Un bacio – ma cos’è poi un bacio?
Un apostrofo rosa fra le parole t’amo.

(Cyrano de Bergerac)

Potente e vivificante il rosso si accende e si “plasma” nelle vene. Mediato da un chiaro pallore lunare si stempera in una trasfigurata essenza spirituale. Nuovo, ed autonomo, il rosso non è più rosso: rappresenta un neosentimento radioso che emerge, affrancandosi dalla sua matrice cromatica, per definirsi in totale autonomia caratteriale e nominale come “Rosa”.

Esso compone l'insieme delle radiazioni che in fisica definiscono lo “spettro visibile” che determina quel segmento cromatico percepito dall'uomo, che va dal rosso al viola, e che dà origine al fenomeno della luce.

Il rosa risale a più di un miliardo e cento milioni di anni fa: è il colore biologico più antico del mondo. Lo ha scoperto una giovane ricercatrice dell'Australian National University, Nur Gueneli, che, nel 2017, ha estratto il pigmento da un gruppo di rocce trovate da una compagnia petrolifera dieci anni prima, in Mauritania, nel bacino di Taoudeni, a Sud del Sahara, e poi donate all'ateneo.

Antichi fossili molecolari della clorofilla, dal colore rosa brillante, prodotti da organismi fotosintetici, ormai scomparsi, che un tempo popolavano un antico oceano che sovrastava quell'area.

Il rosa serviva ai cianobatteri, organismi unicellulari dediti alla fotosintesi, ad attirare la luce e attraverso questa loro funzione sono risultati fondamentali per l'evoluzione umana.

Gli studiosi ci hanno dimostrato come queste creature abbiano letteralmente cambiato la terra: prima della loro comparsa l’ossigeno era molto più basso nell'atmosfera, ed era un veleno per la maggior parte dei microrganismi

I cianobatteri hanno “imparato” ad alimentarsi di luce e anidride carbonica e a rilasciare ossigeno. Più quest’ultimo gas si è diffuso, più ha fatto scomparire le forme di vita per cui era velenoso, lasciando spazio a quelle che se ne cibavano, e quindi anche all’uomo. Dunque il rosa rintracciato, dal team australiano, aveva questa funzione attrattiva della luce per favorire la fontosintesi ed il sorgere delle forme di vita animale.

Da studi approfonditi sappiamo che i primi colori ad essere utilizzati dall'uomo erano legati alle terre naturali e dunque facevano parte della gamma dei marroni.

Ci sono voluti milioni di anni perchè gli esseri umani iniziassero a produrre i così detti colori “artificiali”. Il più antico è il blu egizio, ricavato probabilmente dalla lavorazione del vetro e, a seguire, la biacca ottenuta dalle lastre di piombo esposte ai vapori d’aceto.

Il rosa arriva come conseguenza della scoperta del rosso. Quest'ultimo rintracciato nella storia già nell’800 a.C. Prodotto dai cinesi che lo ricavavano dal cinabro, un composto del mercurio, ha dato vita, attraverso la sua diluizione, al rosa.

Per la maggior parte della storia è stato un colore il cui significato di costume ed applicativo più in generale ha vissuto una sua neutralità: solo a partire dagli anni '50 è diventato simbolo (poi contestato) del femminile.

Dal '400 in avanti sappiamo, che nel Vecchio Continente, il rosa veniva creato attraverso il pigmento del legno rosso, che giungeva dall'Asia, portato dai mercanti veneziani attivi sulla rotta di Marco Polo.

L'accezione di genere attribuita al rosa ha una sua storia legata al virile e alla forza che appartiene alla fisicità maschile.

Già nel Medioevo il rosa era maschile e indossato dai ragazzi con fiero portamento per il potere evocativo che derivava dall'appartenenza alla forza del rosso che ne era la matrice.

Tra il Tredicesimo ed Quattordicesimo secolo, il rosa rappresenta il pigmento del corpo del Cristo e di questo si ha traccia nelle rappresentazioni del bambino Gesù, vestito di rosa nelle opere pittoriche di Cimabue e Duccio di Boninsegna, mentre per contro l'azzurro, che per noi oggi ha valore maschile, era legato al manto della Vergine Maria e dunque alla femminilità.

Il potere del rosa si associa alla forza del guerriero per gran parte della storia rappresentativa dell'uomo. A tale proposito re Enrico IV di Francia, detto Enrico il Grande, primo sovrano della casa di Borbone ad assurgere al potere sul trono dei cugini d'oltralpe, fu ritratto, nel 1605, dal pittore Jacob Bunel, sotto le spoglie di Marte, dio della guerra, con indosso una tunica rosa brillante.

