-Sono la baronessa Elisabeth Von Hutterbrot, con chi ho il piacere di parlare?
Von Hutterbrot, me l’aveva anche ripetuto, ma la seconda volta, si vedeva, era indispettita. Io avevo risposto candidamente Gianni Rossi, forse quella semplicità l’aveva delusa. Era una donna di una certa età, ancora bella e vitale. I capelli biondo-grigio erano raccolti con fine eleganza in una piccola cipolla e il suo viso appariva luminoso e curato. Colpivano gli occhi che erano bellissimi, come lame d’acqua turchesi incastonate tra rocce ambrate. Con lei c’era anche un’altra donna, questa era molto più giovane, scura di capelli e con lo sguardo protetto da occhiali da sole vistosi, da vamp. Si muovevano quasi danzando, avvolte in parei dai colori armoniosi. Parlavano e scherzavano in tedesco. Entrambe erano scalze.
Certo, pensai, arrivare sull’isola e incontrare una baronessa austriaca non è male come inizio. Mi tornò in mente Glauco quando cercava di mitigare le mie ansie: “...vedrai che bella isola, pochissima gente e tante storie. Come piace a te”.

Avevo deciso di mollare la grigia vita cittadina e andare via. Ne avevo abbastanza delle menate della mia tipa e dei casini al lavoro. Volevo concedermi un periodo in solitudine da qualche parte, lontano da tutto, per riflettere. Per questo cercavo un luogo isolato. Un mio amico, il mitico Glauco, nel nostro gruppo sicuramente il più esperto in viaggi alternativi, mi aveva detto: “Per te ci vuole l’isola di Furni”. Io all’inizio l’avevo guardato un po' dubbioso, ma avevo lasciato che quel nome risuonasse dentro di me per qualche tempo. Avevo indugiato ancora un po' e alla fine mi ero deciso: riempito lo zaino con quattro magliette e un libro di Eraclito, ero partito. La tentazione di abbreviare il percorso usando un aereo mi balenò nella mente, ma Glauco a riguardo fu più che tassativo: un’isola in mezzo al mare si raggiunge solo in barca. Per questo il viaggio fu lungo e a tratti faticoso, con scali e risalite, arrivi e partenze. Soprattutto attese infinite. Fino all’ultima, quella a bordo di un caicco malandato grazie al quale percorsi l’ultima tappa e giunsi all’agognata isola.

Furni è una minuscola isola dell’Egeo, lontana da tutte le rotte turistiche, così piccola da non disporre neppure di un molo. Dal versante orientale, nei giorni ventosi, si può vedere la costa turca. Le barche in arrivo possono sì avvicinarsi alla riva ma mai attraccare e devono attendere che la gente del posto entri in acqua e crei una catena umana per scaricare bagagli e aiutare i nuovi arrivati. Il villaggio è costituito da una doppia fila di piccole case bianchissime disposte una accanto all’altra, a pochi metri dal mare. Tra di esse è riconoscibile la taverna, tradizionale punto di incontro della gente del posto.

Fu quello il luogo verso cui, una volta a terra, istintivamente mi diressi. Mi ritrovai così di colpo in mezzo a una piccola folla vociante e allegra, un mix di persone appena arrivate e parenti lì ad attenderli. In mezzo a quella atmosfera così gaia e diversa da quella di casa, incontrai la baronessa Von Hutterbrot. Von Hutterbrot, me l’aveva anche ripetuto, ma la seconda volta, si vedeva, era indispettita. Io avevo risposto candidamente Gianni Rossi, forse quella semplicità l’aveva delusa. Era una donna di una certa età, ancora bella e vitale. I capelli biondo-grigio erano raccolti con fine eleganza in una piccola cipolla e il suo viso appariva luminoso e curato. Colpivano gli occhi che erano bellissimi, come lame d’acqua turchesi incastonate tra rocce ambrate. Con lei c’era anche un’altra donna, questa era molto più giovane, scura di capelli e con lo sguardo protetto da occhiali da sole vistosi, da vamp. Si muovevano quasi danzando, avvolte in parei dai colori armoniosi. Parlavano e scherzavano in tedesco. Entrambe erano scalze. Certo, pensai, arrivare sull’isola e incontrare una baronessa austriaca non è male come inizio. Mi tornò in mente Glauco quando cercava di mitigare le mie ansie: “...vedrai che bella isola, pochissima gente e tante storie. Come piace a te”.

