È dedicata a due grandi protagoniste del Novecento, Dorothea Lange (1895-1965) e Margareth Bourke White (1904-1971), la mostra Ricevere l’Avvenimento a cura di Angela Madesani, in corso fino al 15 marzo al Centro Culturale di Milano.

Costituita da 75 fotografie in bianco e nero original print e vintage print, la mostra si configura come incontro/confronto tra due originalissime interpreti dell’immagine fotografica. Allieve del fotografo Clarence Hudson White, uno dei fondatori del movimento Photo-Secession, Dorothea Lange e Margareth Bourke White hanno vissuto e operato nei tornanti della storia, iniziando la loro attività negli stessi anni, e affrontando, talvolta, gli stessi soggetti, ma con una sensibilità diversa.

Dorothea Lange, infatti, fu una figura di spicco della “fotografa sociale”. Già a San Francisco, allora capitale della fotografia americana, durante la Grande Depressione iniziò a interessarsi agli emarginati, ai poveri urbanizzati, e a un’umanità con forza nelle pagine di John Steinbeck, nel suo Furore in seguito alla grande crisi della fine degli anni ‘20. La Lange immortalò gli avvenimenti, gli sguardi, e le espressioni delle donne che nel corso della vita si erano ritrovate tra fatiche e miseria, con i figli da accudire, immerse nel lavoro. Protagonista della Farm Security Administration, sua è un’icona della fotografia del XX secolo, Madre emigrante (1936), che rappresenta una madre con il figlio in braccio, in giro per la California in cerca di lavoro e di pane per i suoi figli. Nel corso degli anni ha immortalato file di affamati, disoccupati e senza tetto, lavoratori costretti a spostarsi da un paese all’altro con vecchie automobili, e a vivere in accampamenti di fortuna. Ma in mostra non mancano le foto delle vicende belliche giapponesi del 1942, quando, dopo l’attacco di Pearl Harbor, vi fu l’esodo di 120.000 persone, costrette ad abbandonare le loro case, il loro lavoro e le loro proprietà.

Così se Dorothea Lange scelse una visione sociologica, umanistica, antropologica; Margaret Bourke White sceglie di seguire un’impronta giornalistica sul viale della compassione, del realismo e della dimensione sociale. Nel 1928 trasferitasi a Cleveland in Ohio apre uno studio di fotografia industriale e di architettura. E di questo periodo sono le immagini in cui gli oggetti dell’industria diventano vere e proprie astrazioni. Fondamentale per Bourke White è la composizione, il dettaglio, come testimoniano le riprese dai cornicioni dei grattacieli più alti e dalle zone più pericolose degli stabilimenti industriali.

Nel 1930 è la prima fra i fotografi occidentali a recarsi in URSS, realizzando reportage sull’industria sovietica. Fotografa in più occasioni il Mahatma Gandhi, cogliendone la forza spirituale. Le sue fotografie del campo di concentramento di Buchenwald, il giorno dopo la liberazione dei prigionieri, hanno fatto il giro del mondo, divenendo testimonianza inoppugnabile della tragedia. Ma celebre, degli anni ’30 in America, è la foto della fila di persone di colore, in attesa della distribuzione di un pasto, sovrastati dalla pubblicità di una automobile con a bordo la tipica famiglia americana e la frase “I più alti standard della vita del mondo. Non c’è altra strada che quella americana” a sottolineare il divario delle categorie del tempo, a cui fece eco, di taglio reportagistico, il volume You have seen their faces (1937) sulle tragiche condizioni di vita nelle campagne americane devastate da siccità, miseria e carestia.