Nell'epoca Rococò il rosa raggiunge il suo massimo utilizzo, così come, più in generale, i colori pastello. Dalla corte francese, a tutte le corti europee, questi toni cromatici si declinano nella moda e nell'arredamento.

La favorita di Re Luigi XV, la Marchesa di Pompadour, meglio nota come Madame de Pompadour, regina del Rococò, di origini borghesi, amava abbinare il rosa con l'azzurro. Per farsi notare dal sovrano, gli si era manifestata, nella foresta di Sénart, dove avvenivano le battute di caccia, su di un calesse azzurro, in abito rosa, o viceversa, sino a riuscire nel suo intento il 28 febbraio del 1745, durante un ballo in maschera all'Hotel de Ville, attraverso un suo fazzoletto abbandonato..., ma questa è un'altra storia.

In suo onore era stato creato un punto specifico di rosa dalle porcellane di Sèvres: il “Rose Pompadour” inventato nel 1757.

La Marchesa divenne una grande sostenitrice della porcellana la cui produzione venne trasferita a Sèvres, per volontà sua e del sovrano, e di fatto entra a far parte, come già a suo tempo avvenuto per la produzione di arazzi Gobelins, delle manifattura della corona.

Il chimico Jean Hellot fu l'inventore della tavolozza cromatica di Sèvres tra cui il celebre Rose Pompadour; Hellot aveva una profonda conoscenza dei materiali utilizzati nella ricetta per la porcellana a pasta morbida di Sèvres, nonché del fondente (la prima glassa di primer applicata), ed è stata questa conoscenza che lo ha portato alla scoperta di ben cinque colori tra cui il celebre rosa.

È il 12 febbraio del 1947 ed il rosa porcellana è citato nella descrizione accompagnatoria dell'invito della prima collezione di Haute Couture, Primavera-Estate, della nascente maison di moda parigina: Christian Dior. In quella descrizione sono citate la “Silhouette Corolle” e la “Silhouette 8”, ispirata ai fiori e al ritorno allo stile dei Luigi di Francia. Con tali accenni si anticipa, quello che sarà definito “It's such a New Look!” dalla redattrice capo di Harper's Bazaar, Carmel Snow, e che sancirà l'avvento di Christian Dior nella storia della moda.

Dalle corolle rosate di Dior alle corolle di una rosa pigmentata di rosa il passaggio è breve e ci viene suggerito da colui che fu il suo delfino: Yves Saint Laurent. Il couturier di origini algerine al “Rosa” dedica un punto particolare di sfumatura e lo intitola all'amata capitale francese: “Rose Paris”. Ad esso viene associata una rosa che ne porta il medesimo tono cromatico e nome. Essa possiede una leggera profumazione e si schiude raggiungendo un diametro massimo di 11 cm, attraverso una scenografica corolla di 35 petali, color rosa azalea.

Il “Rose Paris” è comparso per la prima volta sulla passerella della collezione Haute Couture, Autunno-Inverno, 1983-1984, in concomitanza con il lancio del profumo “Paris”, omaggio di Saint Laurent alla Ville Lumière, ed appare, per il giorno, su un cappotto dal taglio classico e, per la sera, su un abito drappeggiato di taffetà di seta, su velluto nero, così come sul grande fiocco di satin, che si chiude sulla schiena, dell'abito a fourreau di velours noir.

Ma il più celebre rosa della moda fa la sua apparizione molti anni prima sulla boccetta di un profumo di Elsa Schiaparelli, lanciato nell'autunno del 1937, e, nel 1938, sulla mantella “Phoebus”, sempre firmata Schiaparelli che poneva al centro del dorso una maschera dai lunghissimi raggi di sole ricamati a filo d’oro, di stampo surrealista, ideata da quel Christian Berard che tanto amava il rosa nei suoi dipinti, e che più tardi collaborerà anche con Dior nell'illustrare le sue collezioni, nell'allestire i suoi spazi (celebre la tela Jouy per le pareti delle boutique) e nell'ispirarlo verso il suo mondo fatato.

Questo capolavoro della collezione invernale “Cosmic”, del 1938-1939, conservato al Palais Galliera di Parigi, apparteneva all'ereditiera franco-americana Mrs. Daisy Fellowes, famosa per indossare le creazioni Schiaparelli più stravaganti, compreso il cappello-scarpa di Salvador Dalí. Rigorosa sul davanti e rigogliosa sul dietro regalava sorpresa e soppraffazione, per la potenza cromatica complessiva e la brillante grafica posta sul dietro.