Attesi il mio turno per bere qualcosa senza perdere di vista le due donne. L’austera baronessa sfoggiava un anello d’oro con lo stemma, di quelli che si usavano un tempo sigillare buste con la ceralacca...
-Gianni Rossi, a suo servizio.
Avevo voluto scherzare come posseduto da uno spirito comico un po' fuori luogo di cui però mi ero subito vergognato. Purtroppo, non mi venne dato il tempo di correggere il tiro perché le due signore, incuranti di me, si erano nel frattempo allontanate. Partenza falsa avrebbe detto Glauco. Gli avrei risposto che la stanchezza a volte fa dei brutti scherzi in più in quel momento avevo sete e una gran fame. Mi sarebbe piaciuto anche sapere dove avrei passato la prima notte. Impossibile essere lucidi. Feci un lungo respiro e guardando l’oste indaffarato dietro al banco pronunciai le prime parole che mi passarono per la testa.
-Una birra, per favore.

Alla fine, fu proprio lui, l’oste, a offrirmi una camera. “Una sistemazione provvisoria” - disse - qui sopra la mia taverna. Nei prossimi giorni troveremo di meglio”. Si chiamava Theophilos, Teo per gli amici. Dopo avermi fatto la sua proposta si era rivolto a un ragazzino accanto a lui intento a lavar bicchieri - presumibilmente suo figlio - e gli aveva detto qualcosa in greco. Questi aveva fatto uno scatto verso di me, preso il mio zaino e subito accompagnato nel retro dell’edificio, dove una ripida scala in calce bianca conduceva alla camera. Nel frattempo, si era fatta sera. C’era una luna molto grande e luminosa e un gran silenzio rotto qua e là dalle voci nelle case intorno o dall’abbaiare di cani lontani.

La camera era piccola e umida. Quando il ragazzino accese la luce un grosso geco si mosse sul soffitto spostandosi di qualche centimetro. Non c’era il bagno, solo un secchio pieno d’acqua e degli asciugamani poco invitanti. Cercai di chiedere spiegazioni alla mia piccola guida e lo feci a gesti. Lui, che nel frattempo si era messo sull’attenti tenendo il palmo della mano aperto e teso, evidentemente in attesa di una mancetta. Scoprii solo più tardi che il bagno c’era e si trovava in fondo alla scala, a piano terra. Cercai in tasca una moneta e vidi un sorriso spuntare sul viso del ragazzo, subito dopo ci congedammo con un timido saluto. Quando fui solo sentii piombarmi addosso tutta la stanchezza del viaggio. Con fatica riuscii a svuotare lo zaino, a mettere il libro di Eraclito sul comodino e a riordinare i vestiti. Poi chiusi la persiana, testai il grado di sfondamento del letto e dopo essermi sciacquato la bocca con l’acqua del secchio - che pareva acqua di mare - finalmente mi allungai sul letto. Stremato, chiusi gli occhi.

Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, guardai l’ora, erano le tre. Rimasi per un attimo in ascolto del silenzio: era totale. Solo allora mi accorsi di aver lasciato la luce accesa. Il geco sopra di me non si era mosso. Mi sentii pervadere da un profondo senso di gratitudine per essere lì, su quell’isola, curioso di tutto quello che il nuovo giorno mi avrebbe portato. Aprii a caso il mio libro: I morti ritornano e sono vivi. Eraclito. Spensi la luce ma nonostante la stanchezza faticai ad addormentarmi. Scosso da pensieri e da una improvvisa inquietudine, rimasi così per un tempo che mi parve infinito. Poi, ad un tratto, crollai.

Mi svegliai spaesato, non riuscivo a capire dove mi trovavo. Dalla persiana filtravano i raggi di un sole che si preannunciava già alto e caldo. Il geco non era più al suo posto ma molto più in là e questa immagine curiosamente mi diede il senso del tempo riportandomi alle ore precedenti, al mio arrivo all’isola, alla baronessa austriaca e la sua bella nipote, che si chiamava… Come si chiamava? Ma chi poi aveva detto trattarsi della nipote? Possibile che mi fossi immaginato tutto? Un miagolio stridulo interruppe le mie congetture, vidi un gatto nero ai piedi del letto. “E tu? Da dove salti fuori?”, dissi allungando una mano con cautela. Il felino isolano evidentemente mi aveva seguito la sera prima e si era nascosto... da qualche parte in camera... o forse era rimasto intrappolato.

