Un esercito di robot, pronti a mettersi in marcia. Forti come Ercole, infaticabili come le formiche, disponibili come le Giovani Marmotte. Capaci di agire, muoversi, manipolare, sollevare pesi, trasportare e molto altro. Una sorta di corpo speciale di inservienti di ferro, plastica o acciaio da usare nei momenti di emergenza, quando l'uomo non ce la fa da solo. Non robot sferraglianti che ci minacciano, né umanoidi malinconici e commoventi amici dei bambini e compagni dei loro giochi. Semplicemente prodotti industriali costruiti da tecnici con obiettivi pratici. Lo hanno proposto con un articolo su Science Robotics - rivista internazionale del settore - tredici studiosi di robotica dai loro laboratori di vari paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, passando da Italia, Svizzera, Svezia e Cina. Uno scenario che non ha niente di fantastico e che diventa ancora più attuale nel momento in cui un virus sfida non solo la nostra salute, ma i nostri nervi.

Anche la robotica, dunque, si mette in gioco e propone il suo ruolo nella gestione della sanità e in particolare delle malattie infettive ai tempi del Coronavirus. Guardando al futuro.

Ormai da tempo sappiamo benissimo che esiste una minaccia permanente di pandemia. Ora abbiamo il COVID-19, ma tra qualche anno ci sarà un altro virus. È impossibile impedirlo perché è impossibile creare una società immune e sterile. Anche chi, come me, non è un esperto di biologia e medicina, sa benissimo che si tratta di un pericolo reale e permanente. Alla stregua di un terremoto: non sappiamo quando e dove colpirà, ma sappiamo che arriverà.

Chi parla è Paolo Dario docente dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, tra gli autori dell'articolo, da anni impegnato nella progettazione di sistemi di eccellenza e nello sviluppo della ricerca applicata, della formazione di giovani ricercatori provenienti dall'intero pianeta e delle applicazioni di avanguardia. La Scuola Sant'Anna è da sempre in prima linea nelle aree della robotica medica e di quella riabilitativa, nonché delle tecnologie indossabili, che permettono una simbiosi tra uomo e macchina. Dai suoi centri di ricerca, in costante collegamento con altri istituti mondiali, sono uscite mani e braccia artificiali da impiegare come protesi controllate dal pensiero, ed è nata la robotica chirurgica, oggi strumento indispensabile delle sale operatorie per interventi complessi, ma meno invasivi. Per non parlare dei robot-companions, che puliscono le strade, le case, vanno a gettare l'immondizia, aiutano gli anziani nelle faccende domestiche. Un mondo di 'controfigure' che non sono più fantascienza e che attendono di entrare nella vita di tutti i giorni.

Professore, da esperto di robotica, lei cosa farebbe in questa situazione?

Come un buon padre di famiglia penserei al futuro. È chiaro che non dobbiamo essere ossessionati dai virus, ma dobbiamo essere pronti ad affrontarli quando ritorneranno.

Dunque?

Prima di tutto bisogna investire nella formazione e nella ricerca. In tutti i campi. Perché solo la conoscenza ci dà le armi per combattere. Poi è necessaria una rete capillare di informatica. Tutti devono essere sempre connessi, anche nei paesi più remoti. Nel dopoguerra abbiamo costruito una serie di infrastrutture, come, ad esempio, le autostrade. Ora dobbiamo realizzare infrastrutture di rete.

Ci parli dei robot...

Quello che abbiamo proposto è una sorta di corpo speciale per la Protezione Civile, vale a dire un sistema di macchine e tecnologie che affianchino gli operatori umani. Pensiamo ad un sistema di robot da usare nelle situazioni di emergenza, dal valore equivalente a quello dei camion e dei mezzi di trasporto che vengono usati oggi per fronteggiare la situazione. In Italia li sappiamo fare, abbiamo tutte le condizioni necessarie, comprese le industrie per la componentistica.

Come potrebbero essere usati?

