A Roma sono gli spazi suggestivi del Museo Napoleonico - espressione di un’epoca segnata dalla leggenda imperiale - a fare da cornice ricca di rimandi iconografici alla mostra Jeu de l’hombre. Lo sviluppo delle virtù cortesi.

Quattro gli artisti scelti, la cui azione muoverà le distinte iconografie su di un’unica piattaforma concettuale: il gioco. Gioco come simbolo di lotta: contro la morte (giochi funebri), contro gli elementi (giochi campestri), contro le forze ostili (giochi di guerra). Gioco anche e soprattutto come puro godimento: espressione di vittoria, almeno da parte dei vincitori. Combattimento, azzardo, finzione, brivido: il gioco è un universo a sé in cui bisogna, con ardire e rischi, trovare la propria collocazione, affermazione, ego e dibattimento con l’altro. Tuttavia, pur nel rispetto delle regole, il gioco permette la spontaneità più profonda, le reazioni più personali alle costrizioni esterne: romanticismo, neo-romanticismo.

Jeu de l’hombre (Gioco dell’uomo) è il gioco di carte appartenuto a Napoleone durante la sua permanenza a Sant’Elena e l’ispiratore della mostra. Fu il dono di un nobile inglese e riveste un notevole valore storico in quanto originario della Spagna dei secoli XVII–XVIII.

Il pretesto serve a discutere sulle possibilità d’intervento che l’uomo garantisce con la sua semplice presenza, scatenando conseguentemente delle interattività produttive in un plurale confronto con il vissuto odierno. Gioco in questo senso. Questo progetto comincia come un’incursione. Sono state formulate delle banali domande a una cernita di artisti: ho scelto le quattro più stimolanti e ho constatato che i quattro artisti fra di loro avevano ben poco da spartire. Alcuni di loro non si sarebbero mai incontrati come affinità, ma ho deciso di fare di questa differenza un concerto, dirigendo io il tutto, affinando gli strumenti a menadito.

Il suono è affascinante da farci estraniare. L’approfondimento del contesto storico-spaziale è un lascia passare per le nostre sensazioni… non solo emotive.

Fine ultimo sarà penetrare in questo preciso momento della storia: unico e affascinante.

Durante la 48a Biennale, nel 1999 è stato chiesto a venti addetti ai lavori di formulare un autoritratto scritto, che venne pubblicato nel catalogo della mostra Autori/Tratti/Italiani. La mostra agiva su due piani di comunicazione e visibilità che vedevano da una parte ventisei artisti lavorare attorno al proprio specchio, alla ricerca di possibili identità, dall'altra gli stessi che si introducevano nel tessuto urbano alla ricerca di una relazione con l'esterno attraverso i manifesti. Venezia letteralmente tappezzata, teatro delle gesta di pericolanti identità in cui vanità e drammaticità dividono in parti uguali le spoglie “dell'Io".

C’era stato un gran evento in città e io avevo tantissimi ospiti a casa, al punto di essermi regalato un pomeriggio di relax e un po’ in coma ho fatto andare via gli amici per poi tornare ad incontrarli la sera; appuntamento verso le 21.00 dissi, ma molte telefonate e richieste d'incontri avevano un po’ annullato il mio relax, accettai una intervista, due visite e a stento mi sono addormentato. Passato un tempo indecifrabile mi arriva un messaggio di Massimiliano Tonelli, molto gradito perché da molto non ci sentiamo e subito dopo una telefonata a cui rispondo, dove mi si chiedeva un’intervista esclusiva, come ai tempi di Harald Szeemann, e Bonito Oliva, pensai, che poi mi portò tantissima fortuna: “Vengo alle 21.00”. “Ok” dissi e mi riaddormentai.

Mi sveglio col suono di un campanello e ricordo anche che avevo un appuntamento con Massimo Mattioli e come un flash mi ricordo di quello e degli altri appuntamenti, guardo l’orologio: 21.00 in punto, corro alla finestra e sotto casa ci sono due Mercedes nere una spenta e chiusa e l’altra ancora illuminata, e Massimiliano che scende. Vado alla porta e mi viene incontro Rossana che fa gli onori di casa e mi guarda preoccupata: “È già arrivato Massimo?”, gli domando, e lei mi guarda seriamente e mi dice: “Già… chi vivrà vedrà!”

Fine dell’incubo.

Questo testo vuole rispondere al richiamo di una mia amica, che ha posto un quesito e un sondaggio su Facebook, ed è questo: “Alzi la mano chi è felice in questo momento!!!”

Tutto ebbe inizio per me quando decido di allestire "SupermercArte" a Roma (dicembre, 1995), a via delle Fornaci, accanto al Vaticano, all'interno di un supermercato alimentare dove passano ogni giorno migliaia di persone con l’intenzione di rompere i tabù, le diffidenze e il blocco giornalistico da cui eravamo affetti. Avevo messo in bella vista accanto alla frutta e la verdura disegni, acrilici, collage e tele di artisti di diverse età e tendenza, alla pari degli altri prodotti del supermercato.

