Un signore con un passato che è molto presente, pensa continuamente a sua madre e al suo maestro Antonio Napoliello, un presente che è molto futuro, anche dopo le disgrazie dice che “rimonta su sé stesso” come su un cavallo e lo sprona al galoppo, e un futuro che è già presente tanta è l’inventiva in circolo nelle vene. Allora tutto è fulgente nel laboratorio di Calle di Fabbri? Macché. “Quello che non ho è quel che non mi manca” cantava Fabrizio De André e di carattere Puppato sarebbe d’accordo: quello che voleva se lo è preso e quel che non voleva, c’è da giurarci, non gli ha impegnato il pensiero più di un minuto e l’ha gettato in un rio. Eppure qualcosa gli manca, eccome, anzi qualcuno: un discepolo. E lo cerca senza posa perché si cruccia di essere l’unico al mondo, sì, l’unico davvero, e non per il vezzo abituale dei sarti di sentirsi depositari di segreti esclusivi, a conoscere il sistema trigonometrico creato da Napoliello, grazie al quale si rilevano le misure in un certo modo per avere il cliente davanti anche quando questi è lontano. “Sul mio foglio di carta, il cliente è sempre qui. Me lo ha insegnato il mio sommo maestro e lo vorrei insegnare a mia volta. È un procedimento ultrasecolare, se mettiamo insieme gli anni di lavoro di Napoliello e i miei. Inoltre, la professione fa pure guadagnare. Per favore, mi trovi un discepolo!”

Che caratteristiche dovrebbe avere questo discepolo?

Essere appassionato, perché è tutto più facile con la passione: si sente meno la fatica e si conserva la freschezza mentale. Non devi guardare l’orologio neanche se hai un appuntamento con un amico o una simpatica ragazza. Io da giovane avevo delle ragazze, anche perché andavo a suonare, eppure nessuna mi ha distratto. Invece gli apprendisti che ho avuto, almeno una decina, non erano motivati più di tanto. In molti mi chiedono di aprire una scuola. Ma se facessi la scuola dovrei trascurare la sartoria e non mi va: la passione sta aumentando sempre di più. Non mi avvilisco con gli anni, ci tengo a precisarlo. Per natura guardo lontano, mi entusiasmo, mi ricarico, ho un buon recupero fisico, mentale e psicologico.

È vero che ha scelto di diventare sarto perché era musicista?

Suonavo la fisarmonica classica a Treviso, dove sono nato, e con altri dieci ragazzi giravamo, non solo in Veneto. A quindici anni finii al Petruzzelli. A Bari c’erano i concorsi per fisarmonicisti. Mia madre mi ha trasmesso l’amore per la musica, era la tipica donna che si ingegnava a fare tutto. Lei e mio padre lavoravano una bella campagna nel Trevisano. Facendo il sarto potevo non sciuparmi le mani e continuare a far musica. Anche se oggi non suono, me la sento incorporata, infatti quando mi riesce un bel vestito, lo definisco musica e poesia. A me piace scrivere, raccontare, fermare per iscritto le sensazioni, quello che vedo. Il tempo mi manca, ma se ho un momento scrivo versi. Con mio figlio Alessandro, che è molto profondo, mi sa interpretare, è il mio manager e gestisce anche il nuovo negozietto Puppato elegance, a cento metri da qui, in Calle dei Fuseri, abbiamo girato in bicicletta tre quarti d’Europa proprio per scrutare, per filmare con la mente quello che sentivo e osservavo. Ho un bagaglio narrativo che mi sostiene in qualunque circostanza della vita e stimola il lato creativo. Lo guardo come un film.

In bici e con il metro in tasca?

Sempre. Ho clienti sparsi in tutta Europa e sulla bici trasportavo l’occorrente. Una specie di sartoria viaggiante. Ho ricordi memorabili! Nel 1985 fui ricevuto a Parigi da Pierre Cardin. Nell’86 dal presidente della Comunità europea a Bruxelles che mi ospitò nel suo attico lussuoso. Pedalavo con la mia tuta bianca rossa e blu dietro le automobili ufficiali, con le bandierine. Che commozione, arrivare in quei palazzi e vedere i vessilli di tutte le nazioni europee. A Stoccolma il re Carlo Gustavo mi fece accogliere dal primo funzionario di corte.

Ci racconti del suo maestro Napoliello.

Sommo maestro. Uno studioso, un artista, un purosangue, un innovatore. Un uomo completo che non si perdeva d’animo mai. Era nato a Calabritto, in provincia di Avellino e a tredici anni emigrò a Filadelfia dove aveva due zii provetti sarti. Rientrò in Italia per amor patrio, per combattere nella Prima Guerra Mondiale, e suo padre, che non voleva ripartisse per gli Stati Uniti, lo fece sposare a una ricchissima ereditiera e quando il suocero gli chiese se avesse sposato la figlia per i quattrini, lui rispose: “Tenetevi pure vostra figlia e i vostri denari “e chiuse il matrimonio a una settimana dalla cerimonia. Una liberazione. Non potendo ritornare in America senza l’autorizzazione della moglie, girovagò per i porti d’Italia in cerca di un imbarco da clandestino. Non ci riuscì, scelse di fermarsi a Venezia, città meno frastornata delle altre, e approdò nella famosa sartoria Galletti. Un anno dopo si mise in proprio e diventò il numero uno. Ed io ho avuto la fortuna: il capo mestiere dei sarti di Treviso mi ha fatto conoscere questo grande uomo al quale devo il sistema trigonometrico. Lo ripeto perché ci tengo molto. Vorrei anche ricordare Luciano Bonello, un sarto di Padova: faceva abiti parlanti. E gli abiti che parlano sono rari. Provavo per lui quasi una devozione.

In quegli anni conobbe anche Emma, la madre di suo figlio Alessandro?

Era talmente tutto questa ragazza… mi sono innamorato della sua interiorità più che della ‘vetrina’. Con lei mi sono sentito subito ricco. Quindici anni fa, per un incidente stradale, l’ho perduta. Sotto un temporale che faceva fumo talmente era forte. La grandine. Una curva, la strada oleosa. Un colpo basso del destino. Micidiale. Ma ho più volontà di prima, ora ho due nipotini e sono infervorato.

E Nadiya…

Nadiya, la mia seconda moglie. L’ammiro. È un architetto, non una sarta, e ha abbandonato lo studio di progettazione per vivere vicino a me. Questo è amore. Ora fa degli occhielli come in Italia ce ne sono pochi.

Quando crea un vestito da dove comincia?

Dal rispetto per la storia. In particolare quella britannica e italiana. Noi siamo più artefatti. Il sarto inglese sapeva dare, come nessuno, la naturalezza del portamento. Il sarto italiano è più romantico, gentile, sensibile e comunicativo.

Massimo Gradini, il suo indossatore favorito, dice che quando mette un abito Puppato è come se mettesse un mantello magico. E che lei è un concentrato di energia e di altruismo infiniti.

Massimo è un professionista non solo in passerella, ma nella vita nella quale sa camminare emanando un fluido passionale, il senso del bello e del buon gusto. Ha musicalità nel presentare l’opera sartoriale, comunica con lo spettatore e lo coinvolge mentre altri incedono freddamente. Mi sento rappresentato magistralmente da lui.

Chi altri l’accompagna con costanza?

Lorenzo De Negri, che definirei un grande suggeritore dell’eleganza. Mi affianca con la sua esperienza del bel vestire. Inconfondibile, si distingue da chiunque.

Puppato è una celebrità in Cina…

Sì, vesto uomini potenti, ma ho imparato presto, a mie spese, che in Cina non si possono fare nomi.