Gli artisti si stanno rigirando nel guazzabuglio dell'arte, cercando di accattivarsi lo spietato mercato dell'arte, preda di un “sistema” ben collaudato. Ciò che producono è spesso ripetitivo e sull'onda di artisti che le onde della fama le hanno cavalcate in passato, quando i tempi erano più propizi all'arte.

Ai tempi nostri è molto difficile vendere una propria opera, sono scomparsi i mecenati, soprattutto si sono volatilizzati molti amanti dell'arte. Naturalmente esistono ancora i collezionisti, che possono essere vittime di curatori, critici, galleristi, procacciatori a vari livelli, a volte poco corretti: se uno di loro ha prestigio nell'ambiente può affibbiare all'incauto acquirente qualsiasi opera, buona, mediocre o orribile che sia. Il mercato è nelle loro mani.

È chiaro che un vero intenditore non si fa imbrogliare e può anche fare buoni affari, ma ciò richiede una profonda preparazione culturale in campo artistico e una buona capacità affaristica. Non sono in molti a poterlo fare.

Non che l'arte richieda un immediato tornaconto economico, molti artisti lavorano duramente per il solo piacere di farlo, ma vorrebbero poter lavorare serenamente, senza problemi di sopravvivenza, senza essere obbligati a lavori che sottraggono loro il tempo che vorrebbero dedicare a creare.

Coloro che acquistano ancora opere d'arte appartengono ad un mondo limitato, di nicchia, sono intenditori, loro non sbagliano perchè hanno una profonda cultura nel campo. E poi ci sono i piccoli compratori, spesso giovani alla ricerca di pezzi per arredare le case, amanti dell'affordable, frequentatori abituali di queste fiere, dove per lo più acquistano opere ispirate alla Pop Art.

Viene spontaneo riflettere su come si stiano muovendo le nuove generazioni nel mondo dell'arte: e si nota come se ne interessino poco, semplicemente perchè non la capiscono, troppo faticoso studiare quella contemporanea, così complessa. Ma siamo sinceri: l'arte concettuale che tuttora persiste, oltre ogni aspettativa, annoia i giovani, quella classica per lo più la rifuggono, le opere degli artisti outsider non le considerano, soprattutto perchè oggi un'opera artistica non è visivamente appagante e non la metteresti a casa tua.

Il nostro tempo è caratterizzato dalla velocità, dal contatto immediato, dal mordi e fuggi. Di troppa arte, quella che vediamo esposta nei musei, nelle Gallerie, alle mostre ed alle esposizioni, è richiesta, oltre alla presa visione dell'opera, una sua interpretazione: così com'è spesso non comunica nulla, anche se dietro c'è una profonda riflessione dell'artista, corroborata da serio studio della filosofia, dell'estetica e quant'altro.

Ma i giovani hanno fretta: hanno troppi interessi in ballo, che non approfondire un'opera d'arte, che oltretutto non li cattura.

L'arte fin dai primordi non è mai stata fine a se stessa, da sempre ha assunto significati altri: la ricerca di Dio, della spiritualità, del significato della vita. Ora però è andata oltre, talmente oltre che mal s'adegua ad una società consumistica, sempre attratta da altro. A meno che si tratti di addetti ai lavori, o dei pochi raffinati cultori del pensiero sotteso al manufatto.

I giovani oggi sono abituati a fare più cose insieme, il loro sguardo è lontano, se l'opera davanti a loro non cattura l'attenzione, volgono lo sguardo altrove. Purtroppo, l'arte visiva ha perso la sua capacità di colpirli, di catturali, ha perso il suo fascino, anche se non il suo significato, qualcosa si è scollato, lo stretto rapporto tra lo sguardo e il pensiero che lo sottende, c'è troppo divario. A fronte di un pensiero elevato, profondo, colto, raffinato, ci sono opere che non comunicano, oppure comunicano troppo perchè provocano il disgusto, la voglia di volgere lo sguardo altrove. Questa è la società dell'evasione, troppe attrattive fanno concorrenza all'arte, soprattutto visivamente. Inoltre, si rifugge dal riflettere, c'è un'intensa, estesa, ricerca del piacere: mettersi di buzzo buono a scoprire i collegamenti tra il manufatto e l'idea è ritenuto tempo perso in un mondo che comunica troppo e troppo facilmente.