Aprii la finestra e lasciai la luce invadere la stanza. Mi lavai la faccia con l’acqua del secchio, indossai una maglietta pulita e uscii scalzo. Un paesaggio scintillante di orti, piante aromatiche, ulivi e alberi di agrumi a perdita d’occhio, mi accolse in tutta la sua grandezza. Sullo sfondo, come una quinta teatrale dipinta, un muraglione di rocce aride abbracciava la parte alta del villaggio. Scesi le scale già surriscaldate dal sole e svoltai verso il mare che lì, a pochi metri, pareva attendermi. La taverna era già aperta ma al banco non c’era nessuno. Dei numerosi tavolini della sera prima sembravano esserne rimasti solo alcuni, tutti vuoti, eccetto uno dove ora sedeva una donna con un cappello di paglia che non riconobbi subito perché rivolta verso il mare. Lungo la spiaggia c’erano anche altre persone, tra queste un pescatore intento a rammendare la sua rete e una donna con un bambino, probabilmente suoi congiunti. L’atmosfera pacifica dell’inizio del giorno era animata dalle loro voci pacate mescolate allo sciabordio regolare delle onde.

Continuando la ricerca di un caffè, con mia grande sorpresa, vidi dietro al bancone un uomo disteso a terra e ne fui spaventato. Quando però sentii russare sorrisi e capii trattarsi di Theophilos che aveva probabilmente esagerato con l’Ouzo, la bevanda forte più diffusa sull’isola. Chissà, forse avrebbe dormito ancora per qualche ora ma io urtai per sbaglio una cassetta piena di birre vuote e vidi i suoi occhi aprirsi allarmati. Dieci minuti dopo mi sedetti ad un tavolo e Theo mi portò personalmente una tazza di ottimo caffè alla turca. Avevo appena iniziato a sorseggiarlo con calma guardando la linea dell’orizzonte marino quando una voce ruppe l’incantesimo.
-Buongiorno!
-Buongiorno! - risposi rivolto alla donna seduta a pochi metri da me.
-Tu sei… sei…
-Sabine, ricordi? Ci siamo visti ieri sera - rispose togliendosi il cappello con gesto teatrale e liberando la folta chioma corvina.
-Oh sì, certo che mi ricordo. E la baronessa? Come sta? - aggiunsi emozionato.
-Mia nonna Elisabeth? - rispose ridacchiando la donna.
-Sì, la baronessa Elisabeth - ripetei io con tono deferente.
-Mia nonna è morta da più di dieci anni ormai…- e rise questa volta apertamente.
-Considerati tra i fortunati! - aggiunse alzandosi in piedi e porgendomi la mano.
Sarebbe bastato un baciamano? Mi chiesi, emozionato... prima di stringerla.
-Scusa, aiutami a capire, io ieri ho parlato con una signora... che…
-Non sono in molti quelli che riescono a vederla. Spero che la cosa non ti spaventi. D’altronde è comprensibile, nessuno è mai riuscito a credere che lei si sia trasformata in un... in un...
-Fantasma? - chiesi sentendo un brivido corrermi lungo la schiena.
-Ecco, sì, diciamo così... anche se la realtà delle altre dimensioni è molto più semplice e naturale di quello che si pensi.
-Mi stai prendendo in giro o…?
-Mai stata più seria. Ma dimmi tu piuttosto... come mai sei venuto in questa isola sperduta?
-Io stavo cercando...

In quel momento giunse al tavolo un ragazzone moro e sorridente, a torso nudo. Salutò e rivolgendosi alla donna disse qualcosa che non capii, un po' perché teneva la voce bassa e un po' perché inizialmente mi parve greco. Lei però - e questo mi fu chiaro - gli rispose in tedesco. Non riuscii però a capire chi fosse quel tipo giunto così all’improvviso, probabilmente il suo amore, pensai, o forse no, non parevano intimi, lui era arrivato, non l’aveva neppure abbracciata o baciata e anche ora, si vedeva che le stava a distanza e…
-Noi andiamo a farci un bagno alla spiaggia bianca! È un paradiso. Vuoi raggiungerci?

