Il COVID-19 ha stravolto le nostre esistenze forse molto di più di quello che si pensa oggi, perché i suoi effetti si protrarranno per chissà quanto tempo ancora. Non parlerò delle ricadute che il Coronavirus sta avendo sulla nostra economia, ma come esso ormai interagisce con tutti noi quotidianamente, costringendoci a fare i conti con la nostra forza d'animo, con la resilienza che dovrebbe essere in ciascuno di noi, ma che il passare delle settimane, tra lutti e privazioni, sta portando molto sotto i limiti di guardia.

A sentire i tanti esperti, spuntati dall'anonimato come funghi dopo una giornata di pioggia seguita da un sole che brucia, dovremo fare questo o quello, stare qui e là, muoverci in questo o quel modo.

Ma nessuno ci sta spiegando con chiarezza dove trovare in noi stessi la forza di reagire, di avere consapevolezza di quanto è accaduto e, se possibile, farne tesoro per un futuro necessariamente diverso dal presente.

Di ricette esaustive, per questo specifico aspetto dell'emergenza, nessuno ne ha fornite, anche se psicologi, psichiatri, studiosi del comportamento e delle relazioni interpersonali spiegano, parlano, disquisiscono, ammoniscono, quasi ordinano.

Ma forse la soluzione è più vicina di quanto i profeti di sventure pensano, perché basta considerare il COVID-19 per quello che è, un portatore di morte. E quindi la gente, davanti a questo mostro senza volto, dovrebbe seguire le cinque canoniche fasi elaborate per metabolizzare un lutto, per sconfiggere l'incubo immanente di thanatos.

Immagino che già qualcuno cominci a sorridere, ma se chi mi legge avrà la pazienza di seguire il mio ragionamento si accorgerà che forse non è totalmente sbagliato.

Le cinque regole, ormai universalmente accettate, sono queste:
- la negazione, quando, al cospetto di un lutto, ci si dice increduli davanti all'evidenza, come se la perdita di una persona sia mera finzione e non altro;
- la rabbia, quando il sentimento che si è compresso nella mente esplode, ponendoci domande sul perché quell'evento ci ha colpiti, cercando di trovare, nei comportamenti passati, qualcosa che possa giustificare questa che per noi è un'ingiustizia;
- la contrattazione, quando si raggiunge la consapevolezza nell'ineluttabilità dell'accaduto e di come, in futuro, si dovranno evitare comportamenti che possano avere contribuito a determinare le cause del lutto;
- la depressione, che si manifesta quando, preso atto del lutto e della perdita di tutto ciò che legava alla persona amata, si cade in un periodo in cui ogni gesto, ogni parola scatenano il ricordo, in un continuo ripetersi delle medesime situazioni di dolore, agitando il pensiero che la sola cura al dolore sia l'isolamento, la solitudine;
- l'accettazione, ultimo gradino quando, finalmente, si prende consapevolezza che la perdita fa ormai parte del passato e, quindi, occorre trovare in sé stessi le risorse morali per ripartire.

Cinque passaggi, cinque tappe che, a detta di molti, segnano il duro percorso che deve essere affrontato quando si è colpiti in modo inatteso da una grave perdita, quando non si era preparati alla tragedia.

È un po' quel che sta accadendo in Italia (ma direi anche in molti altri Paesi, a leggere i siti dei giornali stranieri meno caciaroni e, invece, molto attenti anche agli aspetti psicologici di quanto avviene) dove il COVID-19, nonostante inquietanti segnali premonitori, è piombato su di noi travolgendo tutto e tutti e lasciandosi dietro (ma lo fa ancora) una scia di morti. La maggior parte dei quali, bisogna sempre ricordarlo, hanno riguardato e riguardano ancora persone molto in avanti negli anni ed affetti da gravi pregresse patologie. Ma è una considerazione di tipo statistico perché niente può giustificare la perdita della persona amata agli occhi di chi ne è stato colpito.

Ma ora, al di là di chi è stato effettivamente toccato dalla perdita di una persona amata, è necessario superare il dolore che resta fine a sé stesso se gli si consente di presiedere ad ogni nostro pensiero, ad ogni nostro comportamento. Accettare quello che il COVID-19 ci sta infliggendo non è una scelta, la ma sola strada per fare sì che si possa superare questa fase, che, con la necessaria compressione delle libertà personali (non è questa la sede di analizzare quanto accade alla luce della Costituzione, di cui molti solo ora si ricordano), sta causando disagi enormi.

Ma solo con la consapevolezza della imprescindibilità dell'adozione di misure che ci costringono in casa, impedendoci di tenere vive le amicizie e gli amori, potremo comprendere sino in fondo che solo una presa di coscienza generale ci potrà condurre per mano fuori dalla crisi. Anche se abbiamo avuto la fortuna di non vedere la fine di qualcuno, è giusto considerare il virus come una tragedia, ma al quale non possiamo consentire di uccidere il solo bene che ci è rimasto: la speranza.