Perciò gli artisti si sono visti costretti a cercare di stupire per catturare l'attenzione verso chi ormai è assuefatto a tutto. E sono molte le opere nate unicamente per stupire.

I musei che acquistano il contemporaneo hanno fatto il pieno di molte opere, che ora rimangono per lo più chiuse nei loro magazzini, in attesa di diventare spazzatura o essere svendute. Perchè col tempo le opere quasi sempre perdono valore: la fama duratura è riservata a pochi eletti. Ed è quasi impossibile ipotizzare quali opere contemporanee avranno ancora vita nei secoli a venire.

Ma dove sono finiti gli artisti?

Non ce ne sono stati mai tanti come adesso, tutti si sentono artisti, chiunque può prendere in mano qualcosa per lasciare segni o oggetti per crearne altri, in un “dejà vu” senza fine e che ormai ha fatto il suo tempo: ma ci sarà sempre qualcuno che, per un motivo o l'altro, troverà meravigliosa la tua opera, chi ti gratifica, stuzzicando il tuo ego.

In realtà i veri artisti ci sono ancora, anche se si deve andare a scovarli, perchè si tengono per lo più nascosti, lavorano in silenzio, sentono l'urgente bisogno di esprimersi, sanno che spesso non sono compresi, che il mondo oggi funziona in un modo particolare, perchè ciò che conta è soprattutto il guadagno, il prestigio e la fama che ne ricavano.

Ma i veri artisti non cercano queste gratificazioni, rispondono piuttosto al loro urgente bisogno di comunicare ciò che sentono attraverso la realizzazione visiva del loro pensiero, il loro bisogno è urgente, impellente, inarrestabile. Pensiero, comunicazione, opera: l'artista l'ama profondamente quando la crea, tanto quanto la detesta quando non riesce a realizzarla come vorrebbe, perchè è una sua creatura che non sempre viene apprezzata, di rado gli altri capiscono quanto impegno ha richiesto idearla, realizzarla, perchè realizzare un'idea è molto complicato, fa soffrire, ti delude, ti illude, ti tormenta quando non ti riesce, quando non è capita.

Nino Attinà è uno di questi artisti veri con un grande talento e una creatività inarrestabile, ribelle fin da piccolo, insofferente alle regole, ma spinto da un profondo desiderio di disegnare, a tal punto che, da bambino, disegnava sulle rocce, attratto dalla figura umana, quella che noi maggiormente interiorizziamo e la realizzava in modo formale che col tempo si è trasformata in un segno molto espressivo ed ha utilizzato tutti i medium possibili, dedicando ogni momento della sua vita all'arte e ancora oggi crea opere mirabili in continuazione, sempre più bravo, più creativo.

L'artista ha dipinto spesso anche la sua terra, coi suoi colori meravigliosi, rivelando quanto ne senta la lontananza e quanto di essa sia profondamente radicato in lui.

Ma il suo interesse si è rivolto soprattutto alla figura, spesso femminile, raffigurata di solito in posizione di riposo, seduta, di fronte ad un tavolino, in un bar. Le sue donne sono sempre abbigliate elegantemente, a volte con atteggiamenti che mettono in risalto la loro prorompente femminilità corporea, altre composte, rigide, impassibili, distanti, senza calore per la figura maschile che a volte si trova accanto, ognuno chiuso nel proprio mondo. Anche gli oggetti attorno paiono partecipare della vita dei personaggi, ne seguono le volute, ne riprendono il colore in un armonico connubio che avvolge anche le pareti. Il cagnolino che spesso appare accanto alle figure partecipa alla stessa atmosfera di ovattata distanza persino nell'espressione del musetto. I personaggi eleganti che Attinà dipinge appartengono al bel mondo della borghesia agiata e rappresentano una vita ricca, ma solitaria e con una grande incomunicabilità tra i personaggi, che mi ricorda Hopper.