Erano gli anni della guerra del Golfo, mancava la presenza istituzionale e privata nei confronti dell’arte e degli artisti. Il risultato fu un minuto in tutti e tre i Tg nazionali e l’inizio della mia personale corsa alla carriera.

Provate ora a spostarvi con me agli ultimi giorni di luglio. Spostatevi con me in Sardegna giusto il tempo per riposarvi un po’. C’è Paolo (bello più che mai, con la barba come un pirata). Ci sono Nicola, Francesca, poi arriveranno altre persone. Giusto il tempo per un po’ di mare e un po’ di sole, di leggere e rispondere alle email, soltanto quelle giuste. Poi il tempo per due interviste scritte (sapete quel che significa, due o tre giorni di concentrazione, d’altronde la gente vuole sapere come la pensi, non deludiamoli). Poi ritorni alla città nuova, dove hai traslocato da meno di un mese. Viterbo. Qui piove. Sapete come si chiama quell'odore di bagnato che emana la terra quando piove? Petricore.

Il petricore è il profumo di pioggia sulla terra asciutta; viene dal greco “pietra", e “icore”, linfa (come sangue degli dei), copio impunemente direttamente da Facebook.

Giusto il tempo di coricarti che già sei su un treno per un’altra destinazione: Venezia. A Venezia io e Paolo ci incontriamo con Ronald Morand, che ha viaggiato da San Salvador; si viaggia insieme a lui fino a Trieste e da lì a Ptuj, in Slovenia, la nostra meta. Art Stays 10. Festival Of Contemporary Art.

Arrivati nel B&B ci sono già Gianfranco Foschino, che arriva da Rio de Janeiro, Maria Rosa Jijon che arriva da Roma. Poi Felipe Aguila che viene a Torino. La sera ci sarà l’arrivo di Marlon De Azambuja da Madrid, accompagnato dal caro Primoz Biziak, qui di casa.

Provate ad immaginarci a gestire l’allestimento di una mostra, invitati da Jernej Forbici e Marika Vicari. Pensate che fate parte di uno dei progetti che vede Maribor Capitale Europea della Cultura. Per cui, una energia bellissima. Il miracolo che è l’arte contemporanea, la magia che nasconde, l’alchimia che trasforma, una scala che non porta da nessuna parte, l’attesa di un autobus che non arriverà mai.... Sul tetto dei grossi palloncini chiamati a splendere da un momento all’altro. Il video di una donna che viene seppellita dalla terra… immaginatevi una mostra.

S’inaugura, poi si va via, il mese è appena cominciato, torni per pagare le bollette e non sono ancora passate 24 ore che già stai di nuovo su un treno che ti riporta indietro, vicino ad Udine, Trevignano Udinese: sei invitato a partecipare a Rave 2012 dalle sorelle Pers, Isabella e Tiziana. Qui si ricuperano gli animali che sono predestinati al macello. Vengono sottratti alla morte, al macello e portati in questo maneggio magico, poi smistati, dati a qualcuno che li farà vivere fino alla loro morte naturale, magari privati dai traumi di cui sono portatori e vittime. Sono invitato a partecipare ad una riunione, oltre che rigidamente vegetariana, notturna, dalla sera all’alba. Si parla della responsabilità dell’Arte.

C’è gente che va e viene, c’è addirittura il Sindaco, c’è Giuliana Carbi Jesurum (acuta, poetica), Daniele Capra (caro Dany), Tiziana e Isabella (più belle che mai), ci sono studenti universitari, funzionari regionali (…), pubblico arrivato fin qui in piena notte.

Si fabbricano sogni, si saziano aspettative, si esorcizzano ansie, si intrecciano energie. Un trapasso - Un mutamento - Un transito - Uno stato di trance - Uno stato di confine - Una condizione di passaggio: il fuoco che brucia dentro alla gente - l'artista?

L'identità, intesa sia come realtà individuale, sia come realtà collettiva. Più in là esiste un orizzonte. Nebuloso, ma orizzonte.

C’è Ivan Moudov (grande!!), artista bulgaro in residenza. “Che cosa è per te l’arte?” “...Sapere come posso produrre nel modo più semplice, agisco guidato dall’intuito, quello che faccio mi viene suggerito dalla realtà presente che manipolo per rendere la situazione assurda”.

L’anno scorso qui c’era Adrian Paci, Giuliana gli domandò: “Come definiresti quello che assolutamente deve fare un artista oggi?” “Rendere possibile!”, rispose, Isabella e Tiziana, questo lo stanno facendo...

Le nostre storie si assomigliano. Comunicano. Comunisti i genitori. Comunica la forma. La forma comunista di comunicare. La lingua comunica.

Qui ho abbracciato Cicco, quattro tonnellate di tenerezza, ho cercato di comunicare con una papera di vent’anni. Mi ha inseguito “Lady Chatterly” gomito a gomito, un’asina mitica, salvata anche essa dal diventare mortadella; mi guardavano a vista delle belle capre, non si fidavano, giustamente. Facciamo l’Alba sul serio. Simbolicamente assolvono la funzione di purificazione e di trasformazione, perché fa appello alla ragione come un elemento fondante della natura umana.