Disse lei, come se si potesse parlare di fantasmi e con la stessa naturalezza, subito dopo, invitare qualcuno a fare un bagno... Sì, conclusi, non poteva che essere il suo ragazzo quel bellimbusto e sentii crescere in modo incontrollato dentro di me una gelosia terribile, lo osservavo in piedi lì davanti a me, tutto muscoloso ed abbronzato, io che potevo esibire solo il mio fisico flaccido e bianchiccio, mentre lui, lo stronzetto, continuava a guardarmi e a sorridere con aria di sfida, con una espressione a dire il vero un po' ebete che però non mancava di provocarmi. E di ferirmi. Finii il mio caffè amaro e mi alzai.
-Non ho ancora fatto programmi- dissi mal celando un orgoglio che mi accecava al punto da non accorgermi che quei due, nel frattempo, si erano già incamminati verso la spiaggia.
-Ciao! - rispose Sabine, sorridendo - L’isola comunque è tutta qui, ci incontreremo ancora - aggiunse facendomi un cenno da lontano con la mano.

Li seguii ancora per qualche istante con gli occhi e li vidi giungere alla fine della baia. Poi decisi di tornare alla taverna. Theophilos aveva appena sfornato una teglia di Moussakà e vedendomi arrivare mi aveva sorriso. “Ho bisogno di bere qualcosa di fresco - dissi io. “Vino greco! - rispose lui senza esitare.

Fu lì che mi accorsi che sopra la mia testa pendevano delle scatole fatte di rete dove erano stesi grossi polipi di varie misure e colore. Due gatti seduti composti ai miei piedi osservavano miagolando il fluttuare di quei contenitori odorosi.
-Cosa fate con questi polipi? - chiesi curioso.
-È il nostro modo di prepararli per l’aperitivo della sera - rispose orgoglioso Theophilos. - Il sole li frolla al punto giusto eliminando l’acqua e aumentandone il gusto. Alla sera li grigliamo velocemente sulla pietra e poi li tagliamo a pezzetti e li serviamo con olio e una spruzzatina di limone. Questa sera proverai, poi non riuscirai più a farne a meno”, aggiunse sorridendo.

Mentre Theophilos mi descriveva la prospettiva di quelle delizie serali, svuotai di slancio due bicchieri di vino. Qualcosa in lontananza aveva catturato la mia intenzione e non sapevo se gioirne o preoccuparmi: il campione, probabile compagno di Sabine, stava tornando verso il villaggio. Cosa era successo? Bevetti un terzo bicchiere di vino ancora più velocemente sotto lo sguardo divertito di Theophilos e notai dai suoi capelli svolazzanti che si era alzato il vento. Mi voltai e vidi che il mare era completamente cambiato, al mattino calmo e setoso ora tutto increspato e pieno di onde. Ai tavolini si erano nel frattempo anche materializzate altre persone mai viste prima. Decisi di assaggiare la Moussakà. E lo feci non solo per gola ma anche per Glauco. Il mio amico viaggiatore diceva sempre che quando si è in giro e monta il panico o l’ansia e non si sa bene cosa fare, bisogna mangiare qualcosa, fermarsi e mangiare. Funziona sempre, diceva. Quasi sempre, aggiungeva poi, ridacchiando.

Al quarto bicchiere di vino – va detto, non erano grandi- e alla seconda porzione di Moussakà, mi feci coraggio e chiesi a Theophilos chi fosse il misterioso accompagnatore di Sabine. “Nessun mistero - rispose sorridendo. Sono cugini”. La risposta mi colse di sorpresa e non feci in tempo a formulare la nuova domanda perché proprio in quel momento arrivarono altri avventori e Theophilos dovette congedarsi frettolosamente da me per dedicarsi a loro. Ma dopo pochi minuti tornò. “Si chiama Stefan. È una bravo ragazzo. Non so dove stia di casa durante l’anno ma d’estate, caschi il mondo, lui è qui. E si ferma a volte a lungo, anche diversi mesi. Aiuta la madre, frau Inghe che gestisce l’unico negozio di alimentari del paese. Se non la dovessi trovare chiedi de “la tedesca”, tutti sanno dov’è”. E tornò a lavare i piatti con uno straccio fetido appoggiato sulla spalla.

