Da quando mia madre mi ha regalato una pianta di violetta africana al primo anno di università, ho sempre avuto una pianta o due in casa, e la violetta africana non manca mai, da mamma a figlia da diverse generazioni; ora piante di ogni tipo adornano quasi ogni stanza della casa.

Conoscere Mary Waite, per chi ama e apprezza la prodigiosa tradizione giardinistica anglosassone, è quasi calarsi in un racconto di Elizabeth Von Arnim, tante le qualità artistiche e l’amore smisurato per la natura in tutte le sue forme.

Nasce in una piccola cittadina della campagna inglese, della contea di Warwickshire e dopo una parentesi in Brasile durante l’infanzia, riprende gli studi a Londra laureandosi in italiano e francese. Sebbene abbia già un lavoro a Londra all’Academy Press, nel 1976 si trasferisce in Italia e inizia una nuova stagione di vita a fianco di Flavio Marcello con cui condividerà anche il lavoro nel campo editoriale. Nonostante l’impegno come editor per una rivista internazionale, il suo rifugio è un giardino nella campagna veneta dove coltiva erbe, fiori, alberi in una sorta di brolo: lì sperimenta e sviluppa quel senso estetico che la porterà a dipingere e fotografare soggetti botanici, flore, animali, sempre inseriti in paesaggi aperti dai colori intensi, sgargianti e vivaci.

Così me la immaginavo, mentre mi parlava, nel suo cottage tutto inglese in terra italiana, come una Gertrude Jekyll o una Beatrix Potter, ispirata ogni giorno da una nigella, una rosa tè appena sbocciata, una dorata Hemerocallis tra un manoscritto e l’altro da rivedere.

Ma la sua storia si fa più singolare quando racconta, con lo stesso entusiasmo che la contraddistingue, dai toni pacati ed eleganti perfettamente anglosassoni, di essersi trasferita dopo venti anni in un appartamento nel centro storico di una città piuttosto caotica e poco verde della pianura padana. “Un terrazzo di quaranta metri quadri!” Mi dice, con stupore, “sopra i tetti di Padova, da cui posso scorgere cieli fantastici, in tutte le stagioni” come un’osservatrice curiosa e mai sazia di nuovi soggetti per le sue creazioni. Il suo compagno Flavio è un perfetto esploratore botanico, una sorta di Robinson in città, che sa scovare le piante più rare anche nei giardini di quartiere, in vasi abbandonati di un’officina dismessa, nel greto di un canale durante una giornata di pioggia. Le riporta a casa ogni tipo di pianta, semi, bacche, bulbi che a volte rimangono senza nome per molto tempo perché anche qualche amico botanico non è sufficiente a soddisfare la loro sete botanica.

Ho subito pensato che se tutti i terrazzi di città contenessero la biodiversità di questa coppia così avventurosa ed entusiasta della vita, sorvolandola vedremmo un manto verde e risparmieremmo in condizionatori, guadagnando in bellezza e fantasia.

Tra un’acquisizione botanica e l’altra, Mary dopo aver seguito un corso di pittura ad olio con il maestro Bruno Gorlato all’Artelier di Padova, partecipa ad una collettiva Arte per Capire, si accorge della gioia “nel materializzare una sembianza dell’idea, in un insieme di colori per produrre qualcosa che prima non esisteva”. Olii, acquerelli, pastelli, tecniche miste, acrilici e collage sono le sue tante creazioni che sono mosse proprio da quel quadrato di giardino in cui prorompe la natura in oltre cento specie diverse, dall’acetosella alla vitis vinifera, ai grappoli di uva fragola che rimangono appesi fino ai primi brividi autunnali. Le officinali non mancano nell’orto di Mary e Flavio, dal timo di Segovia, alle mente, greca e romana, al levistico, al dragoncello messicano, come il mediterraneo elicriso. Tutto è possibile nonostante il clima per i due botanici appassionati che sperimentano anche piccoli alberi, perché amano la frutta colta dai loro piccoli tesori di verzura: ecco le mele tipo Fuji, il giuggiolo, il nespolo e le more, gli alchechengi, il Prunus cerasifera, il biricoccolo (un incrocio tra albicocca e susino), il Prunus dasycarpa, la dolce mela annurca e l’azzeruolo. Non mancano le esotiche: dal pepe giapponese, al profumato coriandolo, la svettante e colorata canna indica, il basilico artico, la rossa fitolacca che sparisce in inverno e deflagra da un tubero sotterraneo ogni primavera.

Questo lungo catalogo a prova di collezionista è impreziosito dai fiori più ricercati e diversi come le allegre gaure australiane, bianche e rosa intenso, da talee “trafugate” in un parco cittadino, la madreselva e diverse tonalità di ipomee, piccole rampicanti stagionali che formano campanule colorate dal bianco al blu al viola porpora addobbando il piccolo giardino pensile come dei festoni medioevali.

Insomma, la ricetta è l’occhio attento ed amorevole di Mary che qui trova il regno ideale dove scattare foto d’artista. Mi colpiscono i cieli che riesce a immortalare dietro le trasparenze vegetali, i ritagli e i ricami di petali protesi nell’aria, che sembrano farfalle. Questo piccolo giardino zoologico attira come nido di natura insetti e uccellini cittadini che qui si sentono benvoluti e apprezzati. Tornano, si fermano e attendono che Mary con la sua discrezione raffinata li possa rendere accessibili anche a chi, preso dalle frenesie quotidiane, non immaginerebbe che una città possa regalarci questo spettacolo vivente. Ho girovagato nel suo bel sito colorato e ricco di suggestioni estetiche, la sua figura in “ombra” campeggia nella bellissima apertura, un album d’antan e contemporaneo al tempo stesso, dove l’arte e l’afflato verso la natura contagiano chi ha la fortuna di incontrarla.