Queste donne distanti, inarrivabili, annoiate, scontrose o provocanti che ti sbattono in faccia la loro provocante femminilità in atteggiamento dominante hanno accanto uomini che paiono sottomessi, altrove col pensiero.

Colpisce delle sue opere il contrasto tra questa rigidezza di postura, ulteriormente sottolineata dalle mani dalle dita allungate, allargate e rigidamente ferme e inattive, mentre la parte inferiore del corpo si contrae, ribelle, alla costrizione, quasi il corpo volesse liberarsi dal giogo imposto dalle regole.

Ma poi un gesto improvviso di una carezza fuggevole al cagnolino, rivela quanto ci sia di desiderio di affetto e di calore, nella ricerca col contatto caldo. Perchè le coppie sono allacciate, strette nel contatto, ma distanti e ognuna immersa nel proprio mondo, avidi di sé e poco generosi nel donarsi.

La drammaticità è data dal colore che è steso con coraggio espressionista ed è sempre perfettamente armonizzato, padrone della scena come in Matisse.

Le sue opere mi ricordano quelle della critica sociale dell'Espressionismo Tedesco, quando artisti come Dix o Schad, descrivevano criticamente il momento storico attraverso le espressioni delle figure che molto rivelano del loro carattere, dei vizi di una società destinata alla rovina.

Percepisco in Nino Attinà una sottile critica sociale ai tempi nostri, le figure rappresentate appartengono alla ricca borghesia abituata ad essere servita e coccolata, che non sa usare le mani, inermi e abbandonate, mentre spesso il corpo rivela contorcimenti che danno una chiara idea delle lotte interiori, dell'insoddisfazione.

L'artista ha fotografato la nostra società che è inerme nei confronti di una realtà ben diversa e che andrebbe affrontata con altro cipiglio e con ideali meno superficiali. È una critica sociale venata di rimpianto e malinconia, di rabbia, ma viene resa meno cruda dai suoi vividi colori, che spesso sottolineano la drammaticità dell'impianto scenico, statico, inerte, ma che inerte non è: è come una bomba prima di esplodere, nel momento che precede l'esplosione.

Ho intervistato Nino Attinà: è molto interessante conoscere il pensiero dell'artista.

Sono nato a Reggio Calabria nel 1953. Dopo gli studi artistici, prima al liceo artistico e successivamente all'Accademia di Belle Arti, diplomato con il massimo dei voti più la lode, nel 1977 mi trasferisco a Milano dove inizio ad insegnare presso il liceo artistico di Brera, proseguendo la mia attività artistica. Non c'è un momento particolare, so che mi è sempre piaciuto disegnare, “trascurando” le altre materie. Una cosa ha contribuito a fare le scelte che ho fatto, l'essere stato rimandato nella materia di Educazione Artistica e riparare a settembre... non seguivo le indicazioni dell'insegnante...a lui piacevano i collage e a me disegnare. Quando gli comunico la scelta che avevo fatto, si è messo a ridere...

Un'infanzia con poche regole, le costrizioni non le sopportavo (ero uno scugnizzo), sono stato la disperazione della mia famiglia. Ricordo dei grandi disegni che facevo col carbone che trovavo sulla spiaggia sulle superfici degli scogli (quando bigiavo la scuola...), erano momenti in cui osservavo il mare, i cieli in beata solitudine...

