La donna è sempre stata celebrata come l'eroina più ritratta e rappresentata dagli artisti, mentre il mondo femminile è stato, per lo più, emarginato dal sistema dell'arte, fatta eccezione per alcune pittrici che ebbero la fortuna di appartenere a famiglie in cui già esisteva un artista più o meno affermato, ma che conosceva il “mestiere” e che seppe trasmetterglielo dal momento che alle donne erano inibite le accademie e lo studio della figura. Alcune si imposero poi con la loro indiscussa bravura, ma solo con l'Impressionismo Berthe Morisot e Mary Cassat poterono farsi apprezzare, entrambe ebbero l'appoggio di un gruppo di artisti coeso che lottava per il proprio riconoscimento e che le incluse e le accettò per amicizia e per aver riconosciuto in esse comunanza di idee, tecniche, espressioni poetiche e non solo, ma anche per il contributo economico che queste agiate artiste fornirono loro, all'inizio in ristrettezze economiche.

Ai primi del ‘900 le artiste poterono finalmente iscriversi nelle accademie ufficiali insieme ai loro compagni, così come potevano partecipare alle lezioni di figura, partecipare ai concorsi, vincere premi e accedere a borse di studio, fino ad allora riservate ai soli uomini.

Ma quanto dovettero lottare per arrivare a tanto!

Fu ad Amsterdam che si tenne la prima esposizione riservata alle artiste: successivamente poterono esporre anche a Parigi in mostre dedicate a loro in modo esclusivo nel 1908 e nel 1913: in realtà l'uguaglianza tra i due sessi era ben lontana!

Non è estranea a questi primi successi la spinta innovatrice degli “ismi” di quel periodo, così ricco di fermenti. Infatti, tra le Avanguardie dei primi del ‘900 vi erano artiste come Sonia Delaunay e Natalia Goncharova, che avevano studiato nelle accademie russe, in un periodo di particolare apertura, perfezionandosi poi a Parigi.

Tra i dadaisti ebbe risonanza Hanna Hoch e negli anni ‘20 Georgia O'Keeffe riuscì ad imporre i suoi dipinti floreali, che dapprima i colleghi avevano disprezzato.

Anche il Surrealismo ebbe le sue artiste, tra cui Meret Oppenheim. Frida Kahlo fu invitata da Breton a esporre insieme al loro gruppo e lei lo fece a malincuore perchè non si sentì mai veramente tale.

Negli anni ‘50, nell'ambito dell'Espressionismo Astratto, Lee Krasner si impose a fatica e con l'appoggio di contatti personali favorevoli. Agnes Martin fu una precorritrice della Minimal Art, ma il suo valore fu riconosciuto solo negli anni ‘70.

Negli anni ‘60, finalmente, le donne riuscirono a partecipare a tutte le correnti più importanti come la Pop Art, la Conceptual Art, la Op Art, la Land Art, la Minimal Art e soprattutto poterono esser parte attiva dei primi happening e delle performance che andavano moltiplicandosi.

La loro partecipazione fu importante come quella maschile anche per l'impulso dato dal femminismo nei confronti della liberazione della donna e dei tanti tabù connessi, tra cui quello dell'arte.

A quel tempo spesso le artiste organizzavano le loro mostre, gestivano gallerie e tenevano conferenze d'arte.

Cercavano anche di introdursi nelle “stanze dei bottoni”, dominate dagli uomini (cosa, peraltro, che persiste ancora oggi...) cercando di occuparsi di politica. Ma molte nuove artiste si andavano affermando come Louise Bourgeois.

Nelle performance cominciarono a rivendicare il controllo del proprio corpo, in contrapposizione col cliché del tempo che voleva, e vuole ancora, la donna come oggetto di culto estetico, si misero in gioco in prima persona attraverso azioni che stupivano e a volte scandalizzavano i “benpensanti”.

Erano azioni per lo più violente in cui subivano ferite fisiche o si esponevano a violenze psicologiche: tra di esse si possono ricordare Yoko Ono, Marina Abramovic, Gina Pane e Orlan, che ha dichiarato di aver donato il proprio corpo all'arte.

Vi è stato un intenso fiorire di performance in cui la donna è stata audace e coraggiosa come l'uomo e in alcuni casi lo è stata anche di più!

Negli anni ‘80 le artiste si accorsero però di essere in realtà deluse, rendendosi conto che i loro sforzi per ottenere l'eguaglianza non erano stati coronati dal successo che si erano aspettate negli anni ‘60: era evidente che le differenze di genere sopravvivevano e si andavano in certi casi accentuando, mentre non esisteva una reale emancipazione, sia nell'arte, che in altri ambiti della vita.

