Io alle isole Fiji mi sento a casa mia. Lo so, avrei potuto esordire ricorrendo ai soliti aggettivi altisonanti che descrivono i luoghi che amiamo, ma dopo aver visitato più volte l’arcipelago credo davvero che sia questa la sensazione che prevale in me al di là di quello che sto per raccontarvi.

E vi spiego il perché…

Seduta in posizione regale, l’isola di Viti Levu si staglia come un severo capo tribù che veglia sui suoi sottoposti: un arcipelago di isole di dimensioni ridotte legate al governo centrale da vincoli istituzionali, ma dove in realtà sono l’appartenenza etnica e linguistica a prevalere nel quotidiano. Unica eccezione, l’isola di Vanua Levu, la seconda della classe per dimensioni ma che per il resto poco ha a che spartire con l’isola principale, essendo assai più in sintonia per stile di vita e rilassatezza nell’approccio all’esistenza alle altre isole che compongono la nazione. Mi piacerebbe raccontarvi di aver visitato il Paese in barca, zigzagando tra scogliere rocciose, barriere coralline multiformi, sfumature incantevoli e genti accoglienti con il mio scafo personale. Ma tranne alcune escursioni organizzate mi è toccato ricorrere, come a tutti i comuni mortali, all’interminabile volo internazionale che dopo uno stop over a Brisbane mi ha depositato all’aeroporto di Nadi (si pronuncia “Nandi”, prendete nota, vi correggeranno perentoriamente se vi sbagliate).

Sono poche le città degli arcipelaghi del Pacifico che possono definirsi veramente belle, e Nadi appunto non attrae i visitatori con alcun “must see”. Certo, il Tempio Sri Siva Subramaniya, la più grande struttura indù al di sotto dell’equatore, non sfigura a queste latitudini anche perché testimone di un fattore umano che caratterizza marcatamente la realtà locale, talvolta con conseguenze spiacevoli. E poi i mercati cittadini costituiscono un ottimo assaggio del folklore locale che vi aspetta un po’ ovunque nel Paese-nonché un’alternativa più salutare ed economica rispetto ai centri commerciali di stampo occidentale ormai abbastanza diffusi. È a Nadi che le principali agenzie del Paese vi offriranno tutti i pacchetti turistici predisposti per realizzare i sogni concepiti davanti alle immagini paradisiache che avete osservato a casa vostra chiedendovi se si tratta di Photoshop oppure della realtà. Ed è nelle vie del centro che troverete gli unici veri ingorghi automobilistici del Paese, tanto che vi chiederete se davvero si tratta di una città di 40.000 abitanti oppure di una megalopoli asiatica. Però insomma siete giunti sin qui per ben altro: e allora noleggiate un veicolo e andatevene in giro per l’isola, imbarcatevi su una motonave o su un aeromobile ad elica per raggiungere gli scogli più remoti, oppure raggiungete un resort all-in a ridosso di spiagge deserte e immergetevi nell’atmosfera del Pacifico.

È probabile che la vostra prima destinazione alle Fiji siano le Isole Yasawa oppure le Isole Mamanuca. Raggiungibili rapidamente da Nadi, molte di esse sono prese d’assalto dai più giovani che vogliono divertirsi spendendo poco: feste sulla spiaggia, kayak a noleggio, snorkeling garantito. Io ho resistito alla tentazione di sbarcare in alcune di esse: avevo infatti già in mente una destinazione che mi ronzava in mente da anni. Da appassionato di cinema il mio primo obiettivo una volta atterrato alle Fiji era quello di recarmi a Monuriki. Tom Hanks nella pellicola Cast Away si ritrova sperduto proprio su questa isola: minuscola, paradisiaca, è solo quando la si visita di persona che si intuisce l’astuzia cinematografica allestita da Zemeckis e compagnia. Le riprese del film la presentano sempre con un orizzonte infinito, ma sarebbe bastato ruotare di poco le camere per inquadrare, a un tiro di schioppo, le altre - paradisiache anch’esse - isole prospicienti: Mana, Tavua, Monu, Tokoriki. A differenza di queste però su Monuriki non ci sono resort: è prossima alla civiltà ma lealmente deserta, cosicché la doverosa escursione che parte dalle isole suddette non delude mai chi investa una giornata in barca da queste parti.

