Michele Sambin è un artista a tutto tondo, non etichettabile, non inseribile in una categoria. Semplicemente perché la sua arte è sempre stata la sua vita: una vita a servizio del suo talento, senza compromessi. Senza la spasmodica ricerca di curatori e galleristi alla moda. “Non mi sono mai interessato a queste cose”, racconta Sambin “forse avrei dovuto, ma ero troppo impegnato a creare, a studiare e a ricercare”.

Michele Sambin vive a Padova ma è conosciuto a livello internazionale per essere stato un pioniere nella sperimentazione della video arte, del teatro di ricerca, della musica applicata alla performance artistica. Sul tema del tempo e dell’immagine che si modifica fino a scomparire, Sambin ha costruito un solido pilastro ermeneutico. Il doppio, il multiplo, la visione che si scompone per decifrare la realtà, reinterpretarla, destrutturarla fino alla totale implosione, sono argomenti filosofici, scientifici, psicologici sui quali l’artista ha profuso le sue energie per decenni.

“Questa ricerca sul tempo che consuma le immagini, sulla dissociazione tra ciò che si vede e ciò che si modifica nel passaggio temporale, era una sorta di mantra degli anni ‘70. Si diceva ‘scardinare la realtà per poterla riconoscere’. Un tentativo di rompere le regole del reale per assumerne consapevolezza. Quello che io ho fatto con le sperimentazioni video e suono sono state proprio nella direzione di creare uno sfasamento, cercare di rompere lo schema classico di causa-effetto”. Fra le conquiste e gli strumenti espressivi al centro di questo viaggio intrapreso da Sambin c’è sicuramente il loop: un concetto tecnico-poetico molto caro all’autore, capace di mescolare passato e presente e al centro delle opere video realizzate nel suo percorso pionieristico negli anni '70 così come alla base di molti lavori successivi. Alla base del loop c'è un diverso rapporto con il tempo: alla linearità consequenziale della narrazione classica, si sostituisce un procedere compositivo per cerchi e spirali, per salti temporali con strutture che tornano in periodi diversi, arricchite di nuovi contenuti esperienziali. Un procedere per anelli di senso che tornano via via sempre più larghi e si propagano come un'onda energetica. Uno dei grandi amori di Sambin è il teatro. Fondatore di Tam Teatromusica, Sambin ha fatto delle proprie opere d’arte delle performance e delle proprie performance l’espressione più naturale del proprio percorso artistico che esce dalle gallerie per animare i palcoscenici, trasformando le proprie opere in nuovi interpreti del racconto teatrale.

E quindi il film. Tornare da dove tutto è cominciato, Palazzo Fortuny a Venezia, dove negli anni ‘70 insieme ad altri giovani artisti, diventò Michele Sambin, non è solo un amarcord ma un messaggio per le giovani generazioni. Un viatico che Sambin consegna attraverso un docufilm sulla sua esperienza artistica, insieme alla compagna di sempre e anch’essa artista Pierangela Allegro. Più de la Vita, è il titolo del film di Raffaella Rivi dedicato a Michele Sambin: pioniere della videoarte, ideatore di performances, spettacoli teatrali, opere pittoriche e partiture sonore. Prodotto da Kublai Film, Più de la Vita, dopo il debutto all’Asolo Art Film Festival (21 giugno) e l’ospitata al Lago Film Festival (25 luglio), approda nelle sale in un vero e proprio tour lungo il Belpaese. “Con questo film – ha spiegato l’artista – ho voluto dare un messaggio di speranza ai giovani che intraprendono una carriera non facile come quella dell’artista: si può vivere d’arte anche lasciando da parte qualsiasi compromesso. Io sono sempre stato a servizio del mio talento”. Polistrumentista, Sambin regala momenti di magia col suo violoncello che suona senza saper leggere la musica, “da dislessico”, ma che sa cogliere, forse ispirato da entità angeliche, melodie che entrano profondamente nell’inconscio.

Documentario e film si incontrano nella narrazione della vita e del pensiero di un grande artista contemporaneo: viaggiatore e precursore dei linguaggi della contemporaneità dalle mille sfaccettature. La regista Raffaella Rivi ha scelto il linguaggio del cinema per raccontare l’uomo e l’artista in un lavoro che è a sua volta un’opera d’arte sull’opera d’arte. Disegnato con tratto che molto deve ad una sensibilità creativa tipicamente femminile.

Una costante evoluzione attraverso la tecnologia, in quattro decenni di percorso artistico, dal video analogico alla pittura digitale, dal mondo degli strumenti tradizionali alla rivoluzione della musica elettronica. Mescolando passato e presente, tra opere ormai classiche e nuove performance, il film si propone di portare allo spettatore uno sguardo diretto sul lavoro dell’artista, puntando il focus sulla mutevole arte che attraversa tempo e spazio, adattandosi a essi, ma anche adattandoli alle proprie esigenze.

Materiale di repertorio, video d’archivio e riprese nella quotidianità di Sambin: il presente diventa così un mezzo per ripercorrere la sua carriera artistica, la sua escursione nei tanti campi della creazione, il suo appassionato ancoraggio al connubio tra immagine e suono. Quarant’anni di storia dell’arte visti con gli occhi dello stesso artista: di passione per la sperimentazione, di curiosità e di coraggio nel gettarsi in nuove avventure, nell’esplorazione dell’ignoto. Centrale in questo viaggio l’evoluzione tecnologica che ha fornito spesso sia il mezzo che l’ispirazione per la scoperta della videoarte.