A fronte di queste delusioni le nuove generazioni, avvalendosi con maggiore sicurezza delle ormai acquisite conquiste del femminismo, hanno adottato una esplorazione più giocosa nei confronti della loro identità e del vissuto sessuale come Laurie Anderson, Cindy Sherman e Barbara Kruger.

Finalmente tra gli anni ‘80 e la fine del secolo scorso, le artiste del nostro tempo hanno conquistato le più importanti istituzioni nel campo dell'arte: così il museo Guggenheim di New York ha allestito mostre personali a Jenny Holzer e a Rebecca Horn, mentre in Inghilterra Rachel Whiteread è stata la prima donna ad essere insignita del prestigioso Turner Prize della Tate Gallery di Londra nel 1993.

Anche il livello commerciale di molte artiste è lievitato e diverse hanno visto salire il valore delle loro opere molto in alto. Alcune artiste hanno ottenuto importanti riconoscimenti nel campo della fotografia e dei mezzi digitali ormai irrinunciabili. Altre si sono affermate attraverso la Video Art e Internet.

Nell'ultimo periodo si sono viste, da parte delle nuove generazioni, combinazioni di astrazioni e narrazioni che propongono qualcosa di nuovo. Ma si sa che è compito dell'arte rinnovarsi. È chiaro che, nonostante i successi ottenuti, le artiste continuano a battersi per difendere le posizioni conquistate per ottenere un riconoscimento, in cui la differenza di genere non fosse più un handicap o una concessione elargita, ma la piena valutazione della individualità personale in un campo in cui per secoli aveva dominato il maschio.

Sono stata attratta in modo particolare dal vissuto e dalla poetica di alcune di loro, soprattutto per gli atteggiamenti estremi a cui sono ricorse per farsi riconoscere, come Marina Abramovic, artista serba, nata nel 1946 a Belgrado, suo nonno era un patriarca della Chiesa Ortodossa, suo padre un eroe nazionale e la mamma direttrice del Museo d'Arte, originaria del Montenegro.

Il corpo è sempre stato il suo principale strumento di espressione, protagonista indiscusso delle sue performance in cui, fin dall'inizio negli anni '70 ha sperimentato e sfidato i limiti della resistenza psico-fisica con azioni reiterate fino allo sfinimento.

Ha sottoposto il proprio corpo e la mente a prove fisiche e psichiche estreme, sfiorando più volte la morte. La sua sfida contro se stessa l'ha portata ad indagare i limiti della resistenza umana fino all'esaurimento totale con conseguente svenimento, causando un disagio tra il pubblico spesso intollerabile.

Lei stessa, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha dichiarato che la performance era il mezzo più adatto ad esprimere la sua personalità, perchè è una forma d'arte diretta che le ha permesso di esplorare ciò che fa paura, il dolore e la morte e di presentare queste emozioni al pubblico come davanti ad uno specchio. In questo modo ha ritenuto che l'arte elevasse lo spirito. Per lei fare arte non è stato facile, troppe opere d'arte sono, secondo lei, inutili, senza intensità e quindi non ha rimpianti per la sofferenza a cui si è sottoposta. Beninteso per lei non è l'arte che cambierà il mondo, ma può dare la possibilità di vedere le cose in modo diverso e far riflettere.

Si ritiene un artista “guerriero”, il cui credo è che l'arte deve essere una deviazione dalla normalità, un rischio mentale, perchè solo confrontandosi con l'imprevisto e con la paura ci si può evolvere.

Marina Abramovic ha basato la sua intera attività di artista sul coagularsi, tra tradizione e saggezza, appartenute a culture arcaiche, con la società contemporanea, riuscendo a trasformare la propria esperienza personale in un concetto individuale: ritiene che un artista possa essere un compagno che segue l'uomo nel pericoloso viaggio verso la scoperta dell'io interiore. La sua arte, quindi, non è soltanto rivolta alla percezione visiva, ma è indirizzata anche agli altri sensi per aprire nuovi canali di comunicazione: l'osservatore a questo punto ha un ruolo attivante poiché la nostra società ha bisogno di superare i suoi limiti del corpo come della mente.

Il lavoro dell'Abramovic è ricco di significati perchè propone un concetto diverso per il superamento di tali limiti e ci fa intravvedere la possibilità di apertura verso canali alternativi per raggiungere una consapevolezza individuale che migliori la coscienza.