Si parte sempre dalla figurazione, nel mio caso, la figura umana, in tutte le sue sfaccettature, formali ed espressive, mi ha sempre affascinato (in fondo è la propria identità che emerge). Col tempo, senza che uno se ne accorga, si ritrova a scomporre le forme (codificate), creando nuove forme. Una motivazione non c'è. Succede. Non c'è un qualcosa di preordinato, ti ritrovi in una storia diversa. È sempre la continuazione di un filo che non si interrompe. Domani non so cosa succederà... Utilizzo tutti gli strumenti che mi sono più congeniali, dal colore ad olio agli acrilici, dalle chine agli acquerelli...naturalmente la matita grassa, un amore lontano. Sento la necessità di diversificare...Non c'è un tempo stabilito per realizzare un'opera, posso lavorarci un paio di ore come dieci ore o giorni... L'arte ha assorbito ed assorbe tutto il mio tempo, anche quando faccio altro, qualsiasi cosa può darmi un'idea che fisso immediatamente su di un taccuino, altrimenti se ne va... Da studente, inevitabilmente, vieni coinvolto da artisti del passato (una costante di tutti gli artisti).

Picasso per la scomposizione della forma e la totale interpretazione in assoluta libertà. Gauguin per la luce che emanava il suo colore e le ampie campiture, Matisse per il segno, Bacon. Gli Espressionisti Tedeschi... Nel tempo Kandisky, Klee, Rothko ed altri artisti della Scuola di New York. Afro, Vedova. È fondamentale guardare, sentire...Poi se qualcuno ha qualcosa da dire la manifesta con la propria individualità (siamo unici!). Altrimenti si scimmiotta... Sono passati già alla storia quegli artisti che hanno determinato una rottura radicale con quello che era “consolidato” nel tempo...Li considero gli “spartiacque”. Non riesco a vedere chi dei contemporanei ci sarà tra 100/200 anni. Sarei un indovino!! Apprezzo tutti i linguaggi espressivi, purché siano autentici.

Non sopporto mistificatori e “nipotini”, non ha senso “concettualizzare” cose già concettualizzate decenni fa. Milano la considero la mia città, quella della maturità (43 anni...), Reggio Calabria è la città degli affetti e dei ricordi che fanno parte di me... Il rapporto con i galleristi è molto cambiato rispetto agli anni 70/80, è venuta sempre meno quella complicità affettiva e di stima tra artista e gallerista (per fortuna ancora esiste qualche eccezione). Non ho progetti immediati per il futuro, stiamo vivendo una situazione particolare e difficile sotto tutti i punti di vista con questa pandemia.

Evoluzione? Non so cosa succederà domattina, so sicuramente che sarò diverso da come sono in questo momento... Nell'arte è tutto un continuo che si esaurisce con la fine dell'artista in questa “dimensione.

Nino Attinà, nato a Reggio Calabria nel 1953, dopo gli studi accademici, nel 1977 si trasferisce a Milano, dove, oltre a insegnare al liceo artistico di Brera, prosegue la sua attività artistica. Nel 1985 fonda, con altri artisti, il gruppo dei “I Mediterranei”, con le mostre che si sono succedute dopo quella inaugurale a Milano, Roma, Ulm, Siviglia e le ultime due a Reggio Calabria. Numerose le Personali inaugurate a Milano, Roma, Messina, Heilbronn, Berlino, molte le mostre collettive di una certa rilevanza come quella dal titolo “Ema”, organizzata dall'associazione culturale Italia-Giappone, che dopo l'inaugurazione a Milano, è stata presentata a Tokyo, Osaka, Kyoto e Kobe. Sue opere si trovano presso collezioni private e pubbliche in Italia e all'estero: Museo di Gibellina, MUSA, Museo della Grafica a Salò, Arte Italiana a Durazzo, Museo Vito Mele, S. Maria di Leuca. Hanno scritto sulla sua opera: Osvaldo Patani, Sergio Mandelli. Giorgio Verzotti, Carlo Franza, Carlo Arturo Quintavalle (cit. in catalogo nuove acquisizioni del MUSA), Lucio Barbera, Referenze, Spazio CIMA Roma, SergioMandelli Arte Milano. Diverse pubblicazioni da parte di quotidiani e riviste specializzate: Gazzetta del Sud, Quotidiano della Calabria, Paese Sera, Repubblica, ArteCultura, Bianco & Nero, Archivio e quotidiani tedeschi e giapponesi.

Nino Attinà vive e risiede a Milano, ove ha il suo studio.