Attraverso i tuoi occhi, dicesti, l’altra parte del mondo conoscerà la nostra somiglianza, la nostra eguaglianza.

Tornato a Viterbo soltanto ieri, cena a casa di Gianni Ponzi e poi in treno fino alla Sicilia.

Il Passato guarda in volto le trame di una tela barocca raffigurante il Cristo di Burgos. Ci troviamo presso la Chiesa di S. Giovanni Evangelista della città di Scicli. Si tratta di un olio su tela raffigurante la Passione, un esempio di raffinata delicatezza, un’iconografia seicentesca che fa riferimento ad una scultura lignea del secolo XIV, venerata nella chiesa madre di S. Maria di Burgos.

Il Cristo crocifisso è dipinto su un fondo scuro, in basso delle figure simboliche ben in evidenza. La specificità di quest’opera si riconosce nella particolarità del corpo del Cristo, coperto dalla cintola in giù da una singolare veste bianca che rappresenta in modo eclatante quell’usanza nata a Burgos.

Sacri sono i segni della cultura della specie umana; sprigiona una voce più potente della nostra. Esse si leggono perfettamente anche in tempi contemporanei e vanno aldilà del significato spirituale. Il lavoro dell’arte? rammendare questi simboli creati nel passato, li snoda e li riallaccia ad altri, creando corpi nuovi.

Mi sono svegliato oggi pensando al quesito posto da questa mia amica, qui su Facebook e mi ricordo molti anni fa erano da poco nati gli sms e io mi dilettavo ad inviare stralci di poesia alla mia mailing list telefonica; ricordo di avere inviato un sms a lei stessa da Siracusa in cui citavo una poesia di Roberto Bolano, diceva:

Ora cammini da solo sul molo
da Barcellona
Fumi una sigaretta nera e per
un momento pensi che sarebbe bello
Che piovesse
Denaro non ti concedono gli dei
ma sì strani capricci
Guarda su:
Sta piovendo.

Ti ricordi? ero vicino all’orecchio di Dioniso e viaggiavo da solo, con soltanto alle spalle, una sacca da marinaio, il cellulare e mi prodigavo a inviare sms, piccole emozioni da condividere. Era l’epoca in cui scomparivano le lire e stava lì per lì per arrivare l’euro, un altro, tutt’altro, gioco dell’uomo. L’ultimo?

Mi ritrovo nuovamente a Viterbo alla Galleria del mitico amico Alberto Miralli. Giocare con i concetti di vita e di morte, assottigliare il limite tra repulsione e attrazione, sono queste le mosse tattiche con cui Eva Gerd muove la sua ricerca artistica. Gli oggetti utilizzati per la costruzione dell’opera sono ossa animali, che tornano alla luce, come svegliati da un letargo per poi vestirsi e divenire parte d’un incantesimo in bilico tra bianco e colore, tra vita e morte. Questi oggetti acquistano una nuova esistenza grazie a leggerissime trame ricamate che l’artista opera su di essi. Una metafora, vita e trapasso, splendore e declino, eleganza e nudità. Un appello all’inquietudine presente costruita scavando nel passato. Le varie parti di un tutto disperso.

Un moto ondoso che rende molto pericolosa la nostra possibile navigazione ma anche un possibile naufragio.

Come puoi ben vedere nelle visioni anteriori molteplici versioni e diverse città conformano la tua storia, la tua biografia, il tuo curriculum vitae: Roma, Trevignano Udinese, Venezia, Ptuj, Scicli, Viterbo.

Si presentano così da un giorno all’altro, rovesciano la tua corsa, disposta a scoprire le nuove isole con il suo carico di cinque secoli di volontaria assenza.

Ed è così che ti ritrovi a scrivere sulla Torre di Babele che in via generale simboleggia la nascita delle differenti lingue nel mondo. Gli uomini, infatti, fino a quel momento avevano condiviso lo stesso linguaggio e insieme desideravano costruire una città la cui forma avrebbe riprodotto una torre per ergersi verso il cielo, fino a raggiungere Dio. È a questo punto, però, che gli esseri umani vengono separati, una separazione che secondo alcuni è frutto di una raggiunta consapevolezza dell'uomo che lo rende pronto a popolare il mondo, a realizzare altrove ciò che ha imparato. Viceversa secondo altri è il castigo divino per l'imperdonabile superbia umana che ha ritenuto di poter sfidare Dio con la realizzazione della torre. Questa separazione fra gli uomini passa prima di ogni cosa per una lingua improvvisamente non più comune che non consente loro di capirsi, si consideri che il termine “Babele”, in senso figurato, rappresenta la confusione ed è utilizzato non a caso anche nel linguaggio comune con questa accezione.

Jeu de l’hombre come confronto autoreferenziale di artisti che si collocano nel museo e metafora di un uomo che si colloca in un multiplo contesto contemporaneo fatto soprattutto di storia; la sua e la loro storia, colluttazione prolifica o lo sviluppo delle virtù cortesi.