Temporaneamente saziato ma allo stesso tempo stuzzicato da tutte quelle informazioni decisi di appartarmi e tornare nella mia stanza. L’interno della casa era piacevolmente più fresco rispetto a fuori e lo sbalzo di temperatura mi procurò un piacevole torpore. Mi sedetti per qualche minuto sul letto pescando a casaccio nel libro di Eraclito: L’intima natura delle cose ama nascondersi. Eraclito.

Controllai la posizione del geco, che nel frattempo era tornato nel posto della sera prima, e mi distesi sul letto addormentandomi all’istante.

Fui svegliato dal fragore del mare, guardai l’ora: erano le quattro. Quando uscì dalla stanza notai che il cielo non era più azzurro ma solcato da nuvole di ogni misura. Si era alzato un gran vento e si capiva che da qualche parte stava arrivando un temporale. In spiaggia era da poco giunto un caicco pieno di gente e tra le voci umane e il fragore delle onde si era creata una gran concitazione. Tre uomini barbuti, pescatori ben noti dell’isola, stavano in piedi a bordo della barca e dirigevano le operazioni. In acqua c’erano quattro donne, tutte di bassa statura, vestite di nero e agitatissime. Facevano la spola con la riva trasportando sulla testa ogni sorta di merce, dai cesti di pomodori alle valigie più pesanti. Dalla spiaggia continuarono a giungere altre persone, riconobbi tra loro molti dei clienti della taverna, tutti ridevano eccitati, parevano ragazzi a una festa di adolescenti. L’arrivo del caicco era in effetti l’evento clou del giorno. Non c’erano turisti e forse per questo non mi fu difficile notare in mezzo a tutta quella calca una donna vistosamente colorata. E se non fosse stato per la confusione avrei giurato che per un attimo lei mi avesse rivolto lo sguardo e mi avesse addirittura sorriso... ma non poteva essere, doveva trattarsi di una allucinazione dovuta al sole o forse a tutti quei bicchieri di vino resinato. Accanto a lei però riuscii a distinguere anche la presenza di un’altra donna, un po' più alta, che teneva con una mano un bastone e con l’altra, saldo in testa, il suo cappello di paglia. Improvvisamente alzò il bastone e mi fece un segnale.
Sì, stava salutando proprio me. Era la baronessa.

L’immagine però svanì dopo poco. Quando la cercai disperatamente nella calca e vidi solo Sabine provai quasi sollievo perché la sua immagine mi fece sentire più ancorato alla realtà. Aiutai a trasbordare i bagagli dei nuovi arrivati e mi divertii a guardare gli isolani che non smettevano un attimo di chiamarsi ad alta voce, rumoreggiare e ridere. Ci ritrovammo tutti un’ora dopo a bere vino alla taverna e finalmente potei mangiare i deliziosi stuzzichini di polipo arrostito, una specialità che seguitai ad apprezzare e divenne una consuetudine per tutto il tempo che rimasi sull’isola.

-Allora quando il nostro viaggiatore misterioso rivelerà la ragione della sua visita a Furni? - udii la voce di Sabine farsi vicina.
-Nessun mistero. Mi spiace deluderti. Volevo staccare con la solita vita. Un amico mi ha consigliato questa piccola isola perché sapeva…
-Di Eraclito?
-E tu come sai di questa mia passione?
-Beh, non è difficile. Non ti stacchi mai da quel libro di aforismi... Sapevi che lui veniva qui in vacanza?
-Non dirmelo! – risposi.
-Sì, è proprio così. Lui non lo rivelò mai. Ma ci sono altri suoi contemporanei che lo hanno scritto, non ci sono dubbi… E poi c’è stato quel ritrovamento importante, una nave con il suo carico di anfore. L’hanno trovata proprio…
-Beviamo alla salute di Michalis e della sua famiglia che anche quest’anno è tornata a Furni! - urlò a quel punto Theophilos già barcollante dietro al banco.
-Alla salute! Alla salute! - risposero tutti i presenti in coro.
-Alla salute del nostro misterioso visitatore – disse a quel punto Sabine guardandomi dritto negli occhi.
-Insisti?
-Sei elusivo. Non penserai che creda alla storiella della vacanza vero?
-È importante saperlo? Sono venuto per rilassarmi un po'. Un amico mi ha detto che questa isola è particolarmente tranquilla e…
-E… cosa? Ah! Vedi che c’è dell’altro? Voi italiani che venite a Furni avete sempre un progetto nascosto.
-Mah, non so di cosa parli… sai?
-Lo dice sempre anche la nonna… si vede dal tuo sguardo rapace… anche tu stai cercando…
In quel momento la folla accalcata di fronte al banco della taverna si mosse e come trascinata dalla corrente Sabine scomparve alla vista.

