Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest'ultimo non preservo me stesso.

Queste parole sono del filosofo, giornalista e comunicatore spagnolo José Ortega y Gasset per spiegare alle masse, alla gente comune un argomento complesso con una frase semplice e diretta. Venne criticato dalla comunità scientifica che forse da lui avrebbe potuto acquisire un buon metodo di comunicazione. Anticipando idee che solo nel nostro secolo vengono ormai affrontati quotidianamente, José Ortega si espone su concetti politici come libertà di pensiero e azione, progresso e democrazia. Teme che le masse chiedano tutto allo Stato e che esso conceda loro tutto in cambio di cieca obbedienza: ciò a suo vedere determinerebbe una mancata emancipazione dei popoli.

Nel 1930 pubblica La ribellione delle masse e nella nota frase che ho citato nell’incipit, probabilmente non si riferisce all’ambiente fisico, come forse potremmo pensare, ma al complesso di condizioni sociali, culturali e morali in cui cresciamo e viviamo. Secondo Ortega ogni uomo è determinato dalla circostanza in cui nasce, un insieme di fattori temporali e geografici – quindi caratteriali – che rendono unica e irriproducibile la vita dell'individuo. Ciò che noi traduciamo come ambiente, insomma, per lui è "circunstancia" chiosa una nota dell’enciclopedia Treccani.

In questa epoca così densa di cambiamenti e stravolgimenti tecnologici, sociali e culturali è bene citare giganti come questo libero pensatore spagnolo che puntava a stimolare l’uomo e la donna della strada perché non si fermassero chini ad accettare quanto il “progresso” gli concedeva, le comodità, il benessere se non dopo essersi chiesti il costo che questo avrebbe comportato, cercando continuamente la verità e sé stessi senza farsi stravolgere dall’ingranaggio della vita quotidiana dedita al lavoro e al consumo. Attuale ancora di più è quanto esprimeva nell’antichità il medico greco Ippocrate di Kos, che riferendosi alla salute e alla vita quotidiana, ammoniva i suoi pazienti dicendo: “Fa' che il cibo sia la tua medicina. E che la medicina sia il tuo cibo”. Utilizzare il cibo come medicina vuol dire essere responsabili. Informandosi su cosa e su quanto mangiare. Noi siamo quello che ingeriamo e digeriamo giornalmente, quindi spesso sentiamo parlare di dieta, a volte anche in modo ossessivo, poiché anche della dieta - dal latino diaeta, ovvero «modo di vivere», - da diversi anni si è fatto molto marketing e poca informazione scientifica.

Tre sono gli autori che citerò per parlare della Via del cibo, un breve excursus nel tempo e nello spazio, per spiegare come in circa duecento anni il nostro modo di alimentarci è cambiato in modo veloce e poco consapevole. In primis incontriamo il giornalista americano Michael Pollan, classe 1955, nato a Long Island e laureatosi a Berkeley in Giornalismo, conosciuto per lo più per due libri inchiesta sul cibo: Il dilemma dell’onnivoro del 2008 e In difesa del cibo, di dieci anni dopo. Poi l’agronomo Salvatore Ceccarelli, passato alla storia della ricerca scientifica contemporanea sui cereali e il miglioramento genetico vegetale con due libri: Mescolate contadini Mescolate del 2016 e Ci vediamo stasera a Damasco, 2017. Infine il medico patologo, epidemiologico e nutrizionista Franco Berrino autore de Il cibo dell’Uomo. La via della salute tra conoscenza scientifica e antiche saggezze, 2019.

Sono trascorse tre ere dell’industria alimentare, afferma Pollan ne Il dilemma dell’onnivoro, citando lo studioso e storico dell’alimentazione Massimo Montanari: la prima era quella in cui si è imparato a salare, seccare, stagionare e conservare sotto aceto i cibi; la seconda quella in cui si è passati a inscatolare, surgelare e conservare sotto vuoto; la terza, quella del secondo dopo guerra, quella della trasformazione e degli additivi in cui le tecniche di marketing e la convenienza economica hanno fatto sì che il burro venisse sostituito dalla margarina, i succhi di frutta fresca venissero rimpiazzati con bevande alla frutta, il formaggio con le creme spalmabili e la panna fresca con le bombolette spray. Il sogno dell’industria alimentare era eliminare la schiavitù della produzione agricola causata dalla stagionalità e dalla produzione locale, quindi affrancarla dal tempo e dallo spazio. Un americano del New England – cito Pollan – poteva mangiare il granoturco dolce a gennaio o assaggiare un esotico Ananas.

