Con la strage avvenuta a Milano il 12 dicembre 1969, si dà inizio alla stagione stragista che prenderà il nome, in Italia, di “Anni di Piombo”: una serie di attentati dinamitardi, di assassinii di rappresentanti dello Stato, giornalisti e persone comuni, con l’intento di seminare il terrore a fini politici.

Nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, venne posto un ordigno che esplose alle 16.37, quando dei clienti ancora affollavano i locali della banca. La bomba era composta da sette chili di tritolo, probabilmente nascosta in una valigetta, e nella deflagrazione uccise 17 persone, ferendone 87. Contemporaneamente, un’altra bomba sarebbe dovuta esplodere nella Banca Commerciale Italiana, in Piazza della Scala a Milano, ma fortunatamente venne recuperata inesplosa. Alle 16.55 dello stesso giorno, un’altra bomba esplose a Roma, verso la Banca Nazionale del Lavoro (in un passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di Via Veneto con l’entrata di Via di San Basilio) e altre due esplosioni avvennero pochi minuti dopo, davanti all’Altare della Patria e all’ingresso del Museo del Risorgimento, causando in tutto 16 feriti.

L’attentato aveva lo scopo, pare, di dare ampio spazio alla strategia della tensione che mai come dal secondo dopoguerra si percepiva in Italia. Le indagini portarono inizialmente alla pista anarchica, o comunque si sentirono coloro in sospetto di estremismo: in modo particolare ci si concentrò sul gruppo “Circolo anarchico 22 marzo” di Roma, con Pietro Valpreda tra gli esponenti, e il “Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa” di Milano, con Giuseppe Pinelli tra gli esponenti. Tra i fermati per accertamenti, ci furono anche molti esponenti dell’estrema destra.

In realtà non era chiaro chi avesse potuto mettere in atto un piano del genere, e purtroppo anche le numerose inchieste e gli svariati processi che ne seguirono, non diedero mai una risposta certa e convincente sui mandanti e sugli esecutori del piano terroristico. Si parlerà di un gruppo eversivo facente parte di “Ordine Nuovo” molti anni dopo.

Nella strage di Piazza Fontana si staglia la vicenda umana di Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi. Pinelli venne interrogato a seguito della strage del 12 dicembre, in quanto anarchico; il 15 dicembre, dopo tre giorni trascorsi in Questura, morì cadendo dalla finestra dell’ufficio dove veniva interrogato. Si trattava dell’ufficio del commissario Calabresi che, per testimonianze concordanti, non era presente in quel momento dell’interrogatorio e della caduta. Il gesto venne archiviato in un primo momento come suicidio, ma portò a inchieste per capire le vere cause della morte dell’uomo. Nel frattempo, si scatenò una vera e propria campagna denigratoria nei confronti di Calabresi, con anche una petizione pubblica di oltre seicento intellettuali, scrittori e artisti, nella quale si chiedeva di fare luce sul tragico evento, imputandone la responsabilità al commissario. Il quale, oltre alla campagna diffamatoria, divenne oggetto di minacce di morte.

Anche il commissario Calabresi morì a seguito della strage di Piazza Fontana, dunque, ucciso il 17 maggio 1972 da terroristi. Le stragi italiane iniziate con Piazza Fontana, portarono dolore in molte case, per molti motivi; anche chi non fu coinvolto direttamente, viveva in un clima di paura. “Eppure si andò avanti a vivere”, avrebbe scritto Eliot, e sarà proprio la forza di reagire a sconfiggere il terrore.