La cercai per tutta la sera ma non riuscii a trovarla, sembrava essersi volatilizzata. Theophilos mi prese per un braccio cercando di allungarmi un altro bicchiere di vino. Riuscii fortunatamente a raggiungere la mia camera ma ad attendermi c’era una novità inquietante: qualcuno in mia assenza era penetrato nella stanza e l’aveva messa a soqquadro.

Vestiti, libri, documenti, le mie cose erano sparse sul pavimento. I cassetti dell’unico armadio erano stati sfilati e rovesciati e anche nel bagno ogni angolo era stato visibilmente ispezionato. C’era da chiedersi ora quale potesse essere il significato di quell’intrusione, soprattutto me lo chiesi quando scoprii che i documenti e i soldi erano ancora al loro posto. Chiunque aveva deciso di frugare tra i miei averi aveva altro in mente. Ma cosa?

Mi distesi sul letto completamente vestito ma anche questa volta faticai a prendere sonno. Feci in tempo a udire le prime voci della gente del paese in movimento e capii che era giorno. A quel punto sprofondai in un sonno profondo, i ricordi cominciarono a mescolarsi ai sogni, voci di bambini continuarono ancora per qualche minuto a stabilizzare la mia percezione del luogo poi udii un ronzio che divenne sempre più forte fino a diventare un rombo, come un tuono che non si placa. La casa cominciò a tremare, a tremare fino a quando, una tremenda esplosione mandò in frantumi la finestra. Corsi istintivamente fuori e discesi i gradini della scala a quattro a quattro. Un’enorme nube grigia impediva la vista del mare e si sentivano voci concitate in diverse lingue. Mi nascosi dietro ad un mucchio di vecchie reti da pesca e da lì vidi decine di uomini in divisa correre tra le case, alcuni sfondare le porte con il calcio del fucile, altri trascinare fuori i vecchi e le donne lasciando che i bambini li seguissero terrorizzati in lacrime. Ma cosa diavolo stava succedendo? Mi chiesi angosciato spiando la scena con il crescente timore di essere scoperto.

-Arraffate tutto quello che trovate! - urlò un milite a pochi passi da me. Non abbiamo tempo da perdere! - aggiunse un suo commilitone.
Li guardai con crescente curiosità, si trattava certamente di soldati italiani ma non riuscivo a capire come mai erano lì. Avevano delle strane divise e calzature in cuoio non moderne. Pensai a un set cinematografico. La scena appariva realistica, gli attori parevano sapere il fatto loro, almeno da come si muovevano nel villaggio. Allo stesso tempo mi preoccupai per Theophilos, per gli altri amici della taverna, per Sabine. Ci furono altre esplosioni, mi spostai di una decina di metri in un disperato tentativo di trovare un riparo migliore. Attraverso un muro di pietre sbrecciate vidi altri soldati, avevano divise diverse e urlavano frasi incomprensibili. Poco più in là ne vidi altri trascinare delle capre morte e strattonare un povero vecchio vestito di nero che continuava a cadere e veniva costretto a rialzarsi una scena brutale.

Cominciai veramente a temere per la mia incolumità. Poi si accorsero di me e quello fu davvero un brutto momento perché cominciarono a spararmi addosso. Se ancora avevo dei dubbi rispetto alla realtà di quello che stavo vivendo, scomparvero in quell’attimo.

