Ad ovo.

(Orazio)

È ovvio, tutti gli uomini sono biologicamente animali, ma da quando esistiamo, sin dal primo giorno della nostra apparizione sulla Terra, non l’abbiamo mai voluto ammettere. Siamo stati sempre restii ad accettare questa realtà, anzi, solo l’idea ci ha sempre terrorizzato. Tutta la nostra cultura è stata sempre pervasa dall’idea di un uomo superiore, sublime, spirituale, quasi divino, eppure ci siamo sempre comportati come gli animali, abbiamo persino pensato come gli animali. Nonostante ciò, abbiamo falsamente creduto che gli animali non avessero nulla di umano, che fossero esseri viventi inferiori e con i quali avremmo potuto fare tutto: ucciderli, sterminarli, mangiarli, schiavizzarli, addomesticarli a nostro uso e consumo, anche se, in quest’ultimo caso, non sempre ci siamo riusciti.

Molti animali non si sono mai piegati al volere dell’uomo e, se vogliamo dirla tutta, quelli con cui ci siamo riusciti sono relativamente pochi. Avremmo voluto addomesticare, ad esempio, l’elefante o lo scimpanzé, ma il massimo che abbiamo potuto fare con loro è stato averli addestrati, un processo che non ha nulla a che fare con l’addomesticamento. Tanto per intenderci, possiamo addestrare l’elefante e lo scimpanzé nei circhi affinché facciano cose straordinarie, quasi umane, alzarsi su due zampe, saltare, giocare con le palle, ma questo non vuol dire che siano stati addomesticati.

La domesticazione

La domesticazione, o come più comunemente si dice l’addomesticamento, è stato un processo molto lento ed è avvenuto molto tempo dopo la comparsa dell’Homo sapiens. La nostra storia risale a circa 150-200mila anni fa e il primo processo di addomesticamento animale è cominciato non più tardi di 30mila anni fa. Ad esempio, il cane è stato addomesticato contemporaneamente in Cina e in Nord America più o meno in questo periodo. Il maiale è stato addomesticato molto più di recente, cioè circa 8mila anni fa, anch’esso in Cina, l’asino, in Egitto, circa 4mila anni fa e il cavallo, nelle pianure sterminate del Kazakistan, più o meno nello stesso periodo.

A parte il Nord America, e con l’eccezione dell’asino in Egitto, come vediamo, i processi di domesticazione sono avvenuti quasi tutti nel continente asiatico. I processi di addomesticamento nel continente africano sono stati pochissimi, quasi inesistenti, eppure lì sono le nostre radici; è da lì che siamo partiti e poi abbiamo iniziato a emigrare in altre parti del mondo dove abbiamo cominciato a pensare che animali docili e ubbidienti, da mangiare, da sfruttare nella caccia e nel lavoro, ci sarebbero stati molto utili.

Eppure, il continente africano garantiva, almeno fino all’ultima glaciazione, conclusasi circa 10mila anni fa, un terreno fertile per cacciare con l’aiuto di un animale addomesticato, come ad esempio il cane. Ma non è andata così, il cane l’abbiamo addomesticato altrove, non in Africa. Molto probabilmente questo è avvenuto perché in origine noi uomini non avevamo ancora tutte quelle capacità cognitive e intellettive per poterlo fare. Non avevamo ancora la capacità di immaginare un animale ancora selvatico, al di fuori del suo contesto ambientale e comportamentale, che si potesse piegare all’uomo.

Prima il cane era un animale selvatico che aveva come lontano antenato il lupo e lo sciacallo, che ancora non si avvicinava all’uomo e di cui l’uomo non aveva ancora bisogno. Infatti è con l’uso del fuoco verso la fine del Paleolitico inferiore (200mila anni fa) e con la cottura delle carni che noi uomini abbiamo cominciato a immaginare che un cane selvatico se ben addomesticato ci avrebbe potuto aiutare nella cattura di altri animali e nella difesa, come sentinella, del nostro territorio. Tutto questo non è stato possibile fino a quando non abbiamo iniziato a lasciare l’Africa.