Questo scollamento tra chi produce e chi consuma ha consentito ad esempio dei veri e propri miracoli economici. “I cereali da colazione - afferma Pollan - sono per molti aspetti il prototipo degli alimenti preconfezionati: quattro centesimi di mais (o di un'altra granaglia ugualmente a buon mercato) sono trasformati in quattro dollari di cibo”. È stato il metodo più semplice per creare masse di acquirenti di prodotti alimentari inconsapevoli del cibo di cui si nutrono; il mais e la soia diventarono nella prima metà del Novecento così onnipresenti nei cibi industriali trasformati, il primo per gli zuccheri, la seconda per le proteine. Questi due mattoni dell’alimentazione della grande General Mill (la sesta industria alimentare al mondo) li ritroviamo ovunque con una manciata di additivi chimici, aromi, coloranti, formulati dai suoi ricercatori di scienza alimentare (900 scienziati che lavorano in labirinti sotterranei dove vige la massima segretezza delle ricette) e l’aiuto di un bel packaging, che richiama la buona salute con un nome accattivante: il gioco è fatto.

Le conseguenze però saranno devastanti proprio per la salute, l’ambiente e il sistema “mercato agricolo mondiale”:

  • Aumento di obesità, glicemia, diabete e malattie cardiocircolatorie – il glucosio ottenuto dal mais divenne un vero e proprio veleno. Nelle etichette troverete l’indicazione - dice Pollan - “contiene uno o più di questi ingredienti mais, soia, olio di girasole” perché più l’identità del prodotto si distanzia da una certa materia prima meno il produttore è vulnerabile;
  • Aumento esponenziale del trasporto (su gomma, ferro, nave e aereo) dei prodotti alimentari: materie prime e trasformati proprio per accontentare il cliente più sperduto attraverso la Grande Distribuzione Organizzata. Con effetti mai avuti prima in termini di inquinamento globale dall’inizio della storia dell’uomo;
  • “Con i prodotti della terra si fanno soldi, se non siete quelli che li coltivano”, questo il motto del manager tipo dei colossi dell’industria alimentare come Coca Cola, Archer Daniels Midland, con sede a Chicago, con fatturato 101,6 miliardi USD nel 2022 e General Mills. Società come queste intervengono sui mercati e influenzano i prezzi di tutte le granaglie del mondo, un grano canadese o ucraino può spuntare prezzi raddoppiati rispetto ad un grano di forza italiano nel giro di qualche minuto e l’agricoltore, cito parole di un produttore giovane biologico “il mio grano è uguale ad un grano prodotto in Canada o nel Midland”.

Cosa ha condotto in ambito agricolo, cioè in termini di metodi di coltivazione, studi agronomici e di coltivazione erbacea, questa situazione di dipendenza del settore primario dai mercati e dai futures, contratti standardizzati sono stipulati fra due parti ad un prezzo fisso e ad una data di scadenza? I futures sono contratti derivati perché il prodotto in questione non è di proprietà. Il prezzo dei cereali viene stabilito dal mercato a priori dagli indici azionari indipendentemente da qualità, caratteristiche, valore del prodotto di partenza.

Chi ha lavorato nella ricerca e nel miglioramento genetico delle piante sa bene che tutto è iniziato dopo la Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti. La macchina industriale è partita circa 70 anni fa quando, in un crescendo rapidissimo il mondo scientifico e le grandi aziende sementiere, intorno al settore agricolo e l’industria dei prodotti di cui accennavo sopra, si accordavano per sostenere la famosa “rivoluzione verde”. Qui arriviamo ai falsi miti dell’agricoltura industriale fermamente voluta e sostenuta da filantropi come la famiglia Rockefeller che si è impegnata in un progetto di eugenetica applicato alle specie alimentari.

“La fame nel mondo è dovuta a scarsità di cibo e di terre coltivabili”. Sahel, Bangladesh e altri paesi considerati Terzi, dagli anni ‘70 aumentarono vertiginosamente le esportazioni in tutto l’Occidente in primis America e poi Europa, affamando le popolazioni locali. Dai Caraibi e Centro America dove la malnutrizione era al 70% si esportavano le produzioni coltivate nelle migliori terre, le più fertili e si lasciavano le popolazioni locali nelle zone marginali senza ricompense di cibo o denaro.

“Sovrappopolazione come causa della fame nel mondo”. Negli anni ‘70 in Bolivia c’era un potenziale di 4 ettari di terre coltivabili a persona, dato FAO del 1974. Non c’è correlazione tra fame e sovrappopolazione, lo sfruttamento delle terre dei paesi Occidentali per accaparrarsi materie prime e deforestare, desertificare ha costretto le popolazioni a migrare nelle metropoli e a vivere in situazioni di disagio e povertà crescenti.

