Stelle e stellette; bollini verdi, premi ed etichette; forchette, gamberi e bottiglie. Ognuno ha il suo stemma in una jungla di riconoscimenti, eventi e trasmissioni televisive che richiamano un numero sempre maggiore di pubblico. Protagonisti sono loro, gli chef con il cappellone bianco mentre si muovono come libellule in cucine supertecniche, oppure semplicemente in giacca e cravatta davanti alle telecamere dei salotti ben frequentati della Tv. Ormai personaggi pubblici, qualche volta addirittura miti delle massaie, ma soprattutto di tanti giovani che seguono divertiti e interessati le prodezze culinarie dei nuovi campioni dell'originalità. Dopo gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Francia, anche in Italia cucinare sembra essere diventato uno sport nazionale dove si susseguono tornei con vincitori, vinti, rappresaglie e rivalse. Quasi sempre al maschile. Perché le donne, purtroppo, faticano a veder riconosciute le loro qualità e restano ancora lontane dalle luci della ribalta.

“È vero, questa purtroppo è una consuetudine, ma spero ci abbandoni prima possibile. Quello degli chef è un mondo maschilista, così come l'ambiente delle cucine professionali resta piuttosto ruvido e persino rozzo”. Chi parla è Paolo Dalicandro, chef di lungo corso, insegnante nella scuola romana di cucina, A Tavola con lo Chef, dove prepara gli aspiranti cuochi ad avere il diritto di indossare la famosa toque blanche, il cappellone tipico che un tempo indicava le parrucche nobiliari, oggi rimasto il simbolo di una diversità che eccelle. “In effetti ancora non sono moltissime le donne che partecipano ai corsi. E chi intraprende questa strada sa che per avere successo e battere la concorrenza maschile dovrà dimostrare di essere più tosta dei colleghi uomini e che dovrà esibire continuamente prove di capacità”.

Non c'è dubbio che tra vegetariani, vegani, tradizionali, rivisitati e international-chic, le rivalità sono all'ordine del giorno nelle cucine stellate e non. Ma è anche vero che tutti coloro che si sentono animati dal sacro fuoco ci possono provare, con qualche possibilità di raggiungere ottimi o almeno buoni risultati sul piano del lavoro, visto che oggi gli chef sono tra i professionisti più ricercati. “Io sono diplomato in elettronica e telecomunicazioni, ma non mi piaceva molto quello che dovevo fare”, racconta Paolo Dalicandro. “Così ho cominciato a dare una mano ad un amico in un ristorante con cucina messicana, e poi ho frequentato la stessa scuola dove adesso insegno le varie tecniche che stanno alla base dell'arte culinaria”. 24 anni di esperienza di cui 10 nella ristorazione prima di approdare ad un altro settore della professione culinaria, quello del personal chef, vale a dire il cuoco che ognuno di noi può avere a casa propria per una serata con molti invitati, ma anche per concedersi una cena intima e gourmand da preparare nella propria abitazione aiutando e imitando le 'mosse' dello chef.

Così chef Dalicandro ha appena terminato un corso online in tre puntate dedicato alla cucina svizzera, dove ha raccontato odori, sapori, segreti e ingredienti delle vecchie tradizioni e delle nuove tendenze da intenditori. Perché la Svizzera, schiacciata dalla gourmanderie francese e dalla fantasia gastronomica italiana, non solo ha conservato con orgoglio i suoi piatti tipici, ma ha anche aperto le porte al massimo della creatività. Basti pensare che in una superficie di appena 41.000 kilometri quadrati, per la maggior parte composti di montagne, si conta una delle più alte densità pro capite di ristoranti gourmet a livello europeo e ben 122 sono stellati.

Ma non è che questa ricerca di sapori nuovi e sofisticati ci sta portando verso qualcosa che ha più a che fare con la moda che con la cucina? “Non c'è dubbio che alcuni abbinamenti siano complessi o anche pretenziosi”, risponde Dalicandro. “Spesso si vuole solo stupire. Però bisogna ricordare che dietro ogni piatto c'è un grande lavoro di studio, elaborazione e creazione. Tutto questo è positivo perché porta a scoprire non solo nuovi sapori, ma anche nuove tecniche, magari più in sintonia con il mondo che ci circonda”. Se poi gli chiedete qual è il peggiore difetto di uno chef, vi risponderà senza esitazioni che è l'ego. Perché in realtà nessun cuoco, meno che mai se è stellato, ammetterà di avere sbagliato qualcosa nella preparazione di un piatto. Di conseguenza la sua virtù è proprio quella di assaggiare tutto in prima persona per controllare, allenare i suoi sensi ed evolversi. Però anche un grande chef ha il suo tallone d'Achille. Qual è? Chiudersi nella sua cucina e cessare qualsiasi tipo di confronto con i colleghi e soprattutto con i clienti. Ma insomma, cos' è che può emozionare un re della cucina? “A me emoziona la semplicità”, risponde Dalicandro. “Ad esempio, uno spaghetto aglio e olio, un fungo porcino appena raccolto, un maritozzo con la panna”.

E allora dedichiamoci ad un piatto tanto semplice quanto tradizionale. E per non allontanarci dalla Svizzera scegliamo il proverbiale, il rösti. Attenzione, però, perché semplice non sempre vuol dire facile e questo piatto a base di patate ha messo alla prova diversi amatori o aspiranti chef. Tutto comincia con la scelta delle patate. In Svizzera ne hanno moltissime varietà. Nei nostri mercati dobbiamo scegliere quelle a pasta dura e gialla, quindi del vecchio raccolto, oppure con la buccia rossa (ce ne vorranno circa un chilogrammo per quattro persone). A questo punto andranno pelate e grattugiate a scaglie, poi riunite in un piatto dove saranno mescolate con un po' di sale e pepe e un filo d'olio. Intanto mettiamo sul fuoco una padella antiaderente del diametro di circa 18 cm (il rösti una volta cotto, dovrà essere alto almeno un centimetro e mezzo). Solo quando la nostra padella sarà calda aggiungiamo il burro o l'olio, mettiamo le patate grattugiate, premendole bene sul fondo con una spatola, in modo da chiudere tutti gli interstizi e formare una “frittata” ben unita.

Facciamo cuocere a fuoco lento (ci vorranno almeno dieci minuti o più) fino a quando le patate non prendono colore e restano compatte. A quel punto giriamo il rösti e facciamo cuocere ancora dall'altra parte, sempre a fuoco lento. Un'operazione che, se vogliamo, può essere ripetuta più volte (questo aiuterà ad aumentare la crosticina) fino a quando non abbiamo ottenuto la cottura giusta. Si può servire così, come contorno a piatti di carne, oppure come pietanza unica aggiungendo del formaggio a scaglie sopra il nostro rösti e coprendo con un coperchio fino a quando questo non si è sciolto. Il formaggio, così come anche fettine di speck, possono essere aggiunti durante la cottura. In questo caso dovremo mettere in padella solo una metà delle patate, aggiungere il formaggio oppure lo speck, ricoprire con le altre patate e terminare la cottura nel modo consueto.

Voilà, il pranzo senza stelle è servito. Ma sembra facile...