Da 6 a 4mila anni fa, quindi in pieno Neolitico, l’uomo ha avuto il desiderio di addomesticare tutti gli animali con cui veniva a contatto e che appartenevano a poco più di un centinaio di specie diverse, almeno quelle di una certa taglia, ma in verità è riuscito ad addomesticarne solo un decimo, praticamente niente.

Fallimento umano

Il Genere Homo è riuscito durante il percorso della sua evoluzione, precisamente, nell’ultima fase, quella di Homo sapiens, ad addomesticare la pecora, la capra, il bue, il maiale, il cammello, il dromedario, il cavallo, l’asino, lo yak e la renna, almeno per quanto riguarda gli animali più grandi. E il resto? Ben poco.

A che cosa è dovuto questo fallimento, almeno secondo la nostra grande prospettiva che è stata sempre quella di dominare il mondo? Le ragioni sono diverse e tutte importanti. La prima è che, per i nostri antenati, cercare di addomesticare animali che non potevano essere sfruttati a breve termine, non era conveniente: una volta addomesticati, si dovevano spendere troppe energie per mantenerli e per alimentarli. Inoltre c’era da considerare il fatto che alcuni di loro potevano essere ancora pericolosi. Infatti, tutti gli animali che sono stati addomesticati con successo dall’uomo sono fondamentalmente innocui, mansueti, docili e si possono uccidere facilmente per alimentarsi della loro carne.

All’uomo non è mai convenuto addomesticare, ad esempio, l’orso bruno (Ursus arctos) ed è per questo che non ci ha mai provato. Anzi, era sempre meglio tenerlo a distanza. Altri animali selvatici avevano un brutto carattere e nel momento in cui l’uomo si avvicinava loro per addomesticarli potevano reagire pericolosamente. Si è invece addomesticato l’asino perché è stato facile farlo, perché è caratterialmente docile ed era indispensabile per il trasporto di cose e persone. Ma è il cavallo su cui l’uomo si è particolarmente concentrato, non solo per utilizzarlo per il trasporto delle cose ma per spostarsi velocemente e poi per utilizzarlo come animale da guerra. Tutti i popoli che lo hanno utilizzato per primi sono sempre usciti vincitori dalle guerre.

Gengis Khan, tra il XII e il XIII secolo, non avrebbe potuto conquistare il suo immenso impero se non avesse avuto il cavallo; così è stato molto prima per Alessandro Magno (356-323 a.C.), per i Romani dal I a.C. al V secolo e per molti altri conquistatori.

Gli Inca, non a caso, sono stati sconfitti definitivamente nel 1548 dagli spagnoli non perché non sapessero combattere, ma perché non conoscevano l’uso del cavallo e contro i cavalieri spagnoli armati di spade e lance non poterono fare molto. Persino le guerre napoleoniche sono state vinte grazie all’uso del cavallo. Solo dopo la Prima guerra mondiale il cavallo è stato messo a riposo e sostituito con dei mezzi motorizzati.

Il mondo surreale degli animali

Gli uomini verso gli animali hanno sempre manifestato un atteggiamento reverenziale, quasi di soggezione, soprattutto verso quelli che non hanno mai potuto o voluto addomesticare, con i quali non sono mai riusciti a stabilire un rapporto di aiuto reciproco. Nessuno ha infatti mai pensato di addomesticare serpenti o leoni. Non a caso, questi due ultimi animali ricorrono spesso, rispetto a molti altri, nei nostri sogni o incubi notturni, soprattutto in quelli giovanili. Chi non ha mai sognato di essere rincorso da un leone in piena savana africana o strangolato da un serpente boa nella foresta Amazzonica? Chi non si è mai svegliato sudato e frastornato dopo un sogno di questo genere? Qui non vogliamo scomodare Freud per interpretare questi fenomeni, ma il fatto che questi due ultimi animali siano quelli più pericolosi per l’uomo, non è casuale. Non possono essere dominati né nella realtà, né nella nostra immaginazione.

