Ci domandiamo spesso se l’uso eccessivo del computer e di tutto quanto si può assimilare ad esso possa portare un mutamento della struttura fisica del nostro corpo, a furia di stare seduti alla consolle e di star piegati con lo sguardo al cellulare. Ci risponderanno i medici, i fisiatri, gli osteopati, gli oculisti. Ma che computer e cellulare abbiano già cambiato stile e ritmi di vita, abitudini, e soprattutto umore e carattere, non c’è forse bisogno dello psicologo, dell’antropologo o del sociologo per averne il forte sospetto.

Già prima della tragedia di questa pandemia, si stava affermando lo smart working, il lavoro agile, il lavoro a distanza e, con esso, la vita a distanza. Si parla addirittura di medicina a distanza. Già prima del Covid non si andava più in banca, all’ufficio postale, alla biblioteca, al supermercato. Il cambiamento è cominciato lentamente e insidiosamente, con la trappola della velocità e della comodità. Niente più cartoline o lettere d’amore: mail, sms e chat. Niente più passeggiate per guardare le vetrine e decidere cosa comprare, e niente più rientri a casa con l’ingombro dei pacchi: solo ricerche, acquisti on line con recapito a domicilio celerissimo. Si è arrivati al punto che la richiesta di un documento, un’operazione bancaria, il pagamento delle bollette e delle tasse si fa solo da casa.

E non sempre, come annunciato dai neofiti della semplificazione, è tutto veloce e facile, perché un’operazione banalissima deve passare attraverso un labirinto complicatissimo di parole segrete, di password, di sigle, di codici, di pin, di conferme, di dialoghi a distanza tra computer e cellulare. E tutto va fatto rapidamente se no il tuo immateriale interlocutore informatico, irremovibile, minaccia di toglierti il contatto. Inutile dire che i più giovani abituati alla frenetica velocità di videogiochi spesso sanguinari e di ispirazione vandalica, maneggiano i file con la stessa rapidità con la quale fanno a pezzi i ripugnanti mostri che gli vengono incontro feroci e bellicosi. Ma chi ha una certa età e ha appena imparato ad aprire e a chiudere la mail, a bighellonare e a scrivere fesserie su Facebook o a giocare a burraco con degli sconosciuti, è sempre a caccia di figli e di nipotini per affrontare le difficoltà di queste manovre a distanza.

Siamo così vittime di tante beffe e di tante imposizioni. La beffa più eclatante è quella della privacy da proteggere a costo di sacrifici enormi per ricordare tutte le parole chiave e tutti quiz che la proteggono. E ci sono le domande delle più cretine per verificare se sei proprio tu in linea o un impostore che vuole prendere il tuo posto. Le domande più frequenti nei programmi delle varie procedure sono del tipo: “Dove si sono conosciuti i tuoi genitori?”, “Chi ti ha dato il primo bacio?” “il tuo migliore amico”, cose che spesso ti devi inventare e che devi successivamente ricordare alla lettera. Così, i più smemorati hanno preso l’abitudine del ritorno alla agenda tradizionale dove appuntare i diversi passaggi segreti che tutti i programmi impongono. Qualcuno sostiene che sia un bene per noi anziani per tenere in esercizio l’elasticità del cervello come si fa con i cruciverba e l’enigmistica.

E poi - la beffa - in rete sanno tutto di te. Non puoi azzardare in Google una ricerca sulla storia della penna senza essere successivamente perseguitato per sempre da proposte di acquisto di penne di tutti i tipi, antiche e moderne, stilografiche e a sfera, di vetro o di finta piuma d’oca.

E che dire degli obblighi e delle spese che ti impongono. Un tempo si poteva vivere senza avere in casa la macchina da scrivere e una macchina fotografica. Oggi, hai voglia a tentare di fare la vita da eremita boscaiolo e scrittore a contatto continuo con la natura o quella del lupo solitario in un’isola deserta a scrivere poesie e a parlare con le lucertole! Hai voglia ad andare in alto mare a pescare mangiando disgustosi pezzi di merluzzo gigante crudo! Hai voglia a chiuderti in un convento di clausura tra preghiera e meditazione, per non sentire nessuno e vivere in continuo colloquio col Padreterno… Oggi, qualunque tipo di vita fai, qualunque sia il tuo censo, qualunque sia la tua razza, sei obbligato a comprarti il cellulare e a imparare ad usarlo. Non c’è stata, a rifletterci, nella storia dell’umanità uno strumento che abbia davvero reso uomini e donne tutti veramente uguali, tutti ugualmente schiavi, come il cellulare. Chissà che un filosofo, un predicatore o un sociologo non stia scrivendo un saggio, se non è stato già fatto, sull’ecumenismo universale del cellulare. Che te lo rubano è diventato l’incubo notturno ricorrente.

E adesso i convegni, i congressi, le presentazioni di libri, il teatro, i concerti, gli incontri di lavoro, le riunioni di condominio, i salotti mondani con the e pastarelle, si fanno in Zoom, restando a casa. Ci sono in questa abitudine indiscutibili vantaggi! Adesso non si perde più l’ombrello, quei maledetti dei piccioni non colpiscono più con le loro deiezioni il cappello mentre attraversi il cortile condominiale, non devi più scansare le imboscate dei lavavetri che ti puliscono il parabrezza della macchina a ogni incrocio, e puoi risparmiarti le previsioni meteorologiche, perché tanto non si esce più. Adesso puoi evitare le scarpe, ché ci sono le pantofole assai più comode. Adesso puoi fare a meno della gonna e dei pantaloni perché in Zoom abbiamo tutti una visibilità da mezzibusti. L’unica cosa di cui non puoi fare assolutamente a meno è il cellulare. Che tristezza!