), raccolta anche dal Cnr, e l’esortazione ai governi di Francia, Italia, Monaco e Spagna a presentare all'organismo internazionale responsabile della navigazione, l'International Maritime Organization (IMO) una proposta per ridurre in modo obbligatorio la velocita delle navi.

Secondo le due organizzazioni e basandosi sui loro dati raccolti nel tempo, per le balenottere e i capodogli nel Mediterraneo nord-occidentale le collisioni con le navi, note come "ship strikes", sono la principale causa di morte. A differenza di altre aree, in cui i corridoi di navigazione per evitare gli habitat dei cetacei risultano efficaci, nell’area indicata gli habitat non hanno spazi definiti. Per evitare gli urti letali - questa l’indicazione - rimane quindi solo un'opzione: il rallentamento obbligatorio della velocità di crociera delle imbarcazioni, in modo da rendere più semplice sia alle imbarcazioni sia ai grandi cetacei una convivenza.

A porre il problema nella sua urgenza ed interezza, proprio nel settore occidentale del bacino ma più in generale per tutto lo specchio d’acqua marino, il fatto che le acque da Genova a Valencia, compreso il Santuario delle balene Pelagos, i pendii e i canyon, la piattaforma del Golfo del Leone - definita come Area Importante per i Mammiferi Marini (IMMA) dai ricercatori - e il corridoio di migrazione delle balene tra la terraferma spagnola e le Isole Baleari, dichiarato Area Marina Protetta, rappresentano un habitat critico per le balenottere e i capodogli. Entrambe le sottopopolazioni del Mar Mediterraneo sono classificate come in pericolo dalla lista rossa dell'IUCN, e la popolazione di balenottere è stata recentemente valutata con solo circa 1800 animali adulti rimasti, la metà della stima che i ricercatori avevano identificato fino a due decadi di fa.

Per OceanCare e IFAW il timore espresso è che l'enorme quantità di movimenti di navi nella regione, 220.000 all'anno appunto e le velocità di crociera comprese tra i 14 e i 20 nodi per le navi mercantili o addirittura fino a 35 nodi per le imbarcazioni ad alta velocità, contribuiranno in modo significativo alla continua diminuzione del numero di balene in particolare di queste due specie, fino alla loro totale scomparsa dalla regione. Di fronte all’allarme i governi di Francia, Italia, Monaco e Spagna si sono impegnati a collaborare per presentare all'IMO una proposta per dichiarare la regione un'Area Marina Particolarmente Sensibile (PSSA), consentendo di adottare misure per regolamentare il trasporto marittimo in modo da ridurre il rischio di urti letali delle imbarcazioni. La proposta è di prossima presentazione all'IMO e verrà sottoposta a discussione e decisione a dicembre di quest’anno, in occasione della riunione del Comitato per la Protezione dell'Ambiente Marino (MEPC).

"Tutti sanno cosa bisogna fare. Si tratta di rallentare la velocità delle imbarcazioni per salvare le vite di questi straordinari mammiferi marini. È un bene per le balene, è un bene per noi”, questo quanto affermato da Carlos Bravo, ricercatore per OceanCare. Le ricerche dimostrano in modo diretto che rallentare la velocità di circa 10 nodi può ridurre significativamente il rischio di una collisione letale con una balena.

Sin qui l’analisi del problema e i tentativi di avviare una stagione virtuosa. Ma come sempre vi sono molti ma e molti ni. Nelle aree del mondo in cui sono state applicate misure di riduzione della velocità su base volontaria, queste molto raramente sono state rispettate come dovevano e dunque i risultati sono stati molto lontani dalle attese. Conclusione drastica e poco ottimista: non funzionano. Ed è per questo motivo che OceanCare e IFAW “ritengono che sia estremamente importante rendere tali misure obbligatorie, per garantire che siano applicate a tutte le imbarcazioni”.

Particolare di non poca importanza, in un quadro di impegno globale per l’ambiente non a parole e dichiarazioni ma nei fatti di ogni giorno, il fatto che la riduzione della velocità farebbe risparmiare carburante all'industria navale e ridurrebbe altri inquinanti, come la CO e il rumore subacqueo, con conseguenti benefici multi-ambientali. Non è superfluo poi ricordare che i grandi cetacei contribuiscono in percentuale elevata con il loro metabolismo all’assorbimento proprio della CO e che quindi risultano un valido aiuto a combattere l’effetto serra e gli altri meccanismi dannosi per l’atmosfera.

"Francia, Italia, Monaco e Spagna hanno fatto un primo passo nella direzione giusta accettando di lavorare insieme e di creare una PSSA, fondamentale in queste acque", ha sottolineato Sharon Livermore, direttore della Conservazione marina dell'IFAW. "Ora devono cogliere l'opportunità che hanno davanti garantendo che le misure messe in atto proteggano realmente queste balene dal rischio di collisioni ".

Come sempre occorre partire, vicino casa, per così dire, prima di allargare i propri orizzonti. La premessa a queste riflessioni ha infatti centrato l’attenzione su altri e cruciali problemi che riguardano l’atteggiamento di non pochi Paesi soprattutto nell’emisfero pacifico, dove si agisce non da custodi coscienti e saggi delle ricchezze dell’ambiente a nostra disposizione, ma come dei folli assatanati senza ritegno, convinti irrazionalmente da beoti che le risorse siano infinite e che comunque per noi ci sono, poi chi verrà vedrà. Ovvero la premessa per la fine della vita sulla Terra come la conosciamo e come invece si vorrebbe che rimanesse a disposizione delle generazioni che verranno rinforzata e garantita da buone pratiche poste in atto certo giorno per giorno, ma con un’ottica alta, prospettica e non con la farisaica tendenza a creare finti luoghi protetti per i poveri esseri di questa Terra che subiscono l’assalto scriteriato di quello che pomposamente definiamo Homo sapiens sapiens, dove la ripetizione invece di essere conferma della saggezza acquisita, rischia di manifestarsi invece come negazione ed elisione!