Cominciai a urlare con tutta la forza che avevo in corpo. Due di loro mi furono addosso, sentii l’odore dei loro corpi sudati, l’unto delle loro armi, la polvere, le urla. Feci in tempo a vedere un altro uomo in divisa avvicinarsi a me. Si inginocchiò, si tolse il cappello e i guanti e con questi ultimi mi percosse il volto ripetutamente urlando qualcosa di incomprensibile in tedesco. Ecco, si, ora avevo capito che anche tutti gli altri erano tedeschi e…
Mi svegliai urlando, completamente sudato, scesi di slancio dal letto e corsi istintivamente fuori a controllare la situazione: tutto era fortunatamente intatto e pacifico. Nessun soldato brutale, niente bombe, solo qualche gatto e il ronzio ipnotico e confortante delle cicale. Avevo fatto un brutto sogno.

“È la signora Inghe?”. Avevo chiesto rivolgendomi in inglese ad una anziana signora che davanti a me stava impilando senza alcuno sforzo alcune pesanti cassette di pomodori maturi. Quel pomeriggio, visto il tempo un po' incerto, avevo deciso di rimandare ancora il bagno nel mare e mi ero messo a cercare il negozietto della “tedesca”. La donna visibilmente in là con gli anni ma con i capelli ancora scuri, tirati indietro e legati in modo molto naturale, parve inizialmente non accorgersi della mia presenza. Solo quando le passai a fianco e feci per entrare nel negozio mi squadrò con un’occhiataccia, ma non rispose al mio saluto. Per un attimo mi parve di rivedere gli occhi chiari ed iridescenti della baronessa. Avendo capito di non avere a che fare con un locale si rivolse a me con un inglese decisamente migliore del mio. “Buongiorno! Cosa posso fare per lei?”. Poi, quasi prima che potessi rispondere, aggiunse in italiano.
-Lei è il nuovo ospite italiano, cosa desidera?
-Non sapevo di essere già così famoso a Furni – risposi incuriosito.
-Cosa vuole, qui non succede mai nulla, l’isola è piccola…
Mi rispose senza smettere di spostare cassette di frutta e verdura da un lato all’altro del negozio. Il locale era fresco e profumato di spezie e di frutta, pieno zeppo di sacchi di granaglie e mensole stipate di scatolette e bottiglie di ogni misura. Dietro al bancone ricavato da un’asse levigata dal tempo c’era un grande specchio e alcune foto incorniciate tra le quali non potei non notare quella di un giovane ufficiale della Wermacht. In un’altra invece c’era un’immagine di un Pope Ortodosso che sembrava osservarci con una espressione divertita.
-Fate panini? - chiesi sentendomi un po' come un goffo turista.
-Panini? Che cosa intende lei per panini? - rispose la donna, subito insofferente.
- Pane fresco con… - aggiunsi io.
-Pane c’è ma è di una settima fa. Qui il forno funziona una volta alla settimana. Poi abbiamo della feta e sgombri in scatola. Se si accontenta… - e mi guardò con un sorrisetto ironico.
In quel momento fece la sua comparsa il giovane presunto cugino di Sabine, entrò come una furia dentro al negozio e senza degnarmi di uno sguardo si mise a parlare in tedesco con la donna e io fui così immediatamente escluso dalla conversazione.

-Was will dieser Herr? Mir scheint, er sei auch einer, der zu viele Fragen stellt...
-Ruhig, Stefan, ich glaube du musst dir keine Sorgen machen...
-Ich weiss nicht. Dort in der Taverne haben sie mir gesagt, dass er neugierig hintere Sabine her sei. Möglicherweise muss er wissen, dass er hier keine Chance hat...
-Aber nein, Stefan…

-Cosa vuole questo signore? Mi sembra che sia uno di quelli che fanno un po' troppe domande.
-Tranquillo Stefan, non credo ci sia da preoccuparsi.
-Mah, non so. Lì alla taverna mi hanno detto che è curioso e sta molto addosso a Sabine. Forse sarebbe meglio fargli capire che non è il caso di insistere.
-Ma no Stefan.