Per comprendere meglio l'artista è necessario fare qualche passo indietro nello svolgersi dell'arte del secolo scorso, seguendo il percorso tracciato da Duchamp e da Cage, artisti che hanno sperimentato nuovi modi di espressione, focalizzando l'interesse per il corpo, il movimento e lo spazio, demistificando l'atto artistico, rendendo l'arte alla portata di tutti e coinvolgendo sempre più lo spettatore.

È chiaro che queste nuove tendenze hanno anche messo in discussione il valore materiale dell'oggetto d'arte che si è smaterializzato in direzioni molto diverse tra di loro, tra cui la Body Art, verso la quale si è spostata l'Abramovic, quasi inconsciamente dopo le prime performance che coinvolgevano esclusivamente il suono.

Attraverso questo nuovo modo di comunicare l'artista ha trovato la possibilità di stabilire un contatto con il pubblico mediante uno scambio di energia che assimilava rimandandola indietro e creando un vero e proprio campo magnetico. Soltanto attraverso questa energia è riuscita a superare i suoi limiti fisici e psichici. Ma la sua non è stata una improvvisazione, bensì un lungo lavoro di preparazione a contatto con culture diverse che molto hanno da dire al riguardo, avendo una lunga tradizione di tecniche di meditazione, che portano il corpo ad uno stato di confine, di limite, che rende capaci di un salto mentale per raggiunger dimensioni diverse dell'esistenza ed eliminare la paura ed il dolore o le limitazioni del corpo.

E così è vissuta in Tibet come tra gli aborigeni dell'Australia, acquisendo capacità estranee alla nostra cultura.

All'inizio di questa nuova esperienza l'elemento del pericolo, il confronto con il dolore e l'esaurimento delle forze fisiche sono stati fondamentali per la sua espressione: la sua prima esperienza performativa è stata Rhythm 10, un gioco russo in cui l'artista utilizzava venti coltelli e due registratori, conficcando velocemente il coltello tra un dito e l'altro. Ogni volta che si tagliava sostituiva il coltello e registrava l'operazione sul primo registratore. Dopo essersi tagliata venti volte, riavvolgeva il nastro, riascoltava i suoni e li ripeteva tagliandosi venti volte esattamente negli stessi punti, cercando di fondere presente e passato, compreso l'errore. La performance si chiudeva con l'immagine dei coltelli, delle macchie di sangue e del registratore che riproduceva un duplice suono: quello della prima e della seconda parte del gioco.

In Rhythm 5 si è tagliata i capelli e le unghie e le ha gettate dentro al fuoco, ma non avendo calcolato il rischio è svenuta per la mancanza di ossigeno, mentre i piedi cominciavano a bruciare. È stata salvata dall'intervento del pubblico.

In Rhythm 2 ha preso medicinali che le hanno causato crisi epilettiche e catatoniche.

A Napoli, in Rhythm 0 si è messa a disposizione del pubblico che poteva fare di lei quello che voleva: è stata una esperienza traumatica in cui ha compreso che se si lascia decidere al pubblico si rischia di essere uccisi.

Interessante lo scambio di ruoli con una prostituta di Amsterdam in Role Exchange per provare come ci si sente ad essere nel ruolo di chi appartiene al livello più basso della società: lo scopo della performance era di vedere che tipo di violenza mentale siamo costretti a subire quando ci troviamo in una situazione che non conosciamo e cercare di sondare tutte le possibilità offerte dall'uso del corpo.

Imponderabilia, giustamente famoso, è stato eseguito all'entrata di un museo di Bologna insieme al compagno Ulay, entrambi erano nudi e il pubblico per entrare, essendo ristretto il passaggio, si doveva appoggiare a un corpo o all'altro. L'azione è poi stata interrotta dalla polizia.

La performance Breatthing aut Breathing è stata ancora realizzata con la collaborazione di Ulay: tamponandosi il naso si inalavano l'uno il respiro dell'altra, fino a perdere i sensi.

Il lavoro più pericoloso che i due hanno realizzato insieme è senz'altro Rest Energy, in cui Ulay puntava al petto dell'Abramovic un arco con la freccia in direzione del cuore.

Erano intanto arrivati gli anni ‘80 e le performance avevano meno visibilità, per cui i due partirono per i deserti per fare una esperienza “dura” venendo anche a contatto con gli sciamani: al ritorno questo viaggio è stato il pretesto di varie performance che avevano come soggetto l'esperienza a contatto con la natura che era durato a lungo.

Frattanto il rapporto tra i due, dopo dodici anni di collaborazione e di amore, si era logorato; per sancirne la fine decisero di incontrarsi per dirsi addio sulla Grande Muraglia Cinese: percorsero entrambi in modo opposto 2500 chilometri.

