Quel giorno pioveva a dirotto. Ero con mia figlia Veronica alla fermata del bus. L'autobus tardava ad arrivare ed io, improvvisamente, mi ero spostato sulla strada e con gesto naturale avevo iniziato a fare l'autostop. Mia figlia mi aveva guardato stranita ed imbarazzata apostrofandomi con un: "Papà ma cosa stai facendo?" In quell'istante mi ero reso conto del mio gesto, ma ancora di piùdel fatto che lei non conoscesse quella pratica tanto in voga ai miei tempi. Così le avevo raccontato di me alla sua età, dei miei viaggi, dello spirito che animava tanti ragazzi. E di quando, con lo zaino in spalla, ci si metteva on the road.

Il caso volle che nei giorni successivi rimanessi senza auto e poiché i miei itinerari lavorativi non permettevano l'utilizzo dei mezzi pubblici avevo optato per l'autostop. Senza accorgermene mi ritrovai a testare la situazione dell'autostop ai giorni nostri.

Nessuno sembra fare l'autostop oggi, semplicemente non si usa più. Tutti hanno l'auto e in caso di emergenza possono chiedere aiuto con il proprio telefono. E poi i tempi sono cambiati, non ci si può fidare di nessuno. C'è un sacco di brutta gente in giro. Il mondo fa paura.

Sfido la sorte e mi metto in strada. La folta capigliatura dei vent'anni ha lasciato posto ad una lucida pelata, chissà che non sia questa una buona carta da giocare, penso tra me; infatti, ecco che si ferma una macchina. Il primo automobilista è un attempato signore che, quasi per giustificarsi, si preoccupa di accertarsi che si tratti di un emergenza, infatti mi chiede: "La macchina l'ha lasciata a piedi?". Per non allarmarlo rispondo affermativamente, tralasciando i dettagli e decidendo di non raccontare nulla del mio progetto di viaggio. "Non mi fermo mai" aggiunge. "Coi tempi che corrono è meglio non fidarsi" rincara. "Però ho visto dalla faccia che è una brava persona e..." La conversazione si limita ai convenevoli, solo qualche domanda sulla mia destinazione. "Guardi, la porterei volentieri fino a lì ma devo andare in posta, è già tardi".

Mi ritrovo così dopo poco in mezzo alla strada, vicino ad un paese che ho osservato mille volte passandoci in macchina. La sensazione oggi è diversa. Percepisco l'odore del bosco. Il rumore del traffico, rado, lascia filtrare qualche voce, il verso strozzato di un gallo, una musichetta proveniente da una casa vicina. In quel momento ritrovo uno dei piaceri legati alla pratica dell'autostop che è quello di ritrovarsi in luoghi inconsueti, di entrare in contatto vero con il territorio. L'uso della macchina preclude tutto questo, siamo abituati ad attraversare i luoghi senza possederli mai in un flusso di immagini che si dissolve per lasciare spazio a nuove immagini. E alla fine non resta molto. Mi metto in posizione, anzi no, decido di camminare oltre la curva: chi ha avuto esperienze di autostop conosce alcune regole base e tra queste c'è quella di cercare sempre, nei limiti del possibile, un posto strategico dove mettersi.