Rimasi comunque lì e tornai a guardarmi intorno. Sul soffitto pendeva un grande ventilatore a pale ma era immobile. Il negozio pareva uscire da un altro tempo, si capiva che nessuno si era mai preoccupato di imbiancare quei muri, ciò nonostante, il locale risultava abbastanza pulito, non sordido. La merce esposta caoticamente, aveva un suo ordine. Chissà chi era quell’ufficiale tedesco nella foto? Beh, forse si poteva intuire. In ogni caso era curioso trovarlo lì in quel remoto del Mediterraneo, con la sua elegante divisa. Sapevo che non avrei mai trovato il coraggio di chiedere di più, almeno non alla signora Inghe, davanti a me, in quel momento pareva un po' alterata.

-Aber Mama schau, siehst du nicht, dass er was sucht? -Vielleicht sucht er die schönsten Tomaten...
-Dir scheint das Spiel mit dem Feuer zu gefallen! Du weisst wie hinterlistig die Italiener sind. Es scheinen alle nur Interesse an einer Sache zu haben...
-Ach Stefan, mach dir keine Sorgen! Du scheinst zu vergessen, dass wir in all den Jahren die einzigen waren, die den Schatz gefunden haben...
-Stimmt! Aber es fehlt die letzte Kiste...
-Ich weiss, ich bin ja nicht blöd... Ich will auf keinen Fall, dass jemand schneller ist als wir...
-Wir müssen Geduld haben. Wir dürfen jetzt nicht alles verderben… Wir wissen, dass sie im Haus des alten Dimitri ist… er hat mir anvertraut, dass er es verkaufen will und von der Insel weggehen...
-Dass sagt er aber schon seit 10 Jahren...
-Er ist alt und ein Wrack...
-Mir hingegen scheint er jedes Jahr jünger und fitter... Jedes Mal wenn er in die Taverne geht spendiert er allen, was sie wollen... Vielleicht hat er ihn schon selber gefunden, unseren Schatz?
-Entschuldige Stefan, ich muss nach meinem Klienten schauen…. Oh! Er ist weg!
-Sehr verdächtig! Gib mir recht, Mama…den müssen wir im Auge behalten…

-Guardalo mamma, non vedi che sta cercando qualcosa?
-Forse sta scegliendo i pomodori migliori…
-A te piace scherzare con il fuoco! Tu sai quanto infingardi sono gli italiani. E sembrano tutti interessati alla stessa cosa…
-Oh Stefan non ti preoccupare. Sembri dimenticare che in questi anni siamo stati gli unici beneficiari del tesoro...
-Sì.. sì… ma manca l’ultimo baule…
-Lo so, non sono rintronata.
-Non voglio che qualcuno arrivi prima di noi…
-Dobbiamo avere pazienza. Non possiamo mica rovinare tutto... Sappiamo che è nella casa del vecchio Dimitri mi ha già detto che vuole vendere e andarsene dall’isola…
-È dieci anni che lo ripete…
-È vecchio e malandato.
-A me sembra ogni anno più arzillo. Quando viene da Teo alla taverna offre sempre da bere a tutti. Non è che l’ha già trovata lui la nostra cassa?
-Scusa Stefan ma devo guardare se il mio cliente ha bisogno di me... Oh! Se né andato!
-Troppo sospetto! Dammi retta mamma... quello lì va tenuto d’occhio...)

Visto il prolungarsi della conversazione di quei due decisi di rinunciare al panino e tornai sui miei passi non prima di aver abbozzato un saluto che però nessuno colse. Fuori, intanto, il tempo era migliorato, c’era una bella brezza tiepida che aveva spazzato via tutte le nuvole. E cominciavo a sentire i morsi della fame. Mi sarei accontentato di qualche fico e di un po' d’acqua. In fondo non avevo bisogno d’altro. Tornai fino alla camera dove recuperai il mio asciugamano e il mio libro. Fu nell’attimo in cui afferrai quest’ultimo che ripensai all’incontro con Sabine, alle sue pressanti domande e alle vacanze di Eraclito. Qualcosa non tornava: come faceva Sabine a sapere della mia passione per Eraclito se non ne avevamo mai parlato insieme? Il punto però era un altro, Sabine non poteva sapere dell’esistenza neppure del libro poiché quel libro non era mai uscito dalla mia camera. A meno che... a meno che non l’avesse visto proprio lì. Ma questa possibilità apriva scenari nuovi a dir poco sconcertanti. Una cosa però mi era chiara, ora era Sabine a dovermi dare delle risposte…