Intanto ricordiamoci che il mondo deve essere più pulito e che l'Italia è agli ultimi posti della graduatoria sulla sicurezza negli ospedali. Diciamo che l'igiene non è il massimo e la quantità di batteri resistenti agli antibiotici è numerosa. I robot possono pulire e disinfettare: sono instancabili 'uomini di fatica'. Se poi ci concentriamo sull’assistenza clinica, che appare il problema più stringente in questo periodo, la robotica può intervenire in aree specifiche quali la prevenzione, la diagnosi e lo screening, oltre che nella cura del paziente. E può essere utile anche negli interventi veri e propri, come le intubazioni, che per i medici sono alquanto pericolose. Oggi tutto il personale sanitario rischia il contagio. I robot non corrono questo rischio.

Ma in questo modo diventa tutto deumanizzato...

Medici e infermieri sarebbero comunque presenti, solo un po' più distanti e in sicurezza. Il concetto resta quello di un robot che aiuta l'uomo, non che lo sostituisce. Come nella chirurgia robotica. Il medico sta dietro la consolle e guida l'intervento. Venti anni fa nessuno ci credeva e adesso questo tipo di chirurgia fa parte della vita quotidiana degli ospedali.

Tutto questo si porta dietro il problema dei posti di lavoro.

Non in questo caso. Si tratta di robot da usare in situazioni di emergenza. Sull'uso della robotica nelle situazioni di normalità si apre un altro tipo di dibattito, ma sulla linea specifica dell'emergenza non ci possono essere se e ma.

Ma a lei piacerebbe un mondo in cui ci interfacciamo quotidianamente con i robot?

Ma no! A me piace la nostra vita. Viaggiare, stringere le mani, guardare i colori, andare al bar ed incontrare gli amici. I robot, però, possono essere occasionalmente utili.

Quanto costerebbe mettere in piedi il corpo speciale per la Protezione Civile? E chi dovrebbe pagare per realizzarlo?

Cominciamo col dire che in Italia abbiamo una rete di ricercatori, l'industria e tutte le competenze per realizzarlo. Difficile fare una previsione economica, però una decina di anni fa presentammo in Europa un progetto per un sistema di questo tipo chiedendo un miliardo di euro da erogare in dieci anni. Questo giusto per dare un'idea, ma non si tratta di cifre impossibili. Ovviamente penso ad un investimento pubblico visto che i robot sarebbero a disposizione della Protezione Civile.

Ci sono già prototipi a disposizione?

Tra pochissimo cominceremo una prova in un reparto dell'ospedale di Pisa con robot che possono pulire e disinfettare. Non è comunque collegata all'epidemia di COVID-19. Altre dimostrazioni sono previste nei prossimi mesi.

Ma poi è necessario passare dai prototipi alla produzione industriale...

Questo è il problema. Come ho detto abbiamo già acquisito un alto livello di maturità tecnologica, ma ora dobbiamo arrivare sul mercato. Il prossimo obiettivo è proprio trasformare queste dimostrazioni in soluzioni affidabili e ripetibili. Per passare dal prototipo all'oggetto pronto a funzionare c'è ancora molto lavoro da fare. La robotica ha bisogno di questo, ma è un investimento indispensabile per il nostro futuro.

E mentre ci si prepara alla prima dimostrazione, in piena emergenza Coronavirus, una mattina il corriere ha scaricato all'ingresso della Scuola Sant'Anna un pacco proveniente dalla Cina. Su un lato, insieme al mittente, una busta con un foglio dove si leggevano queste parole: ‘Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino’. Dentro il pacco, pieno di mascherine, una lettera con una dedica: ‘Alla città dove abbiamo vissuto e che ameremo per sempre’. Era il dono di ex allievi della Scuola Sant'Anna che ora lavorano nel loro Paese. Anche un robot 'facchino' è in viaggio, inviato da altri ex studenti cinesi, ormai tecnici, manager e ricercatori: andrà ad unirsi a quelli pronti alla prova di pulizia e disinfettazione.

“Sono sorprese che dimostrano come, oltre ai robot, abbiamo saputo creare relazioni umane che durano per sempre - commenta il professor Dario - tutto questo è molto bello. Vuol dire che abbiamo seminato bene”.