“La fame sarà vinta concentrando gli sforzi sull’aumento delle produzioni alimentari”. Falso. Con la rivoluzione verde si è avuto: imposizione di varietà uniformate di cereali, meccanizzazione, irrigazione e metodi di coltivazione omologati. Nuove aziende e società straniere con ingenti capitali hanno fatto lievitare il valore delle terre da 3 a 5 volte, ad esempio in India, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di affittuari locali, braccianti senza terra che sono ora la maggioranza della popolazione rurale dei paesi produttori di cacao, soia, canna da zucchero, mais e caffè. Le piccole aziende sono sparite a vantaggio di poche di dimensione sempre oltre i 100 ettari con lo sfruttamento dei coloni.

Qui si inserisce la storia buona e giusta del professor Salvatore Ceccarelli che in piena controtendenza ha portato avanti quaranta anni di studi e ricerche sperimentali in Siria e in medio oriente per dimostrare ai colleghi e al mondo scientifico che il miglioramento genetico finanziato dalla politica economica americana sarebbe stato perdente proprio a causa della messa in atto di sistemi di selezione delle specie cerealicole che sarebbero dovute servire in ogni contesto territoriale in tutti i continenti affinché diventassero controllabili, adattabili al sistema di produzione basato su concimazioni, fitofarmaci, uso di diserbanti, irrigazione e meccanizzazione spinta.

Questo ha fatto sì che le popolazioni contadine diventassero dipendenti dai fornitori di seme, in parte perché ibrido quindi non fertile e reimpiegabile, in parte perché con caratteristiche omologate e richieste dal mercato (taglia bassa, spighe con molti semi e ad alto contenuto di glutine, ecc.) che escludevano le varietà locali. Al contrario la mescolanza e il miglioramento genetico partecipativo (con il coinvolgimento dei saperi locali) avrebbero mantenuto la variabilità genetica e la sicurezza alimentare in quanto si sarebbe perpetrata la tradizionale pratica della selezione spontanea che ha funzionato per millenni, senza comportare la perdita della biodiversità, la resistenza alle malattie e la perdita della qualità organolettica dei cereali.

Infine vorrei chiudere citando il medico Franco Berrino che con le sue lezioni e i suoi insegnamenti al grande pubblico, da ormai cinquanta anni si batte per la cura delle patologie attraverso la prevenzione e una dieta più opportuna. Ha sfatato, con studi alla mano e ricerche scientifiche, decenni di convenzioni e abitudini alimentari imposte dal mercato con la compiacenza di medici che non vedevano al di là dei dogmi della biologia, dagli studi iper-specialistici senza guardare alla storia ma credendo che la chimica e la biologia moderna fossero sufficienti a guidare le scelte alimentari dell’uomo. Due esempi tratti dal suo libro: l’uso delle proteine provenienti da carne e formaggi come panacea nella dieta del bambino e dell’adulto. Si è portato avanti per un secolo l’idea che la carne soprattutto nello svezzamento del bambino potesse salvarlo da anemia per carenza di ferro. L’intestino dei bambini è capace di assorbire dal latte della madre poi da verdure e pappe di cereali molto più ferro di quello prescritto dalla scienza accademica.

Altro mito sulla dieta che sfata Berrino è quello del “calcio da assumersi con latte e derivati” per evitare l’osteoporosi. La prima causa di osteoporosi non è la carenza di calcio – afferma nel suo lavoro - bensì proprio l’eccesso di proteine animali. Le proteine animali sono più acide di quelle vegetali e tendono ad acidificare il sangue. Per mantenere l’equilibro del livello adeguato di acidità l’organismo mette in atto un sistema di autoregolazione per cui le ossa liberano Sali basici di calcio per tamponare i bicarbonati in eccesso del sangue. Questa è la funzione delle ossa oltre al sostegno per equilibrare i sali minerali. Basterebbe assumere Equisetum arvense, sesamo e molte verdure per avere il calcio sufficiente all’equilibrio corporeo.

Lo stesso vale poi per il principio secondo cui le margarine e altri oli di semi dovrebbero ridurre il colesterolo e aiutare a dimagrire, raccomandazioni amplificate da interessi commerciali dell’industria alimentare, ignorando che l’olio di oliva abitualmente consumato nei paesi mediterranei ha effetto analogo come sostitutivo dei grassi animali: strutto e burro. Si potrebbe chiudere il cerchio con il recente abuso di integratori che hanno fatto la fortuna delle case farmaceutiche e fitoterapiche, assumere le vitamine di sintesi ha molte controindicazioni: carcinoma polmonare e infarto con il beta-carotene ed emorragie celebrali con la vitamina E.

Le vitamine vanno assunte direttamente dai cibi che più le contengono, in quanto l’organismo e le cellule le assorbono naturalmente, mentre nel caso di sostanze di sintesi non sono sempre in grado di riconoscerle ma al contrario possono diventare estremamente dannose. Tornare ai vecchi rimedi e curarsi con un buon pasto quotidiano vario, privo di trattamenti e dei produttori locali può essere una scelta difficile e dispendiosa ma estremamente economica se si guarda quanto si potrebbe poi spendere in farmaci e cure mediche!