Singolare ma vero, gli scimpanzé comuni (Pan troglodytes) sanno riconoscere il valore terapeutico di molte piante che crescono nel loro territorio. Ne sono state contate più di 200. Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta diversi anni or sono tra gli scimpanzé che vivono al Gombe Stream National Park che si trova lungo la riva Est del lago Tanganica, Nord della Tanzania.

La Farmacia degli scimpanzé

La farmacologia conosce molto bene il contenuto terapeutico di molte piante che utilizzano gli scimpanzé nel loro ambiente naturale. Esse producono antibiotici naturali, efficaci soprattutto contro funghi, vermi intestinali e diarrea. Alcune piante hanno proprietà antivirali anche per l’uomo. Per esempio, tutti sanno che le foglie e i fiori di nasturzio (Tropaeolum majus) hanno proprietà antibiotiche; mentre il cumino (Cuminum cyminum) è un forte antimicotico. Alcuni antibiotici sono stati isolati da colture batteriche, i cosiddetti Gram-positivi. La penicillina, scoperta da Alexander Fleming nel 1929, è un prodotto naturale del metabolismo di un fungo, il Penicillium notatum.

Non tutti i farmaci che noi utilizziamo sono prodotti sintetici, molti derivano da piante medicinali. Per esempio, è noto che l’infuso di eucalipto (Eucalyptus globulus) è un antisettico; l’aglio (Allium sativum) contiene un aminoacido, l’allicina, che è un efficace antiossidante; il timo (Thymus vulgaris) ha proprietà antisettiche, antimicotiche e anche antivirali. In sostanza, abbiamo a disposizione farmaci naturali straordinari e gli animali, soprattutto le scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla e orango), molto prima di noi, da almeno 7 milioni di anni, ne hanno scoperto il valore terapeutico. Questo si chiama “tradizione culturale” che dura da milioni di anni. In un momento come questo di Coronavirus, gli scimpanzé potrebbero insegnarci qualcosa. Dovremmo prestare più attenzione ai loro comportamenti alimentari.

In un certo senso dovremmo imparare da questi animali, prima di spendere milioni e milioni di dollari nella ricerca per produrre antivirali o antibiotici. Infatti è stato osservato che gli scimpanzé che vivono al Gombe Stream National Park, per il trattamento di dolori intestinali utilizzano le foglie dell’Aspilia pluriseta, mentre quelli del Sud, sebbene anche lì si trovi questa pianta, ne utilizzano un’altra, sempre dello stesso Genere, ma di una specie diversa: l’Aspilia mossambicensis.

Gli scimpanzé, come sappiamo, sono fondamentalmente vegetariani, anche se a volte non disdegnano carne e insetti, come formiche e termiti che sono molto graditi e architettano dei marchingegni per poterli catturare: costruiscono dei bastoncelli da infilare nei formicai e nei termitai affinché gli insetti vi si attacchino con le mandibole che gli scimpanzé poi sfilano dal buco per mangiarseli come uno spiedino.

Dunque, gli scimpanzé mangiano, anche se raramente, carne. Questo però è dovuto più che a costanti esigenze alimentari, al piacere della caccia di piccoli mammiferi e di alcune specie di scimmie, per esempio, del Colobo rosso (Piliocolobus badius) che spesso condivide con lo scimpanzé lo stesso territorio. In questa caccia, in cui sono bravissimi, affinché non si sprechino energie, esiste una ripartizione dei ruoli: alcuni si appostano sotto le piante in cui si trovano i colobi, affinché non sfuggano, altri salgano sulle piante per farli scendere e altri ancora, quando sono a terra, hanno il compito di rincorrerli e catturarli. Poi la carne viene distribuita a tutti i partecipanti. Allo stesso modo facevano i nostri lontani antenati quando catturavano delle prede, in base a una ripartizione equa dei ruoli tra i cacciatori. Certo, con le piante, non è necessario fare tutto questo, ma sono certamente necessarie alcune capacità di un certo livello per sfruttarne il valore terapeutico, cioè attenzione, discernimento, buona memoria e intelligenza. Gli scimpanzé dimostrano di avere tutte queste qualità. Questa è cultura, cioè la capacità di trasmettere agli altri un comportamento conveniente, non solo per chi lo scopre, ma a tutta la comunità in cui si diffonde.

Valore terapeutico delle piante

Gli scimpanzé subiscono delle infezioni da parassiti, soprattutto durante la stagione delle piogge. A questo trovano spesso un rimedio.

Una pianta ad alto contenuto terapeutico, forse la più importante per gli scimpanzé, è la Vernonia amygdalina che previene alcune malattie del sistema immunitario. Si tratta di una pianta comunissima in Africa e ne mangiano soprattutto l’interno, il midollo. Queste terapie non ci devono meravigliare. Durante il periodo più splendido dell’antico Egitto venivano usati infusi di alcune piante per curare malattie della pelle. In molte culture dell’antichità questa forma di farmacopea era diffusissima e anche efficace.