Ecco, si è fermato qualcuno. Mi incuriosisce l'approccio delle persone, l'auto appare come un prolungamento della propria casa, qualcosa di più di un semplice mezzo di trasporto. Nella nostra auto c'è il nostro odore, tracce della nostra quotidianità, gli oggetti che ci accompagnano. È comprensibile, quindi, che ci sia resistenza di fronte ad un estraneo, nella nostra casa non facciamo certo entrare chiunque! Per questo motivo dare un passaggio è spesso un inconsapevole azzardo, un desiderio di apertura, un atto di coraggio. O come nel caso di quest'ultima macchina il frutto di una nostalgia improvvisa: l'automobilista in questione si chiama Franco, un uomo sulla settantina, vivace nello sguardo, gentile. Si capisce subito che c'è qualcosa sotto, infatti presto si rivela: "Anch'io ho fatto l'autostop da ragazzo", racconta con orgoglio e partecipazione. "Erano altri tempi..." aggiunge malinconicamente. "Ho viaggiato in tutta Europa! E un anno sono andato fino in India con la mia ragazza. Sì! Siamo partiti da Cadrezzate e siamo arrivati fino a Katmandhu, un viaggio pazzesco!" I pochi chilometri che riesco a percorrere con Franco sono ricchi di suggestioni indiane, di racconti, di immagini, perfino di ricette (alla sera non potrò fare a meno di preparare del pollo al curry ben sapendo l'origine di quella improvvisa ispirazione culinaria...).

Continuo il viaggio e continuo a controllare l'ora ma so che si tratta di un gesto inutile, di un automatismo: l'autostop non segue le regole del tempo, quelle che condizionano le nostre giornate abituali dove tutto sembra essere prestabilito. In autostop si parte, si sa che ad un certo punto si arriverà però quando esattamente non si sa. Una scelta incomprensibile, assurda agli occhi dei più, soprattutto oggi in cui si tende ad ottimizzare ogni attimo del nostro tempo e tutte le nostre scelte sembrano sottostare a questa legge. Così non solo la nostra routine quotidiana è fortemente regolamentata ma anche il nostro tempo libero, le nostre vacanze, i nostri viaggi sono un percorso ad ostacoli fatto di prenotazioni di voli, di alberghi, di ristoranti, perché così facendo siamo convinti di poter avere tutto senza perdere nulla. Soprattutto senza perdere tempo. È da due ore buone che sono qui fermo sul ciglio della strada, la meta mi è chiara, accetto questa attesa perché fa parte dell'esperienza.

Stare fermi, in piedi in un luogo inconsueto, diversamente da quanto si possa pensare, è qualcosa che porta pensieri nuovi. Se non avessi avuto la pazienza di aspettare difficilmente avrei incontrato Alessandro, simpatico giardiniere in pensione, che non solo mi offre un passaggio nella sua macchina odorosa di letame fresco e benzina per motosega, ma mi aggiorna sull'andamento della stagione regalandomi una piccola lezione di botanica. Sono riconoscente verso questa persona che due minuti prima manco conoscevo, al punto che, alla sua proposta di fare una deviazione sul percorso, ("Ti voglio fare vedere il mio progetto segreto...") accetto senza esitare. Lasciamo la pianura e attraverso una strada tutta tornanti raggiungiamo un casolare in mezzo al bosco. La giornata è bella, c'è ancora un certo tepore ma si capisce, dalla luce radente, che l'autunno è alle porte.Lasciamo la macchina e scendiamo a piedi un sentiero stretto che ci porta fino ad una radura coltivata a vite. "Hai visto che bellezza?" mi chiede Alessandro." È Negretta, una parente povera del Nebbiolo. L'ho trovata qui, abbandonata. E l'ho curata con il metodo biodinamico. Se Dio vuole tra due anni riuscirò a vendemmiare. Dimmi, cos'altro c'e´ di piu´ bello?" Resto in silenzio e lo guardo sorridente e compiaciuto. Torniamo al casolare dove c'è anche un cane. "Questo è Zoltan, il cane del precedente proprietario di casa. Da quando è morto è sempre rimasto qui. Che tenerezza gli animali!". C'è tempo per un goccetto, ci sediamo su una panca in contemplazione del bosco. Alessandro recupera anche un salamino. Mezz'ora dopo, come uscito da un sogno, sono di nuovo in strada.

