Tutte le persone distratte, indaffarate, in ritardo, impazienti, insopportabili, concentrate sull'altrove, sicure di essere sole al mondo, ottuse, visionarie, ma anche quelle in gara perenne, quelle sempre con la testa tra le nuvole, quelle "degli altri me ne frego" e quelle che per il solo fatto di essere sopraelevate da terra dieci centimetri -forse meno- si sentono le elette dal Signore: tutte, dico tutte, si danno appuntamento sotto il semaforo all'incrocio di Piazza Kennedy. Per motivi personali attraversano rigorosamente con il rosso (mi ricordano quando "marinavo" la scuola e nelle giustificazioni anch'io scrivevo "assente per motivi personali").

Questi individui così speciali, eppure tutti uguali, vengono colti da una forma di onnipotenza e tutti quanti si dicono: "Io posso, sono talmente speciale che potrei passare anche attraverso muri di fuoco, figuriamoci se mi ferma un semaforo rosso; in definitiva è solo un colore. E un colore può impedire la mia libertà; che poi - la mia libertà - inizia e finisce quando voglio io. Vai che ce la fai!".

Non ce la fanno.

E chi puntano? Puntano me. Da quando sono diventata invisibile sono preda di tutti i dementi riuniti - sì proprio quelli dei motivi personali. E i dementi si moltiplicano. Ormai consapevole della mia inconsistenza, schivo. Ho capito e mi adeguo, ma è una lotta impari. Eppure, per andare a casa di mia figlia Valentina e per andare nel negozio di generi alimentari bio - da quando ho deciso che non ho più tempo per cucinare, il negozio bio è il mio carissimo pane quotidiano - devo attraversare il luogo più pericoloso della città; il semaforo posto nel crocevia dell’esserci. E dopo tanti slalom di difesa, qualche giorno fa è accaduto quello che era inevitabile accadesse. Una ragazzina, a testa bassa, con smartphone incorporato e funzionante, mi ha centrata. Mentre precipitavo a terra mi dicevo: "Non puoi più cadere, non puoi più cadere, hai già le protesi alle anche e il femore da proteggere". Così mi sono fratturata solo tre costole: la V, VI, VII. Quando non lo sapevo avevo altri "mali", adesso sono tutti concentrati lì.

Da parte della ragazzina fuoriuscita da scuola non c'è stato neanche il classico "mi dispiace non l'avevo vista". No, è fuggita via urlando: "E dire che ho anche l'esaurimento nervoso!".

Certo, anch'io ho commesso un errore; non ho controllato l'orario dell'uscita da scuola delle e degli adolescenti. Da come fuggono, "ci deve essere del marcio” non solo in Danimarca.

Da due anni abbondanti, però, esiste, al crocevia dell'esserci, un cavaliere errante, invisibile come me, ma vincente. Vincente a livello globale.

C'è chi dice sia fuggito da una provetta caduta a terra in un laboratorio di Yuan in Cina. C'è chi dice vivesse tranquillamente nelle foreste, ospite di mammiferi accoglienti, poi gli incendi, per opera dell’ingordigia umana, hanno distrutto il suo habitat e si è trasferito con i suoi ospiti in città. Ora si trova insieme alle sue varianti, che all'occorrenza muove come pedine, in quel crocevia posizionato al centro delle nostre vite.

Sì, la vita, proprio la vita di tutte e tutti noi. Da quando, due anni fa è apparso nella scena mondiale, si trova al crocevia dell'esserci con a terra la scacchiera; le sue pedine eseguono sempre le mosse vincenti e sconvolgono le nostre vite. Possiede un'intelligenza diversa da quella di noi umani, ma di gran lunga superiore - di questi tempi mi chiedo se ci sia mai appartenuta una parvenza d'intelletto. Se sì, difronte a questo essere invisibile è ben poca cosa. Agisce per necessità e cerca e trova il luogo adatto per riprodursi e moltiplicarsi velocemente nei nostri corpi. In quest'operazione è aiutato dall’infinita stupidità di noi mortali. Lui arriva sempre prima, le nostre menti migliori - ricercatori e scienziati, virologi, immunologi - giocano di rimessa.