Oltre alla Vernonia amygdalina ci sono altre specie di piante che gli scimpanzé utilizzano quando hanno dei disturbi intestinali. Alcuni sono stati visti mangiare foglie, fiori e frutta di diverse specie di Ficus (principalmente di Ficus exasperata), mentre di altre piante, si alimentano soprattutto dei semi. Inoltre si alimentano, sempre a scopo terapeutico, di alcune piante grasse del Genere Cortaderia e Digitaria. Infine, vanno alla ricerca, spesso e volentieri, del ginger africano di cui mangiano le radici e con gli stessi scopi. Altre piante preferite di cui si alimentano, soprattutto di frutta, sono la Rubia cordifolia e la Lippa plicata.

Altre scimmie, delle quali si conosce molto bene l’uso di piante a scopo terapeutico, sono i babbuini. In Etiopia una pianta che viene spesso utilizzata da queste scimmie è la Balanites aegyptiaca che contiene uno steroide efficace per la cura di una malattia intestinale molto grave, la schistosomiasi, diffusa anche nell’uomo e che ogni anno provoca più di 10mila morti nel mondo. In conclusione, l’erbario terapeutico delle scimmie è vasto.

Insegnamenti

Gli scimpanzé sono animali molto intelligenti e le mamme quando hanno i figli molto piccoli sanno come addestrarli nella alimentazione, soprattutto quando finiscono il periodo dell’allattamento; lo fanno attraverso l’attento controllo di quello che fanno i loro piccoli, come delle brave maestre. Li aiutano a scegliere le piante che possono andare bene per un’alimentazione standard, ma anche per curare le malattie intestinali. I piccoli, osservano, toccano e, se le mamme lo consentono e sanno quando farlo, se ne alimentano. È come in una scuola in cui i bambini lentamente apprendono nozioni nuove.

Gli scimpanzé, una volta che le foglie di una pianta vengono individuate, non le ingoiano seduta stante: le strappano con delicatezza, le rotolano e le masticano lentamente, poi formano un bolo in bocca e lo ingoiano. Altre piante terapeutiche, oltre a quelle già citate, appartengono alla Famiglia delle Composite, come l’Aspilia pluriseta, l’A. rudis e l’A. mossambicensis. Di quest’ultime, gli scimpanzé si cibano solo delle foglie e non toccano il resto: fiori, semi o gambi che siano. È chiaro che tutti gli animali, inclusi gli scimpanzé, che utilizzano una pianta, non sono consapevoli del suo valore terapeutico, però lo diventano, quanto basta, associando il dolore con l’effetto provocato dall’averne mangiato una parte, cioè la guarigione. Ne realizzano i benefici, e questo è sufficiente per distinguere dovutamente una pianta dall’altra.

C’è da fare una distinzione tra le specie di scimmie che mangiano alimenti terapeutici. Gli scimpanzé non lo fanno indiscriminatamente, non a caso, ma solo quando percepiscono che c’è qualcosa che non va nella loro digestione. I babbuini, invece se ne alimentano quando capita, cioè quando la pianta si trova alla loro portata, sia che abbiano o non abbiano dei dolori. Poi, i babbuini, dopo averla ingerita continuano le loro attività come prima, come se nulla fosse, mentre gli scimpanzé, dopo averla mangiata, si mettono a riposo, attendono che la pianta metabolizzi nel loro stomaco e poi riprendono le loro attività. Anche gli uomini si comportano in questo modo, cioè dopo aver preso una medicina per curare una malattia, si mettono a riposo e aspettano l’effetto.

La cosa più straordinaria in tutto questo è che diverse popolazioni umane africane, limitrofe a quelle degli scimpanzé, per curare la dissenteria e quando hanno i primi sintomi di un attacco di malaria, fanno infusi con le stesse piante che mangiano gli scimpanzé. Hanno imparato da loro? Probabilmente sì.

In ultimo dobbiamo dire che non tutte le piante che sono state utilizzate dagli scimpanzé sono state studiate dall’uomo e chissà che un giorno non se ne trovino alcune il cui contenuto possa essere utile per curare malattie virali che ancora non sono state debellate? Il fatto è che la scienza, soprattutto quella farmacologica, non è lineare. Ci sono momenti di progresso e momenti in cui non si riesce ad andare avanti di un passo. Ci vuole pazienza, più certezze ed entusiasmo. Theodore Roosevelt (1858-1919), 26° presidente degli USA, un giorno pronunciò queste parole, dopo aver subito una sconfitta elettorale: “non mollare dopo una o cento sconfitte. Non mollare mai. La volontà di farcela è più importante di qualsiasi altra cosa”. Sagge parole, ma non bisogna dimenticare, come la storia ci insegna, che spesso si scopre qualcosa mentre se ne sta cercando un’altra: una scoperta casuale (serendipità). Questo vale anche in farmacologia e speriamo che capiti più spesso.