Mrs. Fellowes era amante dei gioielli di Cartier, e possedeva uno splendido diamante rosa da 17,27 carati chiamato “Tête de Belier” (testa di ariete) che, leggenda vuole, abbia ispirato il Rosa di Schiaparelli e che essa stessa descrive così all'atto della sua visione:

Il colore apparse di fronte a me, in un lampo. Acceso, impossibile, impudente, pieno di vita, affascinante, come se tutte le luci e gli uccelli e i pesci del mondo si fondessero insieme, un colore che parlava di Cina e Perù, lontano dall'Occidente. Un colore scioccante, puro e concentrato.

(Autobiografia, Shocking Life, E.S. 1954)

Da questa memoria e dalle frequentazioni con Christian Berard nasce il rosa più scioccante di sempre. Ossessivo e ridondante, acceso del fuoco eterno della passione che si imprime nel packaging e nel sentore del profumo che porta il nome di questo sentimento, di questa emozione decisamente: “Shocking”.

Dalle forme del corpo di Mae West, e del suo calco in gesso, Schiaparelli ingaggia la scultrice Leonor Fini per dare origine al modellato olfattivo che è divenuto il tema biografico di una creatività legata al sogno di una femminilità oltre ogni limite.

In una delle sue più celebri collaborazioni con Dalì, avvenuta nello stesso anno del lancio del profumo, e del colore, da origine al “cappello scarpa”, dal tacco fallico, in velluto rosa lucente, che rovescia la percezione d'uso delle cose e proietta in un oltre immaginativo coadiuvato dal rosa stesso.

La prima comunicazione di un abito Schiaparelli rosa shocking, uscita su Vogue, nel '37, fu realizzata dall'illustratore Eric e raffigurava una linea fasciante, sinuosa, quanto lasciva allo sguardo di un seno che, specialmente per gli americani, era ancora un tabù, coperto da un lembo di tessuto da un lato e dall'altro come scostato, libero abbandonato ad una spalla nuda, in un bustier nelle cui coppe vi erano dei palloncini gonfiabili per aumentare il seno, in memoria di quello della bomba sexy Mae West, modella del profumo ad alto contenuto erotico/scandalistico... in una parola: “Shocking”.

Più tardi, Schiaparelli scolpirà, nel suo celebre Pantone 17-2127, meglio noto come “Shocking Pink”, anche le forme sinuose di Zsa Zsa Gabor, per il film Moulin Rouge, in un indimenticabile tubino rosa, con un grande fiore in tessuto che decora la spalla.

Tra gli anni Trenta e Quaranta le cose iniziarono a cambiare e gli uomini cominciarono a vestire con colori sempre più scuri, associati al mondo degli affari e del lavoro, per distinguersi dalle tonalità chiare viste come più femminili e legate alla sfera domestica.

L’abbigliamento dei bambini e delle bambine iniziò a venire differenziato in età sempre più giovane, questo per via della crescente diffusione delle teorie di Sigmund Freud legate alla sessualità e alla distinzione di genere.

Siamo ancora in una fase incerta, comunque: per parecchi decenni, fino alla Seconda guerra mondiale, i colori continuarono a essere usati in modo intercambiabile anche se, nella Germania nazista, tra gli anni Trenta e Quaranta, i detenuti dei campi di concentramento accusati di omosessualità, venivano contrassegnati con un triangolo rosa.

Non è chiaro come a un certo punto, negli anni Cinquanta, avvenne una precisa assegnazione dei colori, la cosa sembra essere del tutto arbitraria o comunque suggerita da delle convenzioni che si sono insinuate, silenti, nei rapporti sociali.

Il rosa finì per essere identificato con le donne e divenne onnipresente, non solo nell’abbigliamento, ma anche nei beni di consumo, negli elettrodomestici e nelle automobili.

Sono gli anni in cui Édit Piaf canta La vie en rose, e pure Audrey Hepburn (icona di stile che farà del rosa di Givenchy, e non solo, un suo codice estetico, ed il tono cromatico del suo abito nuziale nel 1969) in Sabrina ne cita le note.

La bambola Barbie fu introdotta nel mercato proprio in quegli anni e consolidò la femminizzazione del rosa.

Questo è il tempo di Marilyn Monroe, icona di sensualità, in rosa, con fiocco, del costumista William Travilla, nel film Gli Uomini preferiscono le bionde, del 1953, mentre canta Diamonds are a girl's best friends.

L'abito e la scena divengono così iconici da essere ripresi a metà degli anni '80, da Madonna, nel video di Material Girl, dove tutto è rosa.