Come scrisse Honoré de Balzac, l’unico giorno in cui gli uomini possono dominare gli animali selvatici è il giorno di carnevale. In quel giorno chi si traveste da animale, soprattutto selvatico, si sente padrone del mondo e della vita, si sente superiore a tutto ciò che lo circonda. È strano, ma questo è quello che più comunemente si prova in questa circostanza. Abbiamo tutti sperimentato l’ebbrezza del travestimento, di apparire quello che non siamo, di nascondere la nostra vera identità. Però il carnevale è anche l’unico giorno dell’anno in cui l’umanità travestita si lega all’animalità.

È una metamorfosi immaginativa con implicazioni psicologiche molto forti, una trasformazione come quella subita da un giovane impiegato praghese, Gregor Samsa, in un insetto, uno scarafaggio gigante e ripugnante che Franz Kafka ha descritto ne La metamorfosi, il suo capolavoro. Questo racconto non è certamente una fiaba da far leggere ai bambini, infatti, non ha un lieto fine. Lo spettacolo cui si trova di fronte la famiglia di Gregor, soprattutto il padre, è orribile e insopportabile. Infatti, alla fine i genitori decideranno di farlo morire di fame, dopo averlo rinchiuso nella sua stanza senza lasciarlo mai uscire. Il fatto più sorprendente è che, a seguito della trasformazione di Gregor in uno scarafaggio e della ripugnanza della sua famiglia, il protagonista riscopre tutta la sua umanità e cerca sempre di trovare delle ragioni per sopravvivere anche in questo stato. Lo scarabeo gigante, Gregor, nonostante tutto, si sente ancora un uomo, anche se vengono interrotti tutti i suoi rapporti di normalità con il resto del mondo.

Forse Kafka qui ci vuole suggerire quale possa essere la sorte di un “diverso”, di un animale solo apparentemente diverso dall’uomo. Kafka, secondo alcuni interpreti del suo racconto, perché l’autore non dà mai una spiegazione di quello che è accaduto al suo personaggio, ci anticipa quello che poi, da lì a poco, diventerà la persecuzione dei diversi da parte dei nazi-fascisti, soprattutto degli ebrei, durante la Seconda guerra mondiale. Kafka aveva origini ebraiche.

L’uomo ha sempre cercato di tenere nascosto, soprattutto al prossimo, più che a se stesso, questa doppia animalità, quella umana e quella animale ed è anche per questo che con gli animali ha sempre vissuto un eterno conflitto, nonostante alcuni di loro siano riusciti alla fine a stargli vicino dopo essere stati addomesticati. È come se l’uomo avesse sempre voluto nascondere i propri istinti o schemi a azione fissa, come li ha chiamati il grande etologo Konrad Lorenz, che sono simili a quelli degli animali. Il fatto è che gli istinti umani fanno parte della nostra esistenza e che in fondo sono quelli che ci hanno tenuto e ancora ci tengono in vita, non la tecnologia e la razionalità, come comunemente si pensa.

Allora la domanda è se il nostro passato, prima che diventassimo uomini moderni, quando circa 30mila anni fa soppiantammo l’Uomo di Neanderthal, possa essere anche il nostro futuro. Infine, ci si è mai chiesti perché, ad esempio, il surrealismo caricaturale, come quello del grande Jean-Ignace-Isidore Gérard (in arte Jean-Jacques Grandeville), un intellettuale francese che visse nella metà dell’800 e, in tempi più recenti, anche del noto Giorgio Forattini in Italia, sia stata una forma d’arte tanto indigesta ai governi, più o meno dittatoriali, ai politici qualunquisti e passivi dei nostri tempi?

Letture consigliate

AA.VV. Scene della vita privata e pubblica degli animali. Torino, Ruggero Aprile Editore, 1970.
Macchia Giovanni. “Grandeville, il mondo rovesciato degli uomini-animali”. Corriere della Sera del 17 Aprile 1988.
Diamond Jared. Guns, germs, and steel. The fates of human societies. New York, W.W. Norton & Company (tr.it. Armi, acciaio e malattie. Torino, Einaudi, 1998).
Tartabini Angelo. Una scimmia in tutti noi. Milano, B. Mondadori, 2001.
Tartabini Angelo. Fondamenti di Psicologia evoluzionistica. Napoli, Liguori, 2012.
Bulgarini Fabrizio, Fraticelli Fulvio & Alessandro Montemaggiori. Animale sarai tu. Roma, Orme Editori, 2018.