Qui in studio ho messo il mio tavolo bianco da lavoro di fronte a una portafinestra, per vedere le mutazioni della luce nella campagna, nella città e nel cielo. E d’estate, anche a Marina Romea, ho i miei punti strategici per contemplare la valle e il mare nei loro momenti più intensi. E se per qualche accidente non posso partecipare a questi eventi, le mie giornate si appannano, diventano oscure e malevole.

E così la visione del tramonto è, per me, un appuntamento quotidiano. Contemplo tramonti un po’ ovunque: nella valle, in collina, qui in studio. Ieri mi chiedevo come si potesse vivere senza fumare, ora mi chiedo come sia possibile concludere la giornata senza osservare il cielo. E mentre osservo il cielo, vengo presa dal desiderio di tramontare insieme alla luce del sole, delle nuvole e di quella cert’aria rosata che avvolge la città.

Ma oggi vorrei tramontare definitivamente.

Mia figlia Marcella in questo momento ha preso il volo. Sta proprio volando verso la Nuova Zelanda. E così vengo presa da paure che potrei definire planetarie.

Ho raddoppiato la dose delle gocce per dormire. E dormo. Abbastanza. Ma durante il giorno il mio stato d’animo che di solito è negativo, pensando a Marcella e al suo viaggio verso gli antipodi, si fa catastrofico. In questa giornata fredda e splendente vedo tutto nero.

Marcella è la più grande delle mie creature. Abbiamo vissuto i primi mesi della sua vita in simbiosi, mano nella mano. Mi ero talmente allontanata dalle altre persone e dalle altre cose della vita quotidiana da risultare un essere alieno. In realtà credo mi sia capitato quello che più o meno accade alle donne quando per la prima volta si ritrovano a governare una personcina in più, inoltre partorita proprio da loro.

Per quel che mi riguarda, in quel periodo - ero molto giovane - mi sono ritrovata a gestire una passione mai provata, che comprendeva la mia prima grande responsabilità e la conseguente paura di fallire. Quindi mi sono detta, e così ho fatto, “la tengo attaccata a me giorno e notte, così, se non accade niente a me, non accadrà niente neanche a lei”. In quei primi mesi della sua vita l’ho protetta e nutrita a tempo pieno; non c’era spazio per nient’altro tranne che per una nuotata, ma eravamo già in settembre.

Sarà per questi primi mesi simbiotici, o per qualche altro motivo, ma Marcella è cresciuta con un carattere rivolto esclusivamente al bene; quasi un difetto.

Si prende cura dei malanni di bambini, di mamme, di parenti vicini e lontani e, quando capita, anche di sconosciuti.

C’è chi per aiutare un’umanità dolente si sposta in terre lontane; Marcella ha trovato qui, a Ravenna, Africa e India.

Allo sguardo di chi la conosce, Marcella appare unica e insostituibile. È una persona rara. Di rara bellezza. Anche il tempo, quello che scorre, di fronte a tanta attitudine al bene si è bloccato e così lei continua ad avere il viso dolce e la figura sottile e delicata di una ragazzina timida e riservata. Per lei non sono previsti tramonti personali. Per sopravvivere a tutti i nostri malanni e a tutte le nostre ossessioni, ogni tanto vola via, va agli antipodi. Prende distanza per concentrarsi sul suo respiro e regolarmente lascia me senza respiro. Alcune amiche pensano che la passione per Marcella e Valentina sia il mio lato debole, ma loro non sanno che in realtà sono io il lato debole che le mie figlie sostengono. Inoltre, le mamme, di solito, per le loro figlie sono portate a stradire e a strafare e così, parlando di Marcella in questo modo, posso essere fraintesa.

Però Marcella è proprio così. Ho testimonianze da qui alla Nuova Zelanda.

In stato di angosciosa attesa ritorno a quel tramonto che non è cosa da poco.

Infatti contiene in sé una delle più intense metamorfosi della natura e una delle mie passioni più energiche.

E per ritornare “a quel tramonto che non è cosa da poco” traduco in una grande pagina la visione di questo tramonto estivo nella valle di Marina Romea.

Da qualche tempo, a Marina Romea tira un vento freddo che rivela colori e spazi e cieli mai visti da queste parti. Qui nella valle, cime tempestose si danno al vento.

Il cielo ora è azzurro intenso con nuvolette bianche sparse. Improvvisamente arrivano nuvoloni neri, metà cielo è sereno e l’altra metà è carico di pioggia. Cadono così due o tre gocce di pioggia ed ecco l’arcobaleno. Salgo in bicicletta e percorro il sentiero che costeggia la valle. Il sole è ritornato a splendere; in lontananza le colline, di fronte a me il chiaro e all’orizzonte la pineta. Il sole inizia a tuffarsi nella pineta.

Scendo dalla bicicletta e contemporaneamente il tramonto scende in me. Il chiaro delle acque diviene d’argento e al centro prende forma la scia di fuoco. In questo momento il fuoco e l’acqua convivono in perfetto equilibrio. Il sole lentamente sparisce dietro le nuvole e contemporaneamente le illumina. Le nuvole si fanno di luce rosa e diventano trasparenti. Il cielo sopra la mia testa è ancora di un azzurro intenso, alto, lontano.

All’orizzonte la luce rosa ora s’infiamma, conquista grandi spazi e il cielo riflette nell’acqua la sua metamorfosi infuocata.

Metamorfosi in crescita, trionfo d’oro d’argento di corallo.

Ecco quello che regolarmente mi accade nella visione: non solo vedo ascolto e sento, io divento acqua, fuoco, cielo. Ecco da dove viene in me tanta grandezza.

Perfino l’alluce sinistro condivide le stesse emozioni del cervello; miracolosamente smette di farmi male e aderisce alle mutevoli vicende del cielo, della terra, dell’acqua. E prima che la notte ingoi tutto lo sfarzo di questo tramonto, di fronte e dentro di me una striscia di fuoco ancora persiste. Resiste a questa notte che decreta una fine e insieme l’inizio di un’altra visione. Un ribaltamento.

Ciò che prima risplendeva ora è tenebra.

Risalgo in bicicletta e attraverso le tenebre - il lungo sentiero che porta al mare - e lì, al Bagno Mercurio, attendo che la Luna tracci la sua luminosa strada marina.