Della fissazione di liberarsi di Carlo V, delle battaglie, degli accordi controversi con il sultano, degli illimitati intrighi domestici e internazionali che avrà dovuto sbrogliare da sovrano - questioni fondamentali per gli storici - in un giorno settembrino di temporali e azzurri altrettanto violenti, non gliene importava a nessuno. Francesco I, re di Francia (1494-1547), che per lo storico irlandese Francis Hackett: “A vent'anni già gustava i piaceri del capriccio […]. Aveva la vena facile, il piede veloce, il fiato gagliardo; e gli era così naturale lasciarsi sedurre da nuovi orizzonti, come assaporare un vino o apprezzare un oggetto d'arte”, è stato uno dei protagonisti della terza edizione del Festival di musica rinascimentale FloReMus (ideato e realizzato a Firenze dall’Homme Armé), come ballerino travolgente, pazzo per la musica e annoiato dalle messe solenni.

Denis Raisin Dadre, dal 1999 Cavaliere delle Arti e delle Lettere di Francia, suonatore di flauto dolce, oboe, e musicologo, fondò l’Ensemble Doulce Mémoire nel 1989 per far rivivere le musiche che risuonarono nell’orecchio di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello e a Firenze, all’auditorium di Sant’Apollonia, ha portato in concerto l’atmosfera della corte di Francia nel XVI secolo attraverso il repertorio della Camera del Re. Animatore di feste, balli e spettacoli, Francesco I era circondato dai migliori cantanti e strumentisti d’Europa per rallegrare e rinvigorire la vita di corte e per aumentare il proprio prestigio politico. Nella conversazione che ha preceduto il concerto, Denis Raisin Dadre ha sfoderato un senso dell’umorismo pari alla cultura e alla devozione per il Rinascimento: irresistibile il “suo” Francesco I che camminò da Marsiglia a Parigi, imparando tappa dopo tappa le danze dei contadini e che, secondo le testimonianze di un ambasciatore, ballava a tempo come se avesse diciotto anni. E di notte si sollazzava sentendo canti francesi d’amore e di sesso, un po’ il corrispettivo dei nostri canti carnascialeschi. Con il suo fare spiritoso, Raisin Dadre ha reso vibrante il ricordo delle tre istituzioni musicali alla corte di Francesco, ed è stato come se la Cappella Reale, il gruppo di cantori che si occupava del repertorio sacro, la Camera del Re, strumentisti e cantori che suonavano canzoni, balli e fantasie per liuto all’interno del palazzo e i “pifari” dell’Ecurie du Roi, impiegati in feste ufficiali, processioni, entrata reale, manifestazioni che si svolgevano all’aperto, suonassero ancora per noi nel 2019.

Il grande merito del festival FloReMus è quello di trasmettere al pubblico la brillantezza e l’immortalità della musica antica facendola sconfinare nelle vite presenti con vivezza: non c’è muffa in quelle note, ma solo in chi le relega lontano dal nostro cuore, sdottorando in sedi appartate.

“La musica cambia in Francia dopo il soggiorno del re in Italia. Il re aveva la passione di ballare all’italiana” ha detto Denis Raisin Dadre, che ha reso divertente anche la “lotta fra il Fa naturale e il Fa diesis”, ha proposto ascolti sacri per sorridere del “latino con accento francese” e ha spiegato che, come oggi nel mercato dei calciatori, all’epoca “il papa, il re di Spagna, ognuno in Europa voleva rubare i cantanti del re di Francia. Quando Francesco I e il papa si incontrarono a Bologna, il pontefice cercò di rubare musicisti per la sua cappella. Nelle cappelle del continente i musicisti viaggiavano. E il suono era interessante perché un francese non canta come un italiano o come un tedesco. Faceva eccezione l’Inghilterra dove c’erano solo cantanti inglesi”.

Preso dal ritmo del conferenziere, il pubblico era tentato di lanciarsi in una pavana.

A passo di danza, la settimana dopo, ha raggiunto la Biblioteca delle Oblate, per incontrare Simonetta Cattaneo maritata Vespucci (1453-1476), detta dai contemporanei la senza pari, un’altra star di FloReMus 2019. “A parte essere bella, senza pari, appunto, non fece niente, la giovane ligure sposata a un fiorentino, nemmeno un figlio, ebbe forse qualche amante - ha commentato Paola Ventrone, docente di discipline dello spettacolo alla Cattolica di Milano, ascoltata sul ruolo delle donne nelle feste fiorentine del Quattrocento - Ma la bellezza e la morte prematura la resero perfetta per essere il volto ideale della nuova cultura neoplatonica laurenziana. Divenne un’icona, un’ossessione. Botticelli la ritrasse di continuo con stilemi che non corrispondevano più alla realtà dell’abbigliamento fiorentino che si vede, invece, nei ritratti domestici”. Simonetta, musa di Giuliano de’ Medici, è per Botticelli madonna, venere, primavera. Acconciature elaborate, serpentelli al collo, Piero di Cosimo la ritrae addirittura a seno nudo.

La donna, con Lorenzo de’ Medici, diventa ninfa. Se Alessandra Bardi coniugata Strozzi, nata una quarantina d’anni prima di Simonetta, descritta da Vespasiano da Bisticci, che di solito snobbava le donne e stilava biografie maschili, come la dama esemplare: ben allevata, al servizio del suo casato, “di smisurata gentilezza”, capace di “inchini naturali e non sforzati” e che ai ricevimenti porgeva chicche da una confettiera, Simonetta, distante da ogni concretezza, fu il simbolo, ha spiegato la professoressa Ventrone, della trovata più geniale di Lorenzo il Magnifico: il carisma politico costruito sull’esclusione. Gli studiosi ancora si lambiccano il cervello per decifrare le allegorie dell’arte laurenziana. Botticelli e Poliziano, pittore e poeta in simbiosi con alle spalle la filosofia di Marsilio Ficino, che avranno voluto dire? Se lo potrebbe chiedere Simona Marchini in una delle sue gag.

Sicuramente era fondamentale che il linguaggio fosse iniziatico, riservato alla famiglia Medici e alla classe dirigente di Firenze, tanto che ancora in parte ci sfugge. Lorenzo, principe non principe, edificò il potere sulla cultura. Solo pochi anni prima, ha spiegato Paola Ventrone, i giochi cavallereschi e i festeggiamenti univano i fiorentini, non erano solo elitari. Bartolomeo del Corazza, vinattiere, lasciò un diario sui fatti della sua città dal 1406 al 1430 che dimostra la sua vicinanza alla vita dell’aristocrazia.

Ai tempi del Magnifico non sarebbe stato più possibile ma, certamente, sia la donna dall’onestà coniugale super sorvegliata della prima metà del Quattrocento, educata per dare figli alle dinastie dominanti ed essere irreprensibile nelle feste che erano, peculiarità fiorentina durante la repubblica, un’occasione per esibire le ricchezze, celate di solito a causa delle leggi suntuarie, sia la ninfa dell’età di Lorenzo de’ Medici avevano in comune il ballo. I maestri di ballo giravano di corte in corte (spesso erano ebrei), perché il Rinascimento fu un periodo danzante e ballare a meraviglia era imprescindibile.

Grazie all’Homme Armé (Renato Baldassini, presidente, Fabio Lombardo, direttore artistico) che con FloReMus, e non solo, ci trascina nelle danze.