Dopo questa esperienza l'Abramovic entrò in una profonda crisi: a quarant'anni, si trovava sola anche dal punto di vista professionale, perchè tutti i lavori di quegli anni erano stati firmati e realizzati insieme.

L’unica via di uscita ancora una volta fu la performance. Marina decise di mettere in scena la sua vita, come se fosse un'opera teatrale, in Biography, in cui presentava una sintesi della sua vita con le sue performance e il definitivo addio ad Ulay.

Quindi è stata la volta dei minerali raccolti in Brasile: l'artista realizzava sculture con le quali il pubblico interagiva.

È stata poi la volta di Cleaning the Mirror in cui c'era la presenza di uno scheletro trasformato in animato attraverso il suo respiro o ripulito con un lavoro ripetitivo sulle ossa.

Ha quindi utilizzato serpenti, è stata in un macello in Portogallo in cui gli animali venivano uccisi, realizzando performance.

Uno dei lavori preferiti dall'artista e realizzato in quegli anni è The Onion in cui addenta una grossa cipolla lamentandosi della sua vita.

È passata quindi al ciclo Balkan Baroque che è un'opera sulla contraddizione del suo Paese d'origine, che rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente, dove i personaggi possono essere estremamente dolci come crudeli. Proprio la performance Balkan Baroque le ha permesso nel 1997 di vincere il Leone d'Oro alla Biennale di Venezia: per quattro giorni ha continuato a lavare montagne di ossa putrescenti come un rito di espiazione per la violenza della guerra in Bosnia.

Nel 2006 a Milano presso l'Hangar Bicocca ha presentato una mostra spettacolare, Balkan Epic con sei lavori video proiettati in quindici mega schermi, in cui presenta la sua riflessione dal valore universale e quindi “epica” sulla guerra, l'orgoglio nazionale, la giustizia, la sacralità dell'energia sessuale, in cui ripercorrendo le sue origini slave rievoca il massacro etnico. Nell'ultimo video uomini e donne mostrano i genitali, strumenti per propiziarsi la benevolenza della madre Terra.

L'artista ha quindi preparato una retrospettiva per il MOMA nel 2010, The Artist Is Present. È stato un progetto in cui ha voluto scoprire il significato della sua vita, il confine tra coraggio e follia.

Nel 2010 ha creato e realizzato una fondazione a suo nome: duemila metri quadri a Hudson, a due ore da Manhattan, progetto dell'architetto Dennis Wedlick, con due auditorium, una libreria con archivi video e un caffè. “È il luogo dove voglio che venga dimenticato il tempo, dove si assiste solo a performance che dureranno ore”, ha dichiarato.

Una delle sue ultime performance l'ha rappresentata a Milano nel 2019 nella Pinacoteca Ambrosiana: l'artista ha voluto rendere omaggio a S. Teresa d'Avila.

Ha dichiarato:

Penso che l'arte debba disturbare. L'arte deve realmente mostrare la nuova strada di come la società dovrebbe pensare. Il corpo dell'artista può essere una metafora e può simbolizzare molte cose diverse.

E ancora:

Nelle nostre vite facciamo sempre cose che ci piacciono o non ci piacciono o odiamo fare cose che facciamo sempre. Ma noi stessi non vogliamo mai uscire dai nostri modelli.

Tra le cose interessanti incontrate in questa ricerca sono stata colpita da questa sua affermazione:

Più la vostra infanzia è stata dura, più chance avete di diventare grandi artisti perchè la maggior parte degli artisti trae ispirazione e materiale su cui lavorare dal proprio vissuto.

Negli ultimi anni ha trovato serenità nel rapporto con l'artista Paolo Canevari, che ha sposato nel 2010 e col quale vive tra un loft di Soho e una splendida casa a Hudson a forma di stella.

Ha dichiarato:

Una delle paure più grandi è quella di morire e spingiamo questi pensieri di morte lontano da noi. Ma alla fine dobbiamo accettare che la morte è una parte della vita quotidiana: solo spingendosi oltre i propri confini ci si può liberare dalla morte.

Al riguardo ha previsto e già programmato in tutti i particolari, l'ultima performance Grand Mother of Performance: quella del suo funerale.

E Marina Abramovic ha superato questi confini sottoponendo il proprio corpo a prove così estreme da aver più volte sfiorato la morte: ha scritto la storia della Performance Art con pagine di inaudita crudeltà, con estremo coraggio e temerarietà. Ha donato tutto all'arte, ne è stata schiava e regina!