In verità ci fu già un precedente cinematografico in zona: vi ricordate di Brooke Shields e Christopher Atkins? Beh, la pellicola Laguna Blu fu filmata un poco più a Nord, nell’isola di Nanuya Lailai, gruppo delle Yasawa. Un'altra location strepitosa, anche in questo caso rappresentata come un luogo inesplorato e in cui oggigiorno numerosi turisti rievocano le gesta delle due star partecipando ad escursioni organizzate. Se vi state chiedendo, visto il numero cospicuo di isole, quale meriti più di altre la visita sappiate che dipende più che altro da quanto volete spendere per il pernottamento in resort. Ma anche quelli più economici sono comunque situati a ridosso di spiagge e vegetazione incantevoli, quindi imbarcatevi sullo Yasawa Flyer, la motonave che salpa da Nadi e trasporta ciascun turista fermandosi praticamente in tutte le isole e offrendovi un viaggio nel viaggio. Se è bel tempo, accaparratevi un posto a sedere all’aperto: le sfumature del mare che contrastano col verde sfavillante della vegetazione rimarranno impresse in modo indelebile nelle vostre memorie di viaggio. …E alla fine del giro lo Yasawa Flyer vi riporterà a Nadi, dove noleggerete un veicolo e percorrerete la strada principale che attraversa, ad anello, l’intera Viti Levu. Spoiler alert: è il tratto a Sud dell’isola quello più interessante.

Non aspettatevi, però, le stesse meraviglie degli arcipelaghi minori; certo, la costa è sempre stupenda e a ridosso della Beqa Lagoon potete immergervi con gli squali toro e, se avete fortuna, anche con lo squalo tigre, ma ci si spinge da queste parti soprattutto per assaporare uno stile di vita più tranquillo e più schietto. Il vero “trademark” del Pacifico! E così, mentre conducete l’utilitaria (la carreggiata è asfaltata ma la velocità va mantenuta bassa, i bambini giocano in mezzo alla strada, gli animali la considerano una dependance del giardino, la gente si sposta a piedi sul ciglio per recarsi al lavoro; insomma andate piano) col gomito adagiato sul finestrino spalancato, ché la brezza vale cento volte di più del climatizzatore, non mancate di fermarvi a fotografare quei giardini variopinti e rigogliosi; i ristoranti in questo tratto scarseggiano ed in fondo è bene così: contribuirete infatti all’economia delle famiglie locali acquistando dai loro banchetti posizionati a bordo strada dei succosi ananas, una papaya, o dei gustosissimi mango che queste squisite persone sbucceranno prima ancora che glieli abbiate pagati - costano pochi spiccioli - lasciate perdere il resto, per noi ha valore pari a zero ma per i locali è un margine rilevante sulla vendita.

Giocano un ruolo decisivo a rendere strepitoso l’intero contesto quei tizi che, scalzi, sfidano l’asfalto rovente coi caschi di banane sulle spalle sempre pronti a un saluto e a un sorriso nei confronti degli automobilisti di passaggio. E poiché certamente qualcuno di loro vi chiederà uno strappo da qualche parte, non esitate ad acconsentire: vi si schiuderà un mondo. La persona che io ho deciso di accompagnare a casa sua, una volta giunti a destinazione, mi ha invitato a prendere un tè. Io adoro queste improvvisate, è vero che mi fanno saltare la tabella di marcia ma il significato del tempo sbiadisce quando ti ritrovi a mangiare (vi offrono soltanto un tè, certo, e voi vi ritrovate con la tavola imbandita, una famiglia allargata di parenti e vicini per tacere dei marmocchi che vi guardano come un marziano e vi rivolgono domande in un idioma locale del tutto incomprensibile) con un gruppo di sconosciuti che però ti accoglie come uno di famiglia.