La macchina di Alessandro è appena scomparsa all'orizzonte, io cammino un pochino per sgranchirmi ma ecco un rumore, mi volto e vedo un auto della polizia che accosta con tanto di luce blu intermittente. "Buongiorno, tutto a posto? Come mai a piedi?" mi fa l' agente senza scendere dall'auto. "Sì, tutto ok" rispondo io. "Sto camminando..." "Che lei stia camminando lo vedo da me, le ho chiesto come mai a piedi? Dove ha lasciato la sua macchina?" insiste il poliziotto. "Sono senza auto, ma è tutto ok. Sto solo cercando un passaggio..." "Senta mi faccia la cortesia non stia qui sul ciglio della strada, potrebbe essere pericoloso, ci sono già gli africani che camminano in giro... si metta lì in fondo dove c'è quella piazzola, insomma si tolga dalla strada..."

Devo concludere che camminare per strada sia strano, un atto illegale, non più normale. Qualcosa che desta il sospetto. L'autostop rientra un po' in quest'ordine di cose, ancora oggi ha la reputazione di pratica controcorrente, legata agli anni '70, ai movimenti di protesta giovanili. Pochi giovani si potevano permettere l'auto a quei tempi e l'autostop era largamente praticato. Ma il tempo dei capelloni è lontano, con la mia pelata io sono decisamente rassicurante: infatti, dopo pochi minuti ecco una nuova auto che si ferma. Si tratta di un rappresentante di un'azienda che assicura una soluzione definitiva al problema dei topi. Il passaggio dura giusto il tempo per conoscere le tecniche principali di deratizzazione. Ringrazio, scendo dalla macchina e mi rimetto in posizione. Dopo pochissimo giunge un altro rappresentante, questa volta si presenta, Giuseppe, venditore di cibo per gatti. Gatti e topi si inseguono dunque lungo la strada, mentre io sono quasi giunto alla mia meta e mi sento riconoscente verso tutte queste persone che mi raccontano le loro storie. L'autostop è fatto di storie, tutti gli incontri lasciano un segno e non c'è bisogno di andare lontano per vivere incontri inconsueti ed ispiratori.

A volte però capitano anche gli incontri spiacevoli, mai prevedibili e in questi casi bisogna essere pronti a tutto, o quasi. Ci sono alcune regole di base che riducono lo spazio di esposizione ed i rischi, mai fare l'autostop al buio, per esempio, e in ogni caso in presenza di più persone a bordo mai sedersi davanti (per evitare che qualcuno da dietro possa aggredirci). Succede a volte che la stanchezza o il troppo rilassamento facciano brutti scherzi e questo è successo a me alla fine di questo giorno felice e glorioso: l'incipiente stagione autunnale aveva bruscamente ridotto le ore di luce a disposizione ed io ho fatto male i calcoli e mi sono ritrovato al crepuscolo lungo un viale alberato in un via vai di macchine distratte tra fari abbaglianti ed ombre sempre più scure. Dopo un'attesa che per la prima volta mi pareva infinita, un'auto si è fermata. C'era musica ad alto volume in quell'abitacolo poco illuminato ed un tepore invitante e ancora prima di chiedere dove il conducente fosse diretto ero già comodamente piazzato sul sedile anteriore e l'auto aveva ripreso la corsa. Tardi, troppo tardi per rendermi conto di trovarmi in una situazione pericolosa. L'auto aveva cominciato a procedere a velocità crescente in un continuo zigzagare tra le corsie, il guidatore appariva visibilmente alterato e ciò che mi parve anche peggio, un suo amico era seduto sul sedile posteriore. Ogni volta che mi parlava mi toccava la spalla con la mano. Io, aggrappato alla maniglia della portiera, teso come una corda di violino, alla ricerca disperata di un'idea per un piano di fuga. "Le dispiace se accelero un po´? La mia ragazza mi sta aspettando e sono in ritardo di brutto..." "No... no, non c'è problema" dico io ma mi sento come in quei film dove il protagonista cerca di rabbonire lo psicopatico sul cornicione di un grattacielo... "Dove deve andare? Magari dopo la porto dove vuole, ok? Mi chiamo Mirko e lui è Antonio" mi disse indicandomi l'amico. E detto ciò sbanda violentemente per evitare un'auto che procede nella corsia opposta. "Ma guarda che pezzo di merda quello!" "È inutile che corri", commenta da dietro l'amico."Tanto la Vale ti ha mollato. Vedrai, non ci sarà all'appuntamento", aggiunge con sicurezza Antonio. "E tu che cazzo ne sai?" replica aggressivo Mirko mentre io guardo la strada e ripenso con profonda nostalgia a tutte le persone conosciute durante il giorno, così pacifiche, così..." Mi è arrivato ora un messaggio da Giusi, te la ricordi la Giusi? La tettona. Sono molto amiche loro. Mi ha scritto che la Vale non vuole più stare con te perché ce l'hai piccolo. Ha ragione. Te l'ho visto ieri in doccia, in palestra..."Chiudo gli occhi e mi sento perduto. Mentre la conversazione tra i due si accende, ad ogni battuta Mirko sembra premere di più sul pedale dell'acceleratore e l'auto sbanda paurosamente a destra e sinistra, come impazzita. "Che troia, lei e la sua amica, avrei dovuto capirlo subito. E tu sei un pezzo di merda." "Ohhhh! Ma che cazzo vuoi, rallenta con sta macchina, che il signore qui è già dieci minuti che non parla, non vedi che si sta cagando addosso?" urla Antonio e con la mano mi picchia sulla spalla, con l'intenzione forse di rassicurarmi. In realtà io sono paralizzato e sento che devo assolutamente cercare di uscire da quella situazione ma non so come.