Nel 1988, dall'arte dell'animazione cinematografica, è Jessica Rabbit a rappresentare il rosa più eroticamente esplosivo del grande schermo. “Disegnata così” in abito da sera iridescente con profondo spacco e scollo a cuore, occhieggiante totalmente in rosa.

Anche gli uomini hanno portato il rosa nella storia recente.

Dalla letteratura di F.S. Fitzgerald giunge John Gatsby ed il suo celebre “Pink Suit”, ispirato al dandismo del Duca di Windsor.

Nella musica Elvis Presley (che di rosa “vestiva” pure la sua Cadillac) e il re del Glam Rock, David Bowie, e più di recente Drake, Harry Styles e molti altri ancora.

Nella moda il nipponico Comme des Garçons, per la linea maschile Homme Plus della Primavera-Estate 2005, si è avvalso di un simbolo tra i più riconosciuti del rosa: la Pantera Rosa. Attraverso l'uso del Pink Panther, come colore, e come soggetto, ha raccontato il suo uomo. Sempre Comme des Garçons nell'estate del 2021 si è avvalso, per la linea maschile “Shirt”, del rosa epidermico del ritratto ossessivo dell'artista cinese Yue Minjun.

Il rosa dello stile si è però anche macchiato del rosso sangue di una delle più emblematiche tragedie del '900: la morte, avvenuta per attentato, del Trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d'America, John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas, il 22 novembre del 1963. Sangue che ha impregnato il tailleur Chanel, in tweed rosa (realizzato in America da Chez Ninon), della First Lady Jackie.

Esempio di come un colore possa divenire totale nel bene e nel male.

È ancora il cinema però a suggerirci la volata al tema dell'ossessione cromatica. Proprio con il rosa, nel film Funny Face (Cenerentola a Parigi), del 1957, si vede come la direttrice di una celebre rivista di moda (personaggio ispirato alla fashion editor Diana Vreeland), decida di dedicare al rosa un interno numero del magazine, perchè il pensiero è rosa: “Think Pink!”.

Al rosa dedica la passerella delle celebrazioni per il decennale del suo marchio, Simon Porte Jacquemus, tra i fiori della lavanda di Valensole, in Provenza, nel 2019.

Così come oggi, per il prêt-à-porter dell'Autunno-Inverno 2022-2023, Pierpaolo Piccioli, Direttore Creativo della Maison Valentino, declama, in un rosa totale, il suo linguaggio nella moda, e crea, in collaborazione con Pantone Color Institute, il Pink PP.

48 uscite total Pink PP, più 33 uscite total Black, per un totale di 81 look tra donna e uomo, dove il rosa è su tutti e ovunque. Il défilé co-ed, è stato allestito a Le Carreau du Temple, il 6 marzo 2022.

Questa collezione dialoga con la storia della cromia, nella moda, attraverso la celebrazione di un pensiero universale attorno ad un unico colore: “il Rosa” come disintegrazione delle barriere ed esaltazione della personalità.

Fermo immagine di un momento, immortalato nel segno assoluto e irremissibile della monocromia che tutto pervade: il Direttore Creativo Pierpaolo Piccioli immagina la nuova collezione Valentino con l’energia sperimentale di una scelta radicale. Strippando al minimo la palette, con implacabile crudezza, compie un gesto che nell’apparente rinuncia massimizza le possibilità espressive.

È il pink a dilagare ovunque, in uno straniamento totale che include il set, reiterato dagli occasionali disturbi di nero e di bianco, totali anche essi. Rosa come manifestazione dell’inconscio e liberazione dalla necessità del realismo. L’accumulo di elementi rosa è tale da azzerare lo shock visivo per fare emergere, insieme, il carattere unico della persona, espresso da volto e occhi, e il lavoro sugli abiti: i segni che li plasmano in silhouette, le texture che gli danno consistenza, i decori che diventano parte della costruzione. La materia umana e quella tessile si catalizzano nell’annullamento cromatico che è, infatti, amplificazione. Una varietà di corpi, atteggiamenti, fisicità, esaltati dalla monocromia, porta in vita questa visione.

Stavo leggendo di Lucio Fontana, del suo lavoro sulla monocromia per trovare nuovi spazi. Per me è stato un modo per trovare un momento di riflessione. Il rosa è stato il primo colore a cui ho pensato perché è sempre presente nelle mie collezioni. Usare un solo colore varia la percezione di quello che vede il tuo cervello e sei costretto a osservare le superfici, i materiali e via dicendo. Tutto resta come sospeso. Non vedi i generi, ma l’autenticità delle persone.

(Valentino Pink PP Collection, Pierpaolo Piccioli)