A due anni da Senso torna Guido Maria Grillo con un progetto nuovo e d’avanguardia, ma ancorato a radici antiche. Lasciamoci guidare dalle sue parole, alla scoperta dell’atteso EP che segue l’uscita del singolo: A chi tene ‘o core.

Ad un paio d’anni da Senso torni, donandoti e donandoci un orizzonte nuovo? Cosa puoi anticiparci del nuovo EP, in uscita a marzo?

A marzo saranno trascorsi esattamente due anni dall’uscita di Senso. Sembra un’eternità perché, nel frattempo, innumerevoli cose sono cambiate nelle nostre vite. La pandemia ci ha imposto un’inedita modalità dello stare al mondo e, probabilmente, ha influito in maniera significativa anche nell’evoluzione del mio percorso, sia artistico, sia personale.

Percepisco l’EP che uscirà a marzo come decisamente nuovo, eppure mi riconosco in ogni singola nota e parola. Circa un anno fa, ebbi una folgorazione: avevo sentore di essere ad un giro di boa, Senso aveva chiuso un ciclo, contiene canzoni che ho scritto anche diversi anni prima della sua pubblicazione, e rappresentò la celebrazione di un lavoro durato anni, oltre che una splendida avventura (l’orchestra, la produzione del Barezzi Festival, i concerti in teatri meravigliosi).

Un anno fa, capii di dover collocare la mia personalità ed attitudine in una contemporaneità da cui rischiavo di scivolare via. Ma la contemporaneità è subdola, lusinga con il luccichio delle mode e cela l’effimero. Nulla, nella mia vita, per mia stessa indole, è mai volto all’effimero, anche la più banale delle azioni quotidiane sottintende un’illusione di eternità. È per questa ragione, che ho sempre tentato di eludere certe correnti o mode, nonostante questo, in ambito artistico, sia delizia e croce (rigorosamente in quest’ordine).

Giunsi alla conclusione che la condizione più pura e credibile di affrontare la contemporaneità fosse recuperare le mie radici e ripensarle, evolvere conservando la memoria. È questa la genesi del nuovo lavoro.

Il primo singolo estratto (A chi tene ‘o core, N.d.R.) mescola dialetto, lingua italiana, elettronica ed eco mediterranee. Come ti sei trovato a “maneggiare” un mix così esplosivo?

Nella consapevolezza della necessità di essere me stesso, credibile e perfettamente a mio agio, rovistando nella memoria, iniziai a sperimentare il dialetto. Io non sono napoletano, ho origini miste, con una predominante influenza salernitana. Il dialetto salernitano è una sorta di napoletano “impuro” e, probabilmente, l’idioma che uso in queste canzoni è un bisticcio di sfumature che s’innestano sulla trama comune del dialetto napoletano puro. Inoltre, sono un grande amante della canzone napoletana classica, dunque ho sempre avuto una certa familiarità con la lingua.

Quando posai la penna sul taccuino e provai a canticchiare quel che avevo appena scritto, mi sembrò tutto assolutamente naturale, tanto da non capire come avessi potuto farne a meno, fino a quel momento. Il napoletano è in grado di sprigionare un lirismo, una malinconia struggente, una decadenza ed una passione inarrivabili. Mi stavo cucendo addosso un abito nuovo.

In fondo, penso che la mia attitudine al canto in italiano abbia sempre avuto un certo carattere “partenopeo”, nelle sfumature della melodia, nella dizione e nell’articolazione delle parole. Così, quel continuo dialogo tra italiano e napoletano, quella contaminazione che, a tratti, diventava fusione, mi apparve assolutamente fluida e spontanea.

Tutto questo, però, è assolutamente antitetico rispetto al passatismo e a certe operazioni ruffiano-nostalgiche; intende, piuttosto, affondare le radici in una storia, originaria ed originale, per poi tracciare un nuovo percorso personale, in grado di ritagliarsi uno spazio nella contemporaneità.

In questo movimento, ho conservato e fatto tesoro dell’esperienza della mia formazione: ecco, quindi, che s’intravedono sprazzi di elettronica, di rock ballads e suggestioni di musiche arabe. Tutte le musiche del sud sono indissolubilmente intrecciate tra loro, hanno radici comuni e una fratellanza di armonie e melodie, che appartengano alle sponde nord, sud, est o ovest del Mediterraneo. Per questa ragione, rappresentano un veicolo di contaminazione, integrazione e dialogo di inestimabile valore.