In casi estremi, quando si viene molestati o ci si trova in pericolo di vita c'è l'opzione apertura porta e salto nel vuoto ma lì, in quella situazione, si rivelerebbe un suicido. Cerco di stare calmo, pronto a cogliere la prima possibilità di fuga che si presenti. L'auto procede a folle velocità. "Comunque io non ho da dimostrare niente a nessuno", aggiunge improvvisamente Mirko. "Io ho preso da mio nonno che ce l'aveva grosso perché è stato morsicato da un gattopardo quando era in guerra in Africa" "Ma che stronzata è questa?" chiede Antonio tra il divertito e l'indispettito. "Mio nonno ha fatto la guerra in Etiopia e un giorno mentre era di guardia in trincea è stato aggredito da dietro da un gattopardo che lo ha brancato con gli artigli sulla schiena, ma mio nonno non si è fatto impressionare, l'ha preso con tutte e due le mani e l'ha ribaltato in avanti, uccidendolo." "E beh allora cosa cazzo c'entra sta storia con..." lo incalza Antonio. "Centra, centra. Mio nonno l'hanno portato in ospedale e gli hanno fatto una trasfusione di sangue perché ne aveva perso molto. E hanno usato il sangue di un negro. Da quella volta, lo raccontava sempre, il suo cazzo è diventato molto più grosso..." In quell'istante, quasi il cielo avesse raccolto le mie preghiere, vedo formarsi davanti a noi una coda improvvisa di automobili e così l'auto sulla quale mi trovo è costretta a rallentare. Non posso perdere quell'occasione. Come posseduto dal mio più profondo istinto di conservazione esclamo: "Mi voglio fermare qui! Fatemi scendere!" I due giovani vengono colti alla sprovvista dalla mia richiesta e non oppongono alcuna resistenza, troppo presi dalla loro discussione, mi congedano frettolosamente.

Dopo un minuto mi ritrovo in strada. Non so neppure dove mi trovo. Ma sono salvo, c'è un bellissimo cielo stellato e si vedono le sagome scure delle montagne in lontananza. L'immagine del gattopardo aggrappato alla schiena del soldato mi perseguita ancora per un po'. Poi riprendo a camminare nella notte. Ripetendo a me stesso mai più autostop... mai più autostop, mai più...