Per correr miglior acque alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele.

(Purgatorio, I, 1-3)

Nell'incipit del Purgatorio Dante sceglie una metafora marinara per esprimere sia il vigore e la determinazione nel proseguire il viaggio, sia la quiete d'animo finalmente ritrovata dopo la traversata infernale. Lo fa attraverso l'immagine concreta di una navicella che, in acque ormai tranquille, può spiegare le vele al vento. La metafora, insieme all'andamento suadente dei versi, trasmette al lettore l'emozione di aver ritrovato la via della salvezza, temuta smarrita.

Non è di Dante che intendo parlare, bensì della metafora. Umberto Eco ci ricorda che, se la lingua è una macchina retta da regole, “di questa macchina la metafora è il guasto, il sussulto, l’esito inspiegabile e al tempo stesso il motore di rinnovamento”. La metafora è parlare del mondo parlando di altro: una sorta di menzogna controllata, capace di veicolare una realtà complessa difficilmente esprimibile con il solo linguaggio denotativo.

Pablo Neruda, parlando al suo postino Mario, spiega questa speciale menzogna:

“Be’, quando dici che il cielo sta piangendo, cos'è che vuoi dire?"
"Semplice! Che sta piovendo, no?"
"Ebbene, questa è una metafora."
"E perché, se è una cosa così semplice, ha un nome così complicato?"

Sia Neruda che Mario sanno che dire "il cielo sta piangendo" aggiunge all’esperienza della pioggia un sovrappiù di significato, svelando il mondo esterno come proiezione del mondo interno dell'osservatore.

Sono sempre stupito dalla capacità dei poeti di inventare metafore per dare corpo a sensazioni sottili e sfuggenti, svelando significati nascosti nelle pieghe dell’esperienza. Ma sono rimasto ancor più sorpreso nello scoprire che anche la tecnologia, a suo modo, esercita una simile funzione di disvelamento del mondo.

Un esempio chiarirà questa affermazione. Una selce su cui inciampo è solo un sasso, un oggetto naturale sullo sfondo del paesaggio. Diventa qualcosa di diverso quando la raccolgo e la uso per colpire: il sasso comincia a trasformarsi, non è più solo naturale, né ancora pienamente artificiale. Se lo ripongo, la storia finisce. Ma se lo conservo, lo modifico, e condivido l'invenzione con la mia comunità, accadono due fatti notevoli: svelo nel sasso una potenzialità prima ignota e do avvio alla tecnologia della selce scheggiata, che cambierà le pratiche di sopravvivenza e, forse, darà origine a una religione della pietra, con i suoi riti e sacerdoti.

Qualcosa di simile deve essere accaduto con la tecnologia del fuoco. Eraclito di Efeso, nel V secolo a.C., vide nel fuoco la chiave per comprendere la natura. Il ragionamento, nella sua semplicità, è ardito: il divenire è comune a tutte le cose, e il fuoco è l'elemento che meglio incarna il divenire. La fiamma cambia incessantemente forma, trasforma tutto ciò che tocca, e ogni cosa può prendere fuoco. Il fuoco è la metafora che ci consente di visualizzare il cambiamento incessante della realtà.

Negli ultimi sette secoli tre macchine hanno assunto il posto del fuoco come metafora per comprendere la realtà: l'orologio meccanico, il motore a vapore e, più recentemente, il computer. Ognuna ha orientato il modo di pensare il mondo prima che le scienze ne precisassero i paradigmi.

L'orologio meccanico a pesi, inventato intorno al 1300, richiedeva di regolare la caduta di un peso che, per effetto della gravità, avrebbe altrimenti accelerato senza controllo. L'ingegnosa invenzione dello scappamento, basato su oscillazioni regolari, rese possibile tale controllo. Più tardi il pendolo perfezionò il meccanismo. Già nel XIV secolo si costruivano planetari meccanici, e si affermava l'idea che l'universo fosse un grande orologio. Newton trasformò questa metafora in scienza: la meccanica newtoniana fonda l'universo su forze che agiscono regolarmente e prevedibilmente. Per oltre un secolo e mezzo, l'orologio cosmico è stato il modello guida della fisica.

La seconda metafora è quella del motore a vapore. I primi esemplari, sviluppati nel XVI secolo, servivano a estrarre acqua dalle miniere. Solo nel 1775 James Watt introdusse le innovazioni decisive che resero la macchina economica ed efficiente. A inizio Ottocento, Sadi Carnot comprese i principi fisici del motore a vapore e fondò la termodinamica: al centro non più la forza, ma l'energia e le sue trasformazioni. L'universo come grande macchina termodinamica diventa la nuova immagine scientifica.

La terza metafora è quella del computer. Nel 1936 Alan Turing descrive una macchina astratta capace di simulare qualsiasi computazione. Nel 1946 nasce il primo computer elettronico. Shannon, nel 1948, definisce il bit come unità dell'informazione. La ricerca sull'intelligenza artificiale prende avvio nel 1957. Nel giro di vent’anni comincia a prendere forma la metafora dell’universo come gigantesca macchina computazionale che elabora informazione.

È presto per sapere dove ci porterà la metafora computazionale. Ma è certo che cominceremo a pensare il mondo in modo diverso. Sarà necessario, anzi doveroso, mantenere una vigilanza attenta — e forse ossessiva — su come formuliamo i nostri pensieri. Heidegger ci offre un esempio illuminante di come la tecnologia cambia l’immagine che abbiamo di un fiume:

L’impianto idroelettrico è impiantato nella corrente del Reno. Esso spinge il Reno a fornire la propria pressione idraulica, che fa girare le turbine. [...] Ciò che il fiume è ora, cioè una fonte di energia idraulica, deriva dall’impianto idroelettrico.

Prima, il Reno era un placido fiume tra dolci colline. Dopo, diventa una riserva di energia. La tecnologia lo ha disvelato in un nuovo modo. E da quel momento, anche il nostro sguardo non sarà più lo stesso. Come la metafora poetica ci consente di cogliere l'invisibile dietro il visibile, così la metafora tecnologica ci obbliga a reinterpretare il mondo attraverso nuove lenti. In entrambi i casi, cambia non solo ciò che vediamo, ma anche il modo stesso in cui pensiamo. Nel mutare delle metafore, poetiche o tecnologiche, si cela il destino della nostra esperienza del mondo.

Riferimenti

Umberto Eco, “Metafora” in Enciclopedia Einaudi, Torino, 1980, vol. 9, p. 192.
Antonio Skármeta, Il postino di Neruda, Garzanti, Milano, 1985, p. 56.
Martin Heidegger, The Question Concerning Technology, New York, HarperCollins, 1977, pp. 13-16.