Messo a punto il vaccino per la pedina variante Delta, ecco che entra nel gioco della grande scacchiera la variante Omicron. Così tentiamo altre mosse. Sempre perdenti, sempre in difesa, con le nostre vite completamente mutate. In peggio naturalmente.

Difese da tempi di guerra. Ma noi ci abituiamo e ci adattiamo anche alle peggiori condizioni; pur di rimanere in vita siamo disposti anche a non vivercela, questa vita.

Sempre più soli, sempre con le nostre mascherine, sempre con le nostre paure.

Un esempio dal microcosmo. Mia figlia Marcella è una pediatra e in questo periodo il virus trova in bambine e bambini il luogo adatto per contagi rapidissimi. Il rituale in famiglia acquista questi tempi: Marcella prima ci avvisa che verrà e dopo poco ci richiama avvisandoci che non verrà. Infatti, le accade di avere visitato un bimbo che è stato in contatto con un positivo, oppure un'altra volta una famiglia in quarantena ha pensato bene di uscire e di andare... andare dove? Dalla pediatra naturalmente.

Però domenica ad un suo primo sì e dopo mezz'ora ad un altro no - un probabile contatto con una bimba che ha sua volta era stata con una signora risultata poi positiva - mi sono opposta e l'ho convinta a venire.

Eravamo in tre.

Ecco come mi sono organizzata. Nella stanza da pranzo e nella cucina ho aperto le finestre, il tavolo da otto posti, allungato, è diventato da 12. In ogni luogo bottigliette e bombolette per disinfettare mani e aria. Infine, mascherina.

Marcella è arrivata, ci siamo seduti a più di due metri di distanza l'uno dall'altro, abbiamo pranzato velocemente, parlando poco, ma sempre dell'ultima variante a Ravenna, città particolarmente colpita. E come è arrivata così, velocemente, se ne è andata.

Ho di nuovo spruzzato in aria il disinfettante - ho letto che agisce solo per i batteri, ma fa lo stesso, ho lasciato le finestre aperte e in bicicletta sono venuta qui in studio, nel mio paradiso personale per non morire di nostalgia. Una falce di luna è qui vicina e vorrei mi portasse via. Sono ridotta ad avere paura di stare in compagnia delle mie figlie e dei miei nipoti. Potrei morire di disperazione. È cambiata di molto anche la relazione con amiche e amici e con il mondo esterno.

Dove te ne sei andata, cara empatia? Così abusata come parola e così difficile da praticare, soprattutto ora, con le relazioni sempre più opprimenti, distanziate dai corpi negati.

E fino ad ora mi è andata bene. Con la primavera poi, il cavaliere errante inizia a riposarsi e d'estate abbandona il crocevia dell'esserci. Va in vacanza per ritornare a riorganizzare le mosse delle sue pedine, in autunno. Forse mi sbaglio; sono governata dal pensiero negativo.

Intanto i potenti della terra si sentono posizionati in un crocevia superiore, al di fuori e al di sopra del cavaliere errante. In grande, purtroppo, sono simili a quei dementi che al crocevia di piazza Kennedy trovano naturale attraversare quando il semaforo è rosso. Stessa testa, moltiplicata per ricchezze, per potere e per ricatti smisurati da ottenere con qualsiasi mezzo. I mezzi preferiti rimangono, però, lo scontro armato e il massacro dell'ambiente con tutte le sue creature. Mentre il cavaliere errante muove le sue pedine e causa milioni di morti, venti di guerra mai assopiti sono qui alle nostre porte.

Mi chiedo se con la potenza della pandemia, con la produzione sempre più sofisticata di armi cielo, terra, mare e con la transizione ecologica a base di gas e nucleare di quarta generazione ce la faremo, finalmente, a farci fuori tutti.