I videoclip che si accompagnano ai tuoi brani, sono opere d’arte a sé stanti. Come e quanto sei coinvolto nella loro realizzazione? Soffermiamoci, in particolar modo, sull’ultimo in uscita.

Sorrido perché, in realtà, i miei video sono quasi tutti home-made, realizzati da me medesimo con scarsissimi mezzi (di solito, uno smartphone di mediocre qualità). Ho imparato, negli anni, a fare i conti con quel che ho, a fare affidamento sulle mie possibilità, contenendo slanci utopici. Non sono del tutto convinto che questo sia l’approccio giusto, probabilmente, in qualche occasione, ho negato a me stesso scenari altri, ma sono così, in ogni ambito della vita, è un mio carattere irriducibile e, certamente, mi ha risparmiato la caduta libera in molte occasioni.

Il videoclip di A chi tene ‘o core si inserisce perfettamente in questo solco. È frutto della mia immaginazione e delle suggestioni che certi luoghi mi hanno offerto. È stato girato con uno smartphone, con l’aiuto della mia compagna, e montato da me. Avevo un’idea, delle immagini ricorrenti, alcuni riferimenti vaghi e tanta voglia di raccontare questa nuova storia, questa rinnovata dimensione contemporanea che ho appena raccontato. Ho pensato che il Sud, il mare, certi luoghi, che sono tutt’oggi teatro di sbarchi anonimi di viaggiatori speranzosi (come recita la didascalia in coda al video), fossero elementi sufficienti per tratteggiare con coerenza i contorni e l’emotività della canzone. Si tratta dei territori della Costa dei Gelsomini, affacciata sul Mar Jonio, tra cui quello di Riace, ben noto per le sue politiche di accoglienza e per una miserabile, ma perfettamente riuscita, operazione di smantellamento e mortificazione di un modello che aveva offerto al mondo una prospettiva possibile. In quei giorni, ho anche incontrato Mimmo Lucano che, in un profluvio di rammarichi e ideali, si è raccontato.

Volgiamo un positivo sguardo ai prossimi mesi e parliamo degli ipotetici concerti dal vivo che, certamente, seguiranno. Come li immagini dal punto di vista orchestrale e scenografico?

In questo momento, rispondere alla tua domanda richiede una significativa dose di ottimismo, scorta di cui, per natura, dispongo in modeste quantità. Eppure, chi fa il mio lavoro è necessariamente proteso in avanti: ogni volta che si scrive una canzone, si lavora ad un disco, si programma una pubblicazione, ci si rivolge al futuro con sguardo colmo di aspettativa e buoni propositi, dunque, ho appreso la lezione. La componente elettronica sarà affidata ad un “comparto programmazione” che già negli ultimi concerti mi ha supportato. Per quanto riguarda, invece, la componente strettamente live, confermerò certamente la presenza di Pierluca Cilli (contrabbasso) e Dario Caradente (ai flauti, soprattutto i bansuri, flauti indiani che abbiamo ampiamente usato nella produzione di queste canzoni e negli ultimi concerti). Io suonerò la chitarra elettrica, che è, poi, la colonna vertebrale di tutte le canzoni di questo EP. Il sound del live sarà decisamente fedele a quello del disco.

In che direzione ti piacerebbe espandere i tuoi orizzonti artistici, in futuro?

Sono davvero molto fiero di questo lavoro, pensato, scritto, arrangiato, suonato (tranne i flauti bansuri) e prodotto da solo, dalla prima all’ultima nota. Il napoletano mi ha spalancato una finestra su paesaggi, da me, del tutto inesplorati. Ha trascinato con sé, spontaneamente, melodie e armonie che mi appartengono da sempre, tipiche di certe musiche del Sud, grazie alle quali ho, altrettanto spontaneamente, solcato le correnti di tutto il Mediterraneo, spingendomi fino a lambire i lidi della cultura araba. Sento che possa essere un’esplorazione molto lunga e prolifica, percepisco la naturalezza con cui ho abitato certi suoni e certe melodie, con cui ho cesellato parole di una lingua mai usata, ma che “parlo” da sempre. Non credo di voler volgere la prua verso altre rotte, per ora, trovo che sia enormemente stimolante navigare queste, a lungo e senza limiti.