Alle Fiji è così: tu ci vai perché tutti ti hanno detto che sono stupende, e mentre sei lì a fantasticare di nuotate e immersioni il cuore ti si riscalda appena entri a contatto con queste popolazioni fiere, dignitose, accoglienti, amichevoli. E la cosa più sorprendente è che pur essendo un popolo che di fatto vive di turismo e che di turisti ne accoglie tantissimi, queste persone sono riuscite a mantenere uno stile di vita originario che si è adattato agli usi degli stranieri senza stravolgere la propria essenza. Non lasciatevi però ingannare dalle apparenze: a noi gli autoctoni sembrano un unico gruppo indistinto, ma invece i gruppi etnici e relativi dialetti sono numerosissimi, un universo di genti che sovente collidono tra di loro anche in maniera violenta. Gli indo-figiani, ad esempio, i discendenti dei primi indiani venuti sull’isola per essere impiegati nei pesanti lavori agricoli, tutt’oggi sono costretti a convivere con un discredito piuttosto latente da parte dei gruppi etnici melanesiani, uno stato di tensione che però sfocia regolarmente in violente sommosse che le forze dell’ordine faticano a reprimere. Ma le sommosse si verificano più o meno in tutto il territorio nazionale e così le varie comunità spesso si raggruppano in vallate e villaggi ben distanti tra loro: una tattica ancestrale di difesa della proprietà certo, ma soprattutto della propria cultura e autonomia.

In questi agglomerati sperduti, spesso raggiungibili solo via mare, la comunità stessa ruota attorno alle decisioni del capo villaggio, che unitamente al consiglio dei più anziani sovrintende alla vita dei residenti. Non puoi semplicemente presentarti in una realtà del genere e andartene in giro a fare le foto come fosse casa tua: nessuno ti maltratta o aggredisce, per carità, ma è tradizione consolidata che il visitatore si presenti con un sevusevu. Tecnicamente un regalo, il sevusevu è di fatto un gesto di rispetto nei confronti del capo villaggio: dello zucchero, della frutta, un utensile, qualcosa di utile insomma. Quando il capo villaggio, seduto per terra a gambe incrociate in una capanna tradizionale, vi ringrazierà quasi con sufficienza per il vostro presente non traete delle conclusioni affrettate, perché invece quel che davvero si sta verificando è che l’intera comunità vi ha adottato proprio in quel momento, dimostrandovelo col benvenuto che più caratterizza queste isole straordinarie. Il rito della kava. Una bevanda ottenuta dalle radici di una pianta onnipresente nell’arcipelago, polverizzate e mescolate all’acqua dal sapore forte e dal colore scoraggiante (pare l’acqua sporca della lavatrice, bisogna riconoscerlo) ma che, contenuta in gran quantità in una ciotola molto capiente, viene sorbita con un guscio di noce di cocco dai convenuti; all’inizio, il fatto che la stessa ciotola venga condivisa da più persone può lasciare perplessi, ma è il contenuto vagamente alcolico della bevanda la sensazione che finisce per prevalere. È in quel momento e solo in quello che il timbro sul passaporto si trasfigura definitivamente nel più cordiale e caloroso dei benvenuti.

Ecco, adesso potete anche recarvi nell’isola di Taveuni a immergervi tra i coralli molli più stupefacenti del pianeta; o ingaggiare una guida e avventurarvi tra le impenetrabili foreste tropicali dell’entroterra; inerpicarvi sulle dune di Sigatoka o ricercare il Pacifico che non c’è più nell’arcipelago delle Lau o ancora assaporare l’atmosfera da Far West sulla Main Street di Levuka; anche a Kadavu si fanno belle immersioni ma qui le correnti sono fredde, portatevi una muta da 5mm. Ma il tesoro più grande che queste isole hanno da offrire è custodito in una casa tradizionale dal tetto di rami di palma essiccati coi tipici rostri sporgenti ai due lati, dove uomini e donne in abiti sgargianti vi accolgono senza cercare di vendervi alcunché e considerandovi uno di famiglia.

È chiaro adesso perché